L’Avvocato Pitorri spiega della Suprema Corte e dei requisiti necessari per la ammissibilità dei motivi dell’appello

L’Avvocato Iacopo Maria Pitorri, costantemente aggiornato (sia per quanto concerne le disposizioni legislative, che la giurisprudenza), fa emergere l’importanza di una fattispecie, con cui la Suprema Corte ha voluto, ancora una volta, evidenziare quali sono gli elementi necessari per la ammissibilità dei motivi di appello. Facciamo un passo indietro. Con sentenza del 26 settembre 2013, la Corte d’Appello di Brescia ha dichiarato inammissibile il gravame proposto dall’amministratore unico di una s.r.l. avverso la decisione del Tribunale di Brescia, che ha respinto la opposizione all’ordinanza ingiunzione emessa dalla direzione provinciale del lavoro, con cui erano state accertate violazioni insanabili nei confronti di due lavoratori. La Corte, per sostenere la inammissibilità del gravame, ha rilevato che il testo dell’art. 434 comma 1, c.p.c., così come sostituito dal decreto L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, impone l’indicazione sia delle modifiche richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice, sia delle circostanze rilevanti da cui deriva la violazione delle normative rilevanti ai fini della decisione. Nella fattispecie, invece, l’appellante si era limitato a ribadire quanto aveva già dedotto in primo grado attraverso un’argomentazione difensiva che era stata già esaminata dalla sentenza del Tribunale e rispetto alla quale nessuna censura era mossa nell’atto di appello.

Oltre ciò, la Corte ha ritenuto inammissibile anche la doglianza relativa la mancata applicazione della disciplina più favorevole, introdotta dalla L. n. 183 del 2010, atteso che, in conformità con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, il principio di retroattività della legge più favorevole non è applicabile alle sanzioni amministrative e pecuniarie.

Per tali ragioni, il datore di lavoro si è trovato costretto a ricorrere alla Corte di Cassazione censurando la sentenza d’appello sulla base di due motivi. Con il primo motivo di ricorso, ha denunciato la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 434, comma. 1, c.p.c., l’omessa valutazione di circostanze e documenti decisivi ai fini della decisione, l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia e la violazione del diritto di difesa del ricorrente ex art. 24 Cost., osservando che il tenore dell’atto di impugnazione era tale per cui dallo stesso dovesse desumersi che il ricorrente aveva compiutamente e specificatamente indicato le modifiche alla ricostruzione del fatto operata dal giudice di prime cure.

Con il secondo motivo di ricorso, invece, evidenzia l’Avvocato Pitorri, ha censurato la sentenza d’appello per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 434, comma 1, c.p.c., della L. n. 183 del 2010, e del D.L. n. 12 del 2002, art. 3, comma 3, nella parte in cui il giudice di seconde cure aveva ritenuto inammissibile la doglianza della mancata applicazione della disciplina più favorevole, violando il principio della retroattività favorevole in materia di sanzioni amministrative.

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso. Ha, innanzitutto, rilevato che il ricorso è stato notificato alla Direzione Provinciale del Lavoro di Bergamo presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato di Brescia. Detta notifica è nulla, posto che costante giurisprudenza ha affermato il principio per cui “in caso di notificazione del ricorso per cassazione affetta da nullità perché effettuata presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato anziché presso l’Avvocatura generale dello Stato, il giudice deve ordinare la rinnovazione della notificazione che – senza che sia necessario il rilascio di una nuova procura – ha l’effetto di sanare tale nullità impedendo la decadenza dall’impugnazione”. (Cfr. in questo senso Cass. civ. sez. II Ord., 17 ottobre 2014, n. 22079; Cass. SS.UU civ. 15 gennaio 2015, n. 608 le quali confermano un orientamento già affermato da Cass. SS.UU civ. 6 maggio 1998, n. 4573; Cass. civ. sez. III 27 aprile 2011, n. 9411; Cass. civ. sez. VI – 1 4 ottobre 2013, n. 22767).

In considerazione del principio cardine relativo alla “ragionevole durata del processo”, però (che la Corte ha richiamato), specifica l’Avvocato Pitorri che la stessa ha evidenziato che si debba escludere di procedere alla rinnovazione della notificazione (o agli altri adempimenti all’art. 375 n. 2 c.p.c.), tutte le volte in cui il ricorso si manifesti, da subito, inammissibile, ovvero infondato. Ciò sia nelle ipotesi in cui si debba procedere alla integrazione del contraddittorio nei confronti di un litisconsorte necessario, sia nel caso in cui la notifica del ricorso sia nulla e potrebbe quindi farsi applicazione dell’art. 291 c.p.c. Cfr. Cass. civ. sez. lav. 13 dicembre 2018 n. 32331, Cass. civ. sez. lav. 23 marzo 2018 n. 7305; Cass. civ. sez. II 8 febbraio 2010, n. 2723; Cass. SS.UU. civ. 2010, 22 marzo n. 6826; Cass. civ. sez. III, 17 giugno 2013, n. 15106 (concernente una ipotesi di notificazione nulla) oltre che Cass. SS.UU. civ. 17 ottobre 2014, n. 22079).

Al di là degli aspetti preliminare, gli Ermellini di piazza Cavour hanno esaminato i motivi di ricorso, ritenendo la prima censura inammissibile in quanto le proposizioni difensive erano state già avanzate negli stessi termini in primo grado e, per tale ragione, non erano reiterabili allo stesso modo nel giudizio di gravame. Così come affermato recentemente dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. SS.UU. civ. 16 novembre 2017 n. 27199. V. anche Cass. civ. sez. VI-3, 30 maggio 2018 n. 13535, e, precedentemente, Cass. civ. sez. lav., 5 febbraio 2015 n. 2143, Cass. civ. sez. VI-5,14 settembre 2017 n. 21366), invero, gli artt. 342 e 434 c.p.c. (nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni dalla L. n. 134 del 2012) devono essere interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice.
Relativamente alle questioni poste con il secondo motivo, invece, la Suprema Corte ha rilevato che la sentenza impugnata ah ben argomentato che in materia di sanzioni amministrative pecuniarie non si applica il principio di retroattività della normativa più favorevole  (previsto dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, soltanto per infrazioni valutarie e tributarie).

A sostegno dei suddetti principi, spiega l’Avvocato Pitorri, la Corte richiama la pronuncia della Corte Costituzionale n. 193 del 2016, in virtù della quale “la scelta legislativa dell’applicabilità della lex mitior limitatamente ad alcuni settori dell’ordinamento non può poi ritenersi in sé irragionevole. La qualificazione degli illeciti amministrativi, espressiva della discrezionalità legislativa, si riflette sulla natura contingente e storicamente connotata dei relativi precetti, sicché risulta sistematicamente giustificata la pretesa di potenziare l’effetto preventivo e dissuasivo della comminatoria, eliminando per il trasgressore ogni aspettativa di evitare la sanzione grazie a possibili mutamenti legislativi. Il limitato riconoscimento della retroattività risponde a scelte discrezionali di politica legislativa, modulate in funzione della natura degli interessi tutelati e sindacabili solo laddove trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio”.

Avvocato Iacopo Maria Pitorri

L’Avvocato Pitorri racconta di migranti e della rotta dalla Turchia

Una recente notizia dei media ha colpito non poco l’attenzione dell’Avvocato Iacopo Maria Pitorri. Un veliero, con cinquantaquattro pachistani a bordo, è recentemente approdato nel crotonese. Probabilmente proveniente dalle coste turche, è sbarcato nella località di Isola Capo Rizzuto.

Sottolinea l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri (che svolge la sua attività forense anche a favore dei migranti), che non è la prima volta che un episodio del genere interessa la Calabria ionica, esposta evidentemente ai flussi mai interrotti della rotta turca. Gli scafisti, verosimilmente, scelgono questa parte d’Italia per gli approdi auspicando di passare “inosservati”, dando luogo ai cosiddetti “sbarchi fantasma”.

Ad avvistare l’imbarcazione è stato un aereo Roan della Guardia di Finanza. Quando la barca a vela ha iniziato ad andare alla deriva, a largo del crotonese, la Guardia di Finanza, intervenendo, si è resa conto che a bordo c’erano cinquantaquattro migranti:  uomini di nazionalità pachistana, ritenuti in buone condizioni di salute.

Una volta fatti sbarcare in Calabria, i finanzieri, ovviamente, hanno dato il via alle dovute indagini alla ricerca degli scafisti: ciò che ha portato all’arresto di due cittadini russi. I migranti sbarcati hanno confermato la rotta del loro viaggio, affermando di essere partiti dal porto turco di Bodrum.

Fa presente l’Avvocato Pitorri, al riguardo, che un episodio del genere significa che la rotta che parte dalla Turchia è più che mai viva e che un’organizzazione formata da cittadini russi gestisce il relativo flusso di migranti. Pur in passato, tra Turchia e Sicilia orientale, gli approdi che si sono susseguiti hanno interessato per lo più velieri che, il più delle volte, hanno provato a confondersi con le imbarcazioni dei turisti che affollano questa parte del Mediterraneo. Sovente gli scafisti sono riusciti ad evitare l’arresto per questa ragione. Questa volta i due presunti organizzatori del viaggio sono tradotti in carcere, appena dopo l’approdo.

Un evento di questo tipo, inevitabilmente, riaccende polemiche, soprattutto a sfondo politico, posto che  l’Unione Europea, anche l’Italia, paga tre miliardi di Euro all’anno al governo di Ankara, per frenare il flusso migratorio. Un accordo che risale all’epoca della rotta balcanica, ma che certamente impegna la Turchia ad intervenire per bloccare i flussi che coinvolgono Mediterraneo ed Egeo. Se continuano a partire barche a vele, con migranti a bordo (di nazionalità pachistana, siriana, irachena e afghana) vuol dire che qualcuno ha disatteso, e continua a disattendere, quell’accordo.

                                                                                Avvocato Iacopo Maria Pitorri

I migranti evacuati dalla Libia e portati a Roma.

L’OMS – World Health Organization – è l’Organizzazione mondiale della sanità, l’agenzia speciale dell’ONU per la salute, fondata nel 22 luglio del 1946 ed istituita nel 1948, con sede a Ginevra. Specializzata per le questioni sanitarie, vi aderiscono centonovantaquattro Stati membri di tutto il mondo, divisi in sei regioni (Europa, Americhe, Africa, Mediterraneo Orientale, Pacifico Occidentale e Sud-Est Asiatico). Per quanto concerne il nostro Paese, l’Italia ha aderito ufficialmente all’OMS in data 11 aprile 1947. Secondo la Costituzione dell’OMS, l’obiettivo dell’Organizzazione consiste il raggiungimento, da parte di tutte le popolazioni, del più alto livello possibile di salute.

Questo importante Organismo di indirizzo e coordinamento in materia di salute, all’interno del sistema delle Nazioni Unite, sostiene costantemente, da molto tempo, che è necessario garantire assistenza sanitaria ai migranti, in ogni circostanza, ovunque essi si trovino.

 A causa dei violenti scontri e del deteriorarsi delle condizioni di sicurezza a Tripoli, centoquarantanove persone tra rifugiati e richiedenti asilo, vulnerabili, indifese, sono state evacuate e trasferite a Roma.  Lo rende noto l’UNHCR (l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati), sottolineando che le persone evacuate provengono da Eritrea, Somalia, Sudan ed Etiopia. Tra esse vi sono ben sessantacinque minori; tredici bambini hanno addirittura meno di un anno, e uno di loro ha appena due mesi. L’evacuazione, aggiunge l’UNHCR, è stata portata a termine in collaborazione con le autorità italiane e libiche. Il gruppo, tra cui molte persone con necessità di cure mediche e sofferenti di malnutrizione, è stato trasferito dal Centro di Raccolta e Partenza dell’UNHCR, dopo mesi trascorsi in condizioni disperate all’interno dei centri di detenzione in altre zone della città.

Queste operazioni, assolutamente indispensabili, rappresentano una vera e propria ancora di salvezza per i rifugiati, per i quali l’unica possibilità di fuga consiste nell’affidare le loro vite a trafficanti senza scrupoli per attraversare il Mediterraneo. All’inizio di quest’ultima settimana di maggio, sessantadue rifugiati, provenienti da Siria, Sudan e Somalia, sono stati evacuati da Tripoli al Centro di Transito di Emergenza dell’UNHCR a Timisoara, in Romania, dove riceveranno cibo, abiti e cure mediche prima di proseguire il loro viaggio verso la Norvegia. L’OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) ha fornito il supporto necessario al trasporto.

L’UNHCR, dal suo canto, ringraziando tutti gli Stati che si sono prontamente prodigati nel fornire accoglienza, ha lanciato un appello affinché cresca sempre più la disponibilità a prestare ulteriori opportunità di evacuazione e corridoi umanitari per portare al sicuro i rifugiati detenuti in Libia, posto che il numero dei nuovi detenuti aumenta molto più rapidamente di quello di coloro che vengono evacuati. Basti pensare che circa mille rifugiati e migranti sono stati evacuati dalla Libia, ovvero  nuovamente insediati nel 2019, mentre nel solo mese di maggio più di milleduecento persone sono state riportate indietro dalla Guardia Costiera libica, dopo essere state soccorse o intercettate mentre tentavano la fuga in mare. 

                                                        Avvocato Iacopo Maria Pitorri

L’Avvocato Pitorri racconta delle parole del Papa sui migranti.

Recentemente, con le parole “Accogliere, promuovere, proteggere e integrare”, quale  missione della Chiesa, il Papa ha manifestato un messaggio in vista della Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, che ci ricorda l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri,  si terrà il prossimo 29 settembre, dal tema “Non si tratta solo di migranti“.

Il Santo Padre ha scritto: “Conflitti violenti e vere e proprie guerre non cessano di lacerare l’umanità. Ingiustizie e discriminazioni si susseguono. Si stenta a superare gli squilibri economici e sociali. E a fare le spese di tutto questo sono soprattutto i più poveri e svantaggiati. Lo sviluppo economico porta con sé la tendenza ad un accentuato individualismo che, unito alla mentalità utilitaristica e moltiplicato dalla rete mediatica, produce la globalizzazione dell’indifferenza. In questo scenario i migranti, i rifugiati, gli sfollati e le vittime della tratta sono diventati emblema dell’esclusione perché, oltre ai disagi che la loro condizione di per sé comporta, sono spesso caricati di un giudizio negativo che li considera come causa dei mali sociali”.

Secondo il pensiero di Papa Francesco, pertanto, la presenza dei migranti e dei rifugiati, come, in generale, delle persone vulnerabili, rappresenta un invito a recuperare alcune dimensioni essenziali della nostra esistenza cristiana e della nostra umanità, che rischiano di assopirsi in un tenore di vita ricco di comodità. “Interessandoci di loro, ci interessiamo anche di noi, di tutti; prendendoci cura di loro, cresciamo tutti. Ascoltando loro, diamo voce anche a quella parte di noi che forse teniamo nascosta perché oggi non è ben vista”.

Per il Pontefice, quindi, accennando ai migranti, entrano in gioco le nostre paure, il timore, dubbi legittimi. Spesso il vedersi condizionare il proprio modo di pensare e di agire ci rende intolleranti, chiusi, forse anche  razzisti, pur senza che possiamo rendercene conto. Su questo, a dire di  Papa Bergoglio dovremo riflettere. “Ancora una volta, non si tratta solo di migranti: si tratta della nostra umanità”, ha insistito.

Il Papa ha anche parlato dei Paesi in via di sviluppo, che continuano a essere depauperati delle loro migliori risorse naturali e umane a beneficio di pochi mercati privilegiati. Argomentando sulle guerre ha palesato come la produzione delle armi avvenga nelle regioni che, poi,  non vogliono farsi carico dei rifugiati prodotti da tali conflitti. Tutto questo a discapito dei più poveri, dei più vulnerabili

Per il Pontefice, ovviamente, vi è un principio cristiano cardine: la persona è al centro di tutto, nelle sue molteplici dimensioni. La priorità è sempre degli ultimi, senza lasciare spazio all’indifferenza e al disinteresse. Gli ultimi, gli emarginati della società, tra cui i migranti, con il loro carico di difficoltà e sofferenze, dovrebbero venire per prima. Tutti dovrebbero mettersi al loro servizio.

Ed è proprio dai quattro verbi “accogliere, proteggere, promuovere e integrare”, che Papa Francesco vuole ripartire, a tutela dei  migranti e dei rifugiati, promuovendo lo sviluppo umano integrale di tutte le persone, anche aiutando la comunità mondiale ad avvicinarsi agli obiettivi di sviluppo sostenibile (che, altrimenti, difficilmente saranno raggiunti).

Per il Santo Padre, evidenzia l’Avvocato Pitorri, si deve andare al di là del migrante, guardando la situazione in maniera più ampia, nel considerare sia il presente, sia il futuro della famiglia. I migranti costituiscono un importante aspetto dell’odierna società, certamente sempre al centro di polemiche e dibattiti. Per il Papa, però, attraverso loro ogni essere umano può cambiare, in virtù dei principi cristiani e “vedere nel migrante e nel rifugiato un fratello e una sorella da accogliere, rispettare e amare, un’occasione che la Provvidenza ci offre per contribuire alla costruzione di una società più giusta, una democrazia più compiuta, un Paese più solidale, un mondo più fraterno e una comunità cristiana più aperta, secondo il Vangelo”.

Ultimamente e  sul perché parli spesso dei migranti, il Santo Padre ha detto: “Perché è una priorità oggigiorno nel mondo. Il mondo migratorio è giunto a un punto tale, oggi, che ho preso nelle mie mani la sezione migranti del Dicastero dello Sviluppo Umano Integrale per darle un significato. Tutti i giorni veniamo a sapere che il Mediterraneo sta diventando sempre più un cimitero, solo per fare un esempio. Il cuore delle persone deve restare aperto  dobbiamo avere il cuore di accogliere e poi, successivamente occorre promuovere e integrare. Un intero processo”.

                                                                    Avvocato Iacopo Maria Pitorri

L’Avvocato Pitorri racconta delle navi delle ONG

L’Avvocato Iacopo Maria Pitorri  ricorda il divieto dell’approdo alla nave Aquarius della ONG Sos Mediterranée. A bordo, sono rimasti coinvolti seicentoventinove migranti tratti in salvo in sei operazioni di soccorso, compiute dalla stessa nave della ONG francese, oltre che da un mercantile e dalla Guardia costiera italiana. Anche se in passato si sono già verificati dei problemi per una nave carica di migranti (nel farsi assegnare un porto sicuro per lo sbarco), l’episodio che ha investito Acquarius è stato accompagnato dal motto politico del Governo “porti chiusi alle navi con i migranti”. Prima di allora solo l’Ungheria di Viktor Orbán ha osato alzare muri sui confini, per fermare i migranti che cercavano di raggiungere il Nord Europa.

Tra i disperati sull’Aquarius vi erano anche centoventitré minori non accompagnati, undici bambini e sette donne incinte, che, con gli altri dell’equipaggio della ONG, sono rimasti bloccati in mare, per nove giorni, prima di riuscire a sbarcare a Valencia, in Spagna, grazie all’apertura voluta dal governo di Pedro Sanchez.

Vi sono stati poi altri casi di navi che si sono viste negare l’approdo e costrette a rimanere in mare con il loro carico di naufraghi. Si è trattato soprattutto di navi delle ONG (quasi tutte straniere), ma anche mercantili e perfino una nave della Guardia costiera italiana: la (ormai famosissima) Diciotti.

Inoltre il Decreto Sicurezza bis, prevede, tra l’altro il sequestro e multe tra i diecimila ed i cinquantamila per le navi che non rispettano il divieto di ingresso, transito e sosta nelle acque territoriali, attribuendo la decisioni sulle sanzioni al prefetto.

                                                                               Avvocato Iacopo Maria Pitorri

L’Avvocato Pitorri racconta della nave italiana che soccorre il barcone con un centinaio di migranti a bordo

L’Avvocato Iacopo Maria Pitorri, da sempre attento alle tematiche riguardanti i migranti, fa presente che qualche giorno fa, la Ong tedesca Sea Watch, che ha la nave sequestrata nel porto agrigentino di Licata (ormeggiata al fianco della Mare Jonio, nave di un’altra Ong, la Mediterranea Saving Humans finita sotto sequestro), ha avvistato, con l’aereo di perlustrazione Moonbird, circa un centinaio di migranti a bordo di un gommone, in acque internazionali. Ha, pertanto, prontamente lanciato un appello alla marina italiana, considerata la vicinanza del natante con il pattugliatore della marina italiana P490. A bordo del gommone, presenti anche dei bambini.

Alarm Phone (che è il numero di allarme a supporto delle operazioni di salvataggio. Istituito, nell’ottobre del 2014, da reti di attivisti e rappresentanti della società civile in Europa e NordAfrica), in relazione al gommone in difficoltà (ed ai migranti a bordo abbandonati al loro destino), ha scritto su Twitter: “Non c’è alcun soccorso in vista anche se da bordo vedono un elicottero. Alle 23,47 ci hanno detto che un lato del gommone si è sgonfiato e sta entrando acqua. Non hanno più carburante e sono alla deriva. È necessario un intervento urgente”.  E, dopo qualche ora, Alarm Phone, fa presente l’Avvocato Pitorri, ha ancora comunicato: “Temono che i bambini muoiano di ipotermia. Ci sono quindici bambini, il più piccolo di nove mesi. Hanno spostato i bambini nel lato dove c’è meno acqua. Una delle venti donne è incinta e sta male. Non lasciateli morire! Le persone a bordo sono in panico. Ci hanno contattati di nuovo. Vedono un elicottero volare intorno a loro ma non vedono alcuna imbarcazione. Ci chiedono se siamo a conoscenza di una possibile operazione di soccorso in arrivo, ma anche noi non sappiamo nulla”.

Evidenzia l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri che, anche se, momentaneamente, le attività in mare della Sea Watch 3 sono interrotte (a causa del sequestro della nave), la Ong tedesca continua ad essere molto attiva sui social. Tant’è vero che lo scorso 28 maggio gli attivisti della stessa hanno denunciato il recupero di due imbarcazioni da parte della guardia costiera libica, sottolineando: “Catturare persone in mare e riportarle in un paese in guerra civile è un gesto criminale”.

A seguito, comunque, dell’appello lanciato per portare aiuto al gommone con a bordo quasi cento migranti, nell’immediatezza non si sono registrati interventi da parte della marina italiana, né dichiarazioni sul gommone rintracciato in acque internazionali.

Successivamente, però, la nave della Marina militare italiana Cigala Fulgosi è intervenuta in soccorso dei migranti a bordo del gommone (in difficoltà da qualche giorno, al largo della Libia, nelle acque tra Tunisia e Malta). Tuttavia, le Ong hanno comunicato che, purtroppo, a bordo del natante, sarebbe morta una bambina di cinque anni.

Anche se le condizioni del mare tra la Libia, Lampedusa e la Sicilia sono in peggioramento, si registra un flusso in aumento di partenza dalle coste africane. Alcune imbarcazioni, però, vengono rintracciate dai libici, la cui Guardia Costiera continua ad essere operativa nonostante il conflitto a Tripoli.

Il Viminale, comunque, ha indicato Genova come porto di sbarco per la nave della Marina Militare, che ha a bordo quelle persone disperate, recuperate al largo della Libia. A Calata Bettolo, di fronte alla nave, è stato allestito un presidio sanitario. Una volta in banchina, sono saliti a bordo alcuni funzionari di polizia e i medici della Asl, per le prime ispezioni. Oggi, 2 giugno 2019, Festa della Repubblica Italiana, si sono da poco concluse le operazioni di sbarco, senza che fossero rilevate situazioni di criticità.

Avvocato Iacopo Maria Pitorri

L’Avvocato Pitorri spiega il reato continuato

Il reato continuato, spiega l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri (che nella sua attività forense tratta anche la materia penalistica), è quello che uno stesso soggetto commette, con più azioni una pluralità di reati, esecutivi di un medesimo disegno criminoso. A caratterizzare questo reato è l’unicità del disegno criminoso, che giustifica un trattamento sanzionatorio diverso e più favorevole.

La giustificazione del trattamento di favore da parte del legislatore si ha perché le più violazioni di legge, poste in essere dall’agente, fanno capo al medesimo disegno criminoso (che è il tratto qualificante di questo tipo di reato). Secondo i giudici di legittimità, più reati che scaturiscono da un unico progetto, hanno un disvalore inferiore a quello di più reati originati da soggetti diversi.

Con riguardo alla recidiva, la giurisprudenza ha per molto tempo negato l’applicazione della disciplina della continuazione dei reati commessi successivamente al giudicato posto che, in tale ipotesi, trova applicazione la recidiva, ritenuta incompatibile, per l’esigente generali preventive che ne costituiscono il fondamento razionale.

Con la nuova normativa, c’è stato il conferimento verso il giudice di merito del potere discrezionale di non aumentare la pena per la recidiva, di cui é rimasta inalterata l’obbligatoria contestazione con le rispettive conseguenze.

Anche la dottrina, sottolinea l’Avvocato Pitorri, ha sostenuto la incompatibilità tra continuazione e recidiva.

Recente giurisprudenza, invece, ha dimostrato che tra i due istituti vi è una incompatibilità indimostrata; continuazione e recidiva rappresentano due istituti autonomi con struttura e finalità diverse ma, nonostante ciò, conciliabili fra loro.

Più grave sarebbe la riprovevolezza di colui che realizza nel tempo una pluralità di illeciti, tra i quali non corre alcun buon legame di natura psicologica, rispetto a quella di chi pone in essere gli stessi illeciti in esecuzione di un medesimo progetto criminoso. Tutto ciò avviene perché, nel primo caso indicato il soggetto sceglie con una pluralità di deliberazioni distinte di ribellarsi ai valori emanati dall’ordinamento.

Nel secondo caso, invece, l’esecuzione dei diversi reati rappresenta il frutto non di una rinnovata autonoma scelta di porsi contro il diritto, ma dell’originaria meditazione del programma criminoso.

Nonostante vi siano state molte tesi emerse per considerare tale atteggiamento come un indice di maggiore colpevolezza, l’ambito di operatività si è ampliato attraverso la riforma n. 99 del 1974.

Con l’entrata in vigore di tale riforma il trattamento di favore è stato esteso anche nel caso di violazioni di norme incriminatrici eterogenee.

E’ fondamentale distinguere le due ipotesi che potrebbero verificarsi: una volta emessa una sentenza irrevocabile di condanna per un reato, una cosa è che emerga un altro, realizzato in tempi antecedenti alla pronuncia, altra é l’ipotesi in cui un nuovo reato sia commesso dopo la sentenza definitiva di condanna, per reati di un medesimo disegno criminoso realizzati in tempi precedenti.

Con riguardo alla prima ipotesi, la continuazione tra reati già giudicati e quello nuovo non sarebbe mai ammissibile, qualora quest’ultimo risultasse più grave.

Nel secondo caso invece, potrebbe essere riconosciuto il vincolo della continuazione, essendo in tale ipotesi sufficiente procedere ad un ulteriore aumento di pena, rispetto a quello già operato in relazione alla violazione più grave.

Un orientamento successivo, tuttavia, ha chiarito che la continuazione andrebbe riconosciuta anche nel caso in cui il nuovo reato risulti più grave.

A tal riguardo è importante considerare l’art. 671 c.p.p., secondo il quale viene riconosciuta al giudice dell’esecuzione la facoltà di applicare l’art. 81 c.p., senza operare distinzioni di sorta.

L’art. 81, comma 2, c.p. prevede l’applicazione della pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave, aumentata sino al triplo.

Vi sono diversi dubbi interpretativi, sottolinea l’Avv. Pitorri, specie in merito a quella che deve essere considerata la violazione più grave, alla quale apportare l’aumento proporzionale.

Avvocato Iacopo Maria Pitorri

L’Avvocato Pitorri spiega il giudizio abbreviato e la sua riforma

Il giudizio abbreviato, così come disciplinato dall’art. 438 del codice di procedura penale, è un procedimento che si caratterizza per la mancanza della fase dibattimentale e la definizione del giudizio nella stessa udienza preliminare, allo stato degli atti, fatte salve alcune particolari eccezioni.

Il legislatore lo considera come un giudizio di merito sulla colpevolezza, o sulla innocenza dell’imputato, che ha luogo durante l’udienza preliminare, vale a dire in sede di conversione di un altro rito speciale, ovvero nella fase prima della dichiarazione di apertura del dibattimento (art.452, comma 2, c.p.p.; art. 458 c.p.p.; art.461, comma 3, c.p.p.; art. 555, comma 2, c.p.p.)

Con questo rito “premiale” si rinuncia al dibattimento, snellendo il corso del processo; si abbandona, pertanto, l’acquisizione delle prove nella dialettica tra le parti e degli atti contenuti all’interno del fascicolo del Pubblico Ministero, raccolti nel corso delle indagini preliminari dall’organo requirente, oltre che dal difensore.

 L’abbreviazione del giudizio presuppone che il P.M. abbia già esercitato l’azione penale mediante la formulazione dell’imputazione (art. 405 c.p.p. “il pubblico ministero, quando non deve richiedere l’archiviazione, esercita l’azione penale, formulando l’imputazione …”), richiedendo al giudice la celebrazione dell’udienza preliminare o di altro rito.

La facoltà di rinunciare alla fase dibattimentale spetta esclusivamente all’imputato e non è sindacabile neanche da parte dell’organo giudicante, che ha l’obbligo di accogliere la richiesta di giudizio abbreviato avanzata dallo stesso. Considerata la natura di atto personalissimo, la volontà dell’imputato deve essere espressa personalmente, o a mezzo di procuratore speciale, con sottoscrizione autenticata. Il Pubblico Ministero, ovviamente, non ha tale facoltà.

Secondo quanto enunciato dall’art. 438 c.p.p. (presupposti del giudizio abbreviato): “1) L’imputato può chiedere che il processo sia definito all’udienza preliminare allo stato degli atti, salve le disposizioni di cui al comma 5 del presente articolo e all’articolo 441, comma 5. 2) La richiesta può essere proposta, oralmente o per iscritto, fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli articoli 421 e 422. 3)La volontà dell’imputato è espressa personalmente o per mezzo di procuratore speciale e la sottoscrizione è autenticata nelle forme previste dall’articolo 583, comma 3. 4) Sulla richiesta il giudice provvede con ordinanza con la quale dispone il giudizio abbreviato. Quando l’imputato chiede il giudizio abbreviato immediatamente dopo il deposito dei risultati delle indagini difensive, il giudice provvede solo dopo che sia decorso il termine non superiore a sessanta giorni, eventualmente richiesto dal pubblico ministero, per lo svolgimento di indagini suppletive limitatamente ai temi introdotti dalla difesa. In tal caso, l’imputato ha facoltà di revocare la richiesta”. Ed ancora: “L’imputato ferma restando la utilizzabilità ai fini della prova degli atti indicati nell’articolo 442, comma. 1-bis, può subordinare la richiesta ad una integrazione probatoria necessaria ai fini della decisione. Il giudice dispone il giudizio abbreviato se l’integrazione probatoria richiesta risulta necessaria ai fini della decisione e compatibile con le finalità di economia processuale proprie del procedimento, tenuto conto degli atti già acquisiti ed utilizzabili. In tal caso il pubblico ministero può chiedere l’ammissione di prova contraria. Resta salva l’applicabilità dell’articolo 423. 5-bis) Con la richiesta presentata ai sensi del comma 5 può essere proposta, subordinatamente al suo rigetto, la richiesta di cui al comma 1, oppure quella di applicazione della pena ai sensi dell’articolo 444. 6)In caso di rigetto ai sensi del comma 5, la richiesta può essere riproposta fino al termine previsto dal comma 2.6-bis) La richiesta di giudizio abbreviato proposta nell’udienza preliminare determina la sanatoria delle nullità, sempre che non siano assolute, e la non rilevabilità delle inutilizzabilità, salve quelle derivanti dalla violazione di un divieto probatorio. Essa preclude altresì ogni questione sulla competenza per territorio del giudice”.

Il rito abbreviato è applicabile per qualsiasi tipo di reato. Il vantaggio nell’utilizzo di questo rito speciale, per l’imputato, sta in considerevoli sconti di pena, determinati ai sensi dell’art. 442, comma 2, c.p.p.

I presupposti per applicare il  giudizio abbreviato (scelti liberamente dall’imputato), si palesano  come segue: il primo si basa su di una richiesta semplice dell’imputato, tramite la quale egli si limita a richiedere che il processo venga definito allo stato degli atti. Il secondo, invece, prevede una richiesta complessa, atteso che l’imputato può subordinare la trasformazione del rito alla condizione che vengano assunti taluni mezzi di prova, al fine di colmare un supposto deficit conoscitivo della questione di merito, determinata da lacune dell’attività investigativa.

La richiesta può essere proposta entro determinati limiti temporali, ovvero sino a che non siano formulate le conclusioni all’esito dell’udienza preliminare, il che permette all’imputato di valutare l’opzione di avvalersi del rito abbreviato in un momento seguente all’inquisitoria del pubblico ministero. La richiesta può essere presentata sin dal deposito delle indagini difensive. In caso il giudice abbia concesso al P.M. un termine di sessanta giorni per le indagini suppletive, l’ordinanza con cui si dispone il giudizio abbreviato non può essere emessa prima del decorso di tale termine.

La disciplina del giudizio abbreviato è stata oggetto di una serie di modifiche non uniformi e di difficile interpretazione. La più recente concerne la legge 23 giugno 2017, n. 103, che ha profondamente inciso sulla disciplina del giudizio abbreviato. Fino ad oggi con il rito abbreviato, in caso di condanna, era possibile ottenere uno sconto di pena pari ad un terzo. A seguito delle novità normative entrate da poco in vigore sono stati fissati alcuni rigidi paletti, con i quali viene escluso il rito speciale per coloro che siano accusati di reati come la devastazione, il saccheggio, la strage, l’omicidio aggravato e le ipotesi aggravate di sequestro di persona.

Il provvedimento, definitivamente approvato dal Senato il 2 aprile 2019, modifica degli articoli 429, 438, 441-bis e 442 del codice di procedura penale, non ammette il giudizio abbreviato per delitti per i quali la legge prevede la pena dell’ergastolo. Si tratta, ad esempio, dei delitti di devastazione, saccheggio e strage, strage, omicidio aggravato, nonché delle ipotesi aggravate di sequestro di persona. Prevede che la richiesta di rito abbreviato per uno di tali delitti debba essere dichiarata inammissibile dal giudice dell’udienza preliminare. Consente all’imputato di rinnovare la richiesta fino a che non siano formulate le conclusioni nel corso dell’udienza preliminare. Prevede che se, alla fine del dibattimento, il giudice riconosce che per il fatto accertato era possibile il rito abbreviato, egli debba comunque applicare al condannato la riduzione di pena prevista quando si procede con il rito speciale (diminuzione di un terzo della pena).

L’imputato può rinnovare la richiesta fino a che non siano formulate le conclusioni nel corso dell’udienza preliminare. In questo modo quindi, se alla fine del dibattimento il giudice riconosce che per il fatto accertato sarebbe stato possibile il rito abbreviato, dovrà comunque applicare all’imputato una riduzione di pena prevista quando si procede con il rito speciale.

Avvocato Iacopo Maria Pitorri

L’Avvocato Pitorri spiega il disegno di legge Pillon nel diritto di famiglia

Ci rammenta l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri che circa una anno, fa, precisamente nell’agosto del 2018, è stato assegnato alla commissione giustizia del Senato il disegno di legge 735, altrimenti noto come “disegno di legge Pillon” (dal nome del senatore della lega Simone Pillon). E’ costituito da ventiquattro articoli, che introducono una serie di  modifiche in materia di diritto di famiglia, separazioni e affido condiviso dei minori (che,  una volta entrate in vigore, si applicheranno anche ai procedimenti pendenti).

Considerata la particolare materia, al fine di evitare inutili, sterili lungaggini, per snellire determinate procedure, l’Avvocato Pitorri fa presente che il disegno di legge, introduce alcune procedure stragiudiziali di risoluzione alternativa delle controversie. Prevede, invero, la possibilità di introdurre la mediazione civile obbligatoria per le questioni in cui siano coinvolti i figli minorenni “a pena di improcedibilità”, indicando quale espresso obiettivo del legislatore quello di “salvaguardare per quanto possibile l’unità della famiglia”. A tal fine viene istituito l’albo dei mediatori familiari, con la possibilità di accesso anche agli avvocati iscritti al relativo ordine professionale da almeno cinque anni ( con una pregressa esperienza di almeno dieci nuovi procedimenti in diritto di famiglia e minorile per ogni anno). La mediazione familiare avrà durata massima di sei mesi e l’ipotetico conseguimento di un accordo dovrà soggiacere alla omologazione del tribunale entro e non oltre quindici giorni dal raggiungimento dello stesso, a pena di nullità.Specifica l’Avvocato Pitorri che la partecipazione al procedimento sopra indicato è volontaria, tuttavia il ddl prevede che lo stesso procedimento rivesta carattere di obbligatorietà per le coppie con figli minorenni.

L’articolo 11 del ddl prevede che “indipendentemente dai rapporti intercorrenti tra i due genitori il minore ha diritto a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con il padre e la madre, a ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambe le figure genitoriali e a trascorrere con ciascuno dei genitori tempi adeguati, paritetici ed equipollenti, salvi i casi di impossibilità materiale. Si garantisce, comunque, la permanenza di non meno di dodici giorni al mese, compresi i pernottamenti con ciascun genitore, a meno che non ci sia un motivato pericolo di pregiudizio per la salute psico-fisica del minore in casi tassativamente individuati. Il giudice, inoltre, nell’affidare in via condivisa i figli minori, dovrà stabilire il doppio domicilio dello stesso ai fini delle comunicazioni scolastiche, amministrative e relative alla salute.”

Il mantenimento deve essere ripartito tra i due genitori. Diventa, cioè, diretto,  dovendo ciascun genitore contribuire per il tempo in cui il figlio gli è affidato. Il piano genitoriale, pertanto, dovrà contenere la ripartizione per ciascun capitolo di spese, sia delle spese ordinarie che di quelle straordinarie.

Il  disegno di legge in materia di famiglia, ha come obiettivo principale quello di contrastare il fenomeno della cosiddetta “alienazione genitoriale”, vale a dire quella condotta attivata da uno dei due genitori posta in essere per allontanare il figlio dall’altro genitore. Questo perché , chiarisce l’Avvocato Pitorri  quando vi è una crisi familiare, generalmente il diritto del minore ad avere entrambi i genitori finisce frequentemente violato, con la concreta esclusione di uno dei genitori (la maggior parte delle volte il padre) dalla vita dei figli, e con il contestuale eccessivo rafforzamento del ruolo dell’altro genitore.

Al riguardo prevedono espressamente gli articoli 17 e 18 del ddl che “qualora il minore manifestasse rifiuto, alienazione o estraneazione verso uno dei genitori, pur in assenza di evidenti condotte di uno degli stessi a  giustificazione di tale comportamento, il giudice incaricato potrà prendere dei provvedimenti di urgenza: limitazione o sospensione della responsabilità genitoriale, inversione della residenza abituale del figlio minore presso l’altro genitore o il collocamento provvisorio del minore presso una apposita struttura specializzata”.

Qualora si presentino ipotesi di alienazione genitoriale il giudice, ai sensi dell’art. 9 del presente ddl,  potrà punire con il pagamento di una somma a titolo di risarcimento danni le “manipolazioni psichiche” o gli “atti che arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità di affidamento”. Tutto ciò, sottolinea l’Avvocato Pitorri, nell’esclusivo interesse del minore.

Prima del 2006 era compito del tribunale stabilire a quale genitore i figli dovessero essere affidati in via esclusiva. Dal 2006, con la legge sopra indicata, è stato introdotto il principio dell’affido condiviso, salvo i casi in cui questo potesse risultare dannoso per i minori. Tuttavia le percentuali di affidi paritetici risultano a dir poco allarmanti. Tant’è vero, come sostenuto dall’ideatore del ddl, ci si è ritrovati spesso di fronte ad un affido che nei fatti risulta ancora esclusivo, pur dovendo essere invece condiviso.

Con riferimento al concetto di mantenimento diretto, invece, preme osservare come lo stesso sia già presente nel nostro ordinamento e, dalla lettera della legge, si evince come residuale l’ipotesi in cui uno dei genitori corrisponda all’ex partner le somme di cui il minore ha bisogno.

Dispone, infatti, l’art. 337 ter c.c. Che “salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando le attuali esigenze del figlio, il tenore di vita, i tempi di permanenza presso ciascun genitore, le risorse economiche di entrambi i genitori, la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore”.

Il disegno di legge Pillon si inserisce in un contesto normativo che riguarda le questioni relative all’affidamento dei figli minori nei casi di separazione dei genitori,  già profondamente riformato dalla legge 8 febbraio 2006 n. 54.

Non si esclude, comunque, che il disegno di legge in questione, rivoluzionando il sistema, in ambito di famiglia comporti anche  probabilmente delle complicazioni in merito alle procedure di separazione e divorzio, rendendo di fatto separazione e divorzio accessibili soprattutto a soggetti economicamente abbienti, dovendo risultare necessario, come detto, investire dell’incombenza un mediatore, redigere un dettagliato piano familiare sulle amicizie e frequentazioni dei figli etc., con i relativi costi chiaramente ipotizzabili. Oltre ciò, il piano familiare o genitoriale sopra indicato, oltre a comportare un inutile esborso economico e, per l’effetto, disincentivare la separazione dei coniugi, ridurrebbe la libertà di scelta del minore.

                                                                               Avvocato Iacopo Maria Pitorri

L’Avvocato Pitorri spiega i principi di correttezza e buona fede nel rapporto di lavoro

L’Avvocato Iacopo Maria Pitorri, si trova sovente, nell’espletamento della professione forense, a dover prendere in considerazione, nelle varie fattispecie sottoposte alla sua attenzione, e a dover spiegare ai clienti che, magari, hanno delle problematiche inerente a un contratto, un negozio giuridico in genere, ovvero un rapporto professionale con un altro individuo, i principi di “correttezza” e “buona fede”. Hanno una importanza fondamentale, oltre che dal punto di vista umano, anche nel nostro ordinamento giuridico. In virtù di essi, ogni contraente è tenuto ad una determinata condotta, nonché alla cooperazione per realizzare l’interesse di controparte. Sono certamente il filtro necessario per impedire che l’esercizio della discrezionalità di ciascuna delle parti del rapporto possa provocare discriminazione, vessazione o, comunque, un mero arbitrio in danno di controparte. Il diritto datoriale di libertà nella iniziativa economica è costituzionalmente riconosciuto all’art. 41 della Carta Costituzionale. Presenta, tuttavia dei limiti che sfociano negli obblighi di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 del codice civile). Ciò non solo per quanto concerne la stipulazione, ma anche per la interpretazione e l’esecuzione del contratto (artt. 1366,1175,1375 del codice civile). Posto che, argomentando su questi due aspetti così importanti per il diritto, si potrebbe facilmente incorrere in una sterile astrattezza, citando un esempio, l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri richiama una pronuncia della Corte di Cassazione su questi due principi.

In giurisprudenza si è andata sempre più propagando la condotta, da parte dei lavoratori cassieri, addetti e/o commessi di vendita nel commercio al dettaglio che hanno ad oggetto episodi in cui la carta fedeltà, propria o di soggetti terzi, viene impropriamente utilizzata dal dipendente al fine di trarre un vantaggio diretto e/o indiretto. Molto spesso le carte fedeltà consentono di accumulare punti che possono, a loro volta, essere tramutati in buoni sconto da utilizzare in diversi punti vendita. Si tratta di condotte che, pur cagionando in molti casi un danno economico esiguo, incrinano de facto il rapporto fiduciario e vengono sanzionate con un licenziamento disciplinare da parte del datore di lavoro. La Cassazione, sezione lavoro, con la recente sentenza 11181/2019, ha ritenuto legittima la decisione presa dalla Corte d’Appello in merito al licenziamento della cassiera di un negozio, provvedimento ritenuto illegittimo, invece, dal giudice di secondo grado. Ha osservato la Suprema Corte che la Corte d’Appello ha ben valutato il venir meno dell’elemento fiduciario nel rapporto con al datore di lavoro “indipendentemente da una valutazione economica dell’entità del danno causato, certamente non rilevante, valorizzando invece la gravità della condotta, ricollegata alla truffa”. La pronuncia della Cassazione si fonda su un indirizzo maggioritario, dal quale si evince importanza del vincolo fiduciario che caratterizza il rapporto di lavoro subordinato in collegamento diretto con i doveri di correttezza e buona fede ex articoli 1175 e 1375 del codice civile. Buona fede e correttezza integrano le clausole generali, che hanno lo scopo di dare una determinata proporzionalità al sistema del diritto del lavoro. L’inosservanza di questi due fondamentali principi, fa scattare le sanzioni disciplinari. Rifacendosi alla sentenza suddetta, emerge che comportamenti come l’uso improprio della carta fedeltà, in astratto, da un punto di vista meramente positivistico, possa configurare una condotta legittimante un licenziamento. Così, però, in concreto non é. Il dovere di solidarietà sociale, di cui all’articolo 2 della nostra Carta Fondamentale, ha la funzione di mitigare le norme. Il requisito della buona fede, quando entra in gioco, genera equilibrio in un rapporto contrattuale, nel quale una parte avrebbe più forza rispetto all’altra. Nel quale tale clausola è, come ribadito, un limite al potere di una parte, che altrimenti sarebbe libera di agire a proprio totale arbitrio. Questa è dunque una prospettiva di sistema. Questi sono principi cardine del diritto del lavoro. D’altro canto, vige, in ulteriore ipotesi, in diritto, un principio di conservazione dei rapporti. E dunque, sotto tale prospettiva, vanno valutate, in un’ottica di sistema, non solo pronunce come quella commentata dall’Avvocato Pitorri ma, soprattutto le clausole di buona fede e correttezza, nel diritto e nel rapporto di lavoro.