Migranti di successo
Febbraio 10, 2019
Ci sono, oggi, anche migranti di successo: persone con la voglia di ricominciare, che non si sono arrese di fronte alle avversità della vita ed ai difficili trascorsi subiti. “Robe di Becchi” è un grande risultato: si tratta di un marchio di abbigliamento realizzato da due giganti del volley, Matteo Piano e Luca Vettori (di oltre quattro metri di altezza, insieme).
Ci sono, oggi, anche migranti di successo: persone con la voglia di ricominciare, che non si sono arrese di fronte alle avversità della vita ed ai difficili trascorsi subiti. “Robe di Becchi” è un grande risultato: si tratta di un marchio di abbigliamento realizzato da due giganti del volley, Matteo Piano e Luca Vettori (di oltre quattro metri di altezza, insieme).
Dalla commistione di stoffe multicolori giunte dal Congo, unite a pregiati tessuti biellesi, cuciti da donne fuggite da guerre, violenze e miseria, in un piccolo laboratorio sartoriale di Torino, è sorta una originale linea di T-Shirt per “Robe di Becchi”, insieme a “Colori Vivi”, la sartoria sociale della Onlus “Articolo 10”.
Gli azzurri della pallavolo, tramite una web radio, “mettono il becco”, raccontano di musica, letture, viaggi, riflessioni, trattano in buona sostanza diversi temi, compreso quelli dell’artigianato e dei mestieri che rischiano di scomparire. Da qui l’inevitabile unione con “Colori Vivi”, progetto di sartoria sociale della Onlus torinese “Articolo 10”, che offre a donne rifugiate, di diverse nazionalità, deboli e in difficoltà, un percorso di formazione professionale e di inserimento lavorativo al fine di farle socializzare e trovare un connubio tra vita lavorativa e vita sociale.
Barbara Spezini, responsabile del progetto, ha incontrato Matteo Piano e Luca Vettori durante un convegno e, grazie a una zia di quest’ultimo, missionaria in Africa (che, con una piccola sartoria, offriva impiego ai giovani congolesi), si è realizzata una grande idea, creando occasioni professionalizzanti per i migranti accolti nel progetto, ricco di vita. Le macchine per cucire di donne che hanno subito violenze, soprusi, sofferenze atroci, lavorano incessantemente, sotto l’occhio attento dello stilista Antonino Garigliano, leader del gruppo. “Colori Vivi” ha ottenuto un riconoscimento dalla Kering Foundation, gruppo del lusso che assorbe marchi come Gucci e Yves Saint Laurent.
Lo scorso 19 giugno Barbara Spezini, responsabile dell’attività sociale dell’Associazione “Articolo 10 Onlus”, si è recata a Parigi per la cerimonia di premiazione degli “Awards for Social Entrepreneurs” indetti dalla Kering Foundation di François-Henry Pinault, presidente della Fondazione e dell’omonimo gruppo internazionale di moda e di lusso. Ad essere premiato, tra le 7 proposte finaliste, vi è stato anche “Colori Vivi”, il progetto di sartoria sociale, di cui Barbara Spezini è ideatrice, volto all’inserimento lavorativo di donne e madri rifugiate. Tra i tre progetti vincitori in Europa, la sartoria torinese – prima esperienza italiana in assoluto a ricevere il riconoscimento della Fondazione – ha ottenuto il secondo premio. L’associazione conta oggi più di venti membri, che operano secondo una visione e una missione comuni ispirate al valore del rispetto della dignità e delle libertà fondamentali. Nel corso di questi primi anni di attività, “Articolo 10” è intervenuta concentrando i propri sforzi su alcuni ambiti per far fronte alle varie problematiche affrontate dalle persone cui la Onlus si è accostata (fino ad oggi, 175 donne, 126 bambini, 105 nuclei familiari).
La sartoria di “Articolo 10” mira a promuovere l’inclusione dei rifugiati, permettendo loro di esercitare i propri diritti fondamentali – tra i quali la libera espressione, che senz’altro rappresenta una componente principale -, e al contempo consentendo loro di inserirsi in un nuovo contesto sociale e lavorativo. È così che la sartoria di “Articolo 10” diviene un luogo di scambio e di incontro tra culture, uno spazio di formazione ed espressione artistica e professionale, dove tante donne possono ritrovare una dignità e una identità, di cui sono state private nei luoghi da cui sono state costrette a fuggire.
Stante l’enorme successo ottenuto, la responsabile del progetto non esclude che quanto prima possa nascere un brand realizzato da donne rifugiate, volto allo sviluppo del made in Italy, posto che il genio imprenditoriale non ha colore, religione e razza.
Ci sono, oggi, anche migranti di successo: persone con la voglia di ricominciare, che non si sono arrese di fronte alle avversità della vita ed ai difficili trascorsi subiti. “Robe di Becchi” è un grande risultato: si tratta di un marchio di abbigliamento realizzato da due giganti del volley, Matteo Piano e Luca Vettori (di oltre quattro metri di altezza, insieme).
Dalla commistione di stoffe multicolori giunte dal Congo, unite a pregiati tessuti biellesi, cuciti da donne fuggite da guerre, violenze e miseria, in un piccolo laboratorio sartoriale di Torino, è sorta una originale linea di T-Shirt per “Robe di Becchi”, insieme a “Colori Vivi”, la sartoria sociale della Onlus “Articolo 10”.
Gli azzurri della pallavolo, tramite una web radio, “mettono il becco”, raccontano di musica, letture, viaggi, riflessioni, trattano in buona sostanza diversi temi, compreso quelli dell’artigianato e dei mestieri che rischiano di scomparire. Da qui l’inevitabile unione con “Colori Vivi”, progetto di sartoria sociale della Onlus torinese “Articolo 10”, che offre a donne rifugiate, di diverse nazionalità, deboli e in difficoltà, un percorso di formazione professionale e di inserimento lavorativo al fine di farle socializzare e trovare un connubio tra vita lavorativa e vita sociale.
Barbara Spezini, responsabile del progetto, ha incontrato Matteo Piano e Luca Vettori durante un convegno e, grazie a una zia di quest’ultimo, missionaria in Africa (che, con una piccola sartoria, offriva impiego ai giovani congolesi), si è realizzata una grande idea, creando occasioni professionalizzanti per i migranti accolti nel progetto, ricco di vita. Le macchine per cucire di donne che hanno subito violenze, soprusi, sofferenze atroci, lavorano incessantemente, sotto l’occhio attento dello stilista Antonino Garigliano, leader del gruppo. “Colori Vivi” ha ottenuto un riconoscimento dalla Kering Foundation, gruppo del lusso che assorbe marchi come Gucci e Yves Saint Laurent.
Lo scorso 19 giugno Barbara Spezini, responsabile dell’attività sociale dell’Associazione “Articolo 10 Onlus”, si è recata a Parigi per la cerimonia di premiazione degli “Awards for Social Entrepreneurs” indetti dalla Kering Foundation di François-Henry Pinault, presidente della Fondazione e dell’omonimo gruppo internazionale di moda e di lusso. Ad essere premiato, tra le 7 proposte finaliste, vi è stato anche “Colori Vivi”,il progetto di sartoria sociale, di cui Barbara Spezini è ideatrice, volto all’inserimento lavorativo di donne e madri rifugiate. Tra i tre progetti vincitori in Europa, la sartoria torinese – prima esperienza italiana in assoluto a ricevere il riconoscimento della Fondazione – ha ottenuto il secondo premio. L’associazione conta oggi più di venti membri, che operano secondo una visione e una missione comuni ispirate al valore del rispetto della dignità e delle libertà fondamentali. Nel corso di questi primi anni di attività, “Articolo 10” è intervenuta concentrando i propri sforzi su alcuni ambiti per far fronte alle varie problematiche affrontate dalle persone cui la Onlus si è accostata (fino ad oggi, 175 donne, 126 bambini, 105 nuclei familiari).
La sartoria di “Articolo 10” mira a promuovere l’inclusione dei rifugiati, permettendo loro di esercitare i propri diritti fondamentali – tra i quali la libera espressione, che senz’altro rappresenta una componente principale -, e al contempo consentendo loro di inserirsi in un nuovo contesto sociale e lavorativo. È così che la sartoria di “Articolo 10” diviene un luogo di scambio e di incontro tra culture, uno spazio di formazione ed espressione artistica e professionale, dove tante donne possono ritrovare una dignità e una identità, di cui sono state private nei luoghi da cui sono state costrette a fuggire.
Stante l’enorme successo ottenuto, la responsabile del progetto non esclude che quanto prima possa nascere un brand realizzato da donne rifugiate, volto allo sviluppo del made in Italy, posto che il genio imprenditoriale non ha colore, religione e razza.
Avv. Iacopo Maria Pitorri