In Kenya l’assemblea ONU sull’ambiente.

A Nairobi, in Kenya, si è tenuta la quarta Assemblea delle Nazioni Unite sull’ambiente.

A Nairobi, in Kenya, si  è tenuta  la quarta Assemblea delle Nazioni Unite sull’ambiente.

 L’Onu è l’Organizzazione delle Nazioni Unite – intergovernativa a carattere internazionale – nata il 24 ottobre 1945 (successivamente alla fine della seconda guerra mondiale).

 Ad aderire, con l’entrata in vigore dello Statuto delle Nazioni Unite, furono 193 Stati del mondo, sul totale dei 196 riconosciuti sovrani.

L’assemblea sull’ambiente ha avuto inizio con la emblematica bandiera azzurra a mezz’asta, in segno di lutto, ed un minuto di silenzio osservato all’apertura di ciascuna riunione, per la tragedia del Boeing 737 della Ethiopian Airlines (avvenuta l’11 marzo 2019),  in cui sono morte 157 persone, tra cui 19 dipendenti Onu.

I delegati di 193 Stati membri dell’Onu, ministri, rappresentanti di Ong (Organizzazioni non governative) e amministratori di multinazionali si  sono confrontati sulle tematiche ambientali, con l’obiettivo di incrementare sforzi ed energie per salvare il pianeta dal cambiamento climatico e dall’eccessivo sfruttamento delle risorse. Altri argomenti le nuove tecnologie e in particolare della geo-ingegneria, considerate soluzioni alternative all’eccessiva produzione di Co2 (anidrite carbonica), di riduzione dei consumi, di spreco alimentare e dell’inquinamento marino da plastiche di ogni tipo.

Anche il Santo Padre (costantemente attento al tema del rispetto della “Casa comune”, cui ha dedicato l’Enciclica ‘”Laudato si”, qualche  giorno fa,  accogliendo in Vaticano i partecipanti alla Conferenza su religioni e sviluppo sostenibile), ha sottolineato quanto fosse necessaria una sorta di “conversione ecologica” del mondo attuale.

Il WWF (la più grande organizzazione mondiale impegnata nella conservazione della natura) ha lanciato una mobilitazione internazionale gridando il motto “Plastic Free Oceans” –  fuori la plastica dai nostri mari: il tutto per velocizzare il più possibile la totale eliminazione dei prodotti di plastica monouso sia in Europa,  che in Italia.

Le problematiche trattate all’evento di Nairobi  hanno riguardato tutti i problemi ambientali: dal clima, alla biodiversità, al sovrasfruttamento delle risorse, in una modalità coordinata e costruttiva.

 Da quanto emerge dall’ultimo report del WWF, invero, circa cento milioni di tonnellate di plastica, ogni anno, vengono disperse nel mondo e circa nove milioni sono le tonnellate che finiscono annualmente nei nostri Oceani.

A Nairobi, in Kenya, si è tenuta la quarta Assemblea delle Nazioni Unite sull’ambiente.

 L’Onu è l’Organizzazione delle Nazioni Unite – intergovernativa a carattere internazionale – nata il 24 ottobre 1945 (successivamente alla fine della Seconda guerra mondiale).

 Ad aderire, con l’entrata in vigore dello Statuto delle Nazioni Unite, furono 193 Stati del mondo, sul totale dei 196 riconosciuti sovrani.

L’assemblea sull’ambiente ha avuto inizio con la emblematica bandiera azzurra a mezz’asta, in segno di lutto, ed un minuto di silenzio osservato all’apertura di ciascuna riunione, per la tragedia del Boeing 737 della Ethiopian Airlines (avvenuta l’11 marzo 2019), in cui sono morte 157 persone, tra cui 19 dipendenti Onu.

I delegati di 193 Stati membri dell’Onu, ministri, rappresentanti di Ong (Organizzazioni non governative) e amministratori di multinazionali si sono confrontati sulle tematiche ambientali, con l’obiettivo di incrementare sforzi ed energie per salvare il pianeta dal cambiamento climatico e dall’eccessivo sfruttamento delle risorse. Altri argomenti le nuove tecnologie e in particolare della geo-ingegneria, considerate soluzioni alternative all’eccessiva produzione di Co2 (anidrite carbonica), di riduzione dei consumi, di spreco alimentare e dell’inquinamento marino da plastiche di ogni tipo.

Anche il Santo Padre (costantemente attento al tema del rispetto della “Casa comune”, cui ha dedicato l’Enciclica ‘”Laudato si”, qualche giorno fa, accogliendo in Vaticano i partecipanti alla Conferenza su religioni e sviluppo sostenibile) ha sottolineato quanto fosse necessaria una sorta di “conversione ecologica” del mondo attuale.

Il WWF (la più grande organizzazione mondiale impegnata nella conservazione della natura) ha lanciato una mobilitazione internazionale gridando il motto “Plastic Free Oceans” – fuori la plastica dai nostri mari: il tutto per velocizzare il più possibile la totale eliminazione dei prodotti di plastica monouso sia in Europa, che in Italia.

Le problematiche trattate all’evento di Nairobi hanno riguardato tutti i problemi ambientali: dal clima, alla biodiversità, al sovra sfruttamento delle risorse, in una modalità coordinata e costruttiva.

 Da quanto emerge dall’ultimo report del WWF, invero, circa cento milioni di tonnellate di plastica, ogni anno, vengono disperse nel mondo e circa nove milioni sono le tonnellate che finiscono annualmente nei nostri Oceani.

Avvocato Iacopo Maria Pitorri

I vescovi di Panama e i migranti

È stato recentemente reso pubblico un autorevole documento steso dai vescovi di Panama, lo Stato famoso per l’omonimo istmo, che rappresenta il punto in cui (come dicono i panamensi) gli oceani – Atlantico e Pacifico – si baciano. La relazione dei religiosi panamensi è emersa alla chiusura della duecentonovesima assemblea plenaria della Conferenza episcopale.

E’ stato recentemente reso pubblico un autorevole  documento steso dai vescovi di Panama, lo Stato famoso per l’omonimo istmo, che rappresenta il punto in cui (come dicono i panamensi) gli oceani  – Atlantico e Pacifico –  si baciano. La relazione dei religiosi panamensi è emersa alla chiusura della duecentonovesima assemblea plenaria della Conferenza episcopale.

Nel documento sono trattati temi degni di grande attenzione. Vi è, innanzitutto, un particolare ringraziamento al popolo panamense per la riuscita della Giornata Mondiale della Gioventù, con cui si è impegnata la Chiesa per “dare ai giovani spazi di partecipazione nelle strutture della Chiesa e della società, perché possano assumere le sfide della trasformazione sociale dinanzi alle ingiustizie, all’indifferenza e al negativismo del cambiamento”. I vescovi hanno manifestato la chiara intenzione di voler dare nuova vita alla Pastorale giovanile, per creare dialogo e lavoro comune, aggiornandosi sull’uso delle nuove tecnologie per evangelizzare il mondo digitale, con speciale attenzione ai popoli indigeni.

Oltre ciò, nel testo vi è un richiamo al documento “Protegiendo Nuestro Tesoro”, attraverso il quale la Chiesa panamense apre le sue braccia ad una forte protezione dei minori, con la stessa intensità e decisione, chiesta dalla Santa sede.

Ulteriormente viene trattato un argomento di non poco conto: quello relativo ai migranti.  Accennando alla realtà nazionale, i vescovi di Panama hanno palesato un concetto di fondo:  “come Chiesa non possiamo essere indifferenti al dramma che avviene ai nostri confini, dove centinaia di persone migrano con grande difficoltà, a rischio della loro vita, esposte alle reti della tratta di esseri umani, in condizioni veramente dolorose”. E ancora “Sfortunatamente, l’arrivo di questi migranti ha generato stereotipi in alcuni settori, perché pensano che tolgono il lavoro o portano malattie. Ci sono persino segni di xenofobia in un Paese la cui vocazione è di apertura, accoglienza e servizio al mondo. La Chiesa ha l’impegno cristiano di accogliere e proteggere il migrante, non possiamo restare indifferenti”.

Ciò che, pertanto, appare da questo importante testo è una esortazione a vincere le discriminazioni, nel tentativo di assumersi, ognuno,  responsabilità sociale nei confronti del prossimo, degli esclusi e degli impoveriti (compito specifico dei laici). Un Paese di solidarietà, fratellanza, giusto ed equo, con trasparenza, consapevolezza e responsabilità, quindi, è ciò che auspica la chiesa panamense.

In vista, poi, delle votazioni del  prossimo 5 maggio (con le elezioni i panamensi eleggeranno anche il nuovo Presidente della Repubblica), i vescovi hanno invitato tutti ad un voto responsabile, motivato nello scegliere coloro che hanno veramente l’impegno per la dignità della persona e del bene comune.

È stato recentemente reso pubblico un autorevole documento steso dai vescovi di Panama, lo Stato famoso per l’omonimo istmo, che rappresenta il punto in cui (come dicono i panamensi) gli oceani – Atlantico e Pacifico – si baciano. La relazione dei religiosi panamensi è emersa alla chiusura della duecentonovesima assemblea plenaria della Conferenza episcopale.

Nel documento sono trattati temi degni di grande attenzione. Vi è, innanzitutto, un particolare ringraziamento al popolo panamense per la riuscita della Giornata Mondiale della Gioventù, con cui si è impegnata la Chiesa per “dare ai giovani spazi di partecipazione nelle strutture della Chiesa e della società, perché possano assumere le sfide della trasformazione sociale dinanzi alle ingiustizie, all’indifferenza e al negativismo del cambiamento”. I vescovi hanno manifestato la chiara intenzione di voler dare nuova vita alla Pastorale giovanile, per creare dialogo e lavoro comune, aggiornandosi sull’uso delle nuove tecnologie per evangelizzare il mondo digitale, con speciale attenzione ai popoli indigeni.

Oltre ciò, nel testo vi è un richiamo al documento “Protegiendo Nuestro Tesoro”, attraverso il quale la Chiesa panamense apre le sue braccia ad una forte protezione dei minori, con la stessa intensità e decisione, chiesta dalla Santa sede.

Ulteriormente viene trattato un argomento di non poco conto: quello relativo ai migranti.  Accennando alla realtà nazionale, i vescovi di Panama hanno palesato un concetto di fondo: “come Chiesa non possiamo essere indifferenti al dramma che avviene ai nostri confini, dove centinaia di persone migrano con grande difficoltà, a rischio della loro vita, esposte alle reti della tratta di esseri umani, in condizioni veramente dolorose”. E ancora “Sfortunatamente, l’arrivo di questi migranti ha generato stereotipi in alcuni settori, perché pensano che tolgono il lavoro o portano malattie. Ci sono persino segni di xenofobia in un Paese la cui vocazione è di apertura, accoglienza e servizio al mondo. La Chiesa ha l’impegno cristiano di accogliere e proteggere il migrante, non possiamo restare indifferenti”.

Ciò che, pertanto, appare da questo importante testo è una esortazione a vincere le discriminazioni, nel tentativo di assumersi, ognuno, responsabilità sociale nei confronti del prossimo, degli esclusi e degli impoveriti (compito specifico dei laici). Un Paese di solidarietà, fratellanza, giusto ed equo, con trasparenza, consapevolezza e responsabilità, quindi, è ciò che auspica la chiesa panamense.

In vista, poi, delle votazioni del prossimo 5 maggio (con le elezioni i panamensi eleggeranno anche il nuovo Presidente della Repubblica), i vescovi hanno invitato tutti ad un voto responsabile, motivato nello scegliere coloro che hanno veramente l’impegno per la dignità della persona e del bene comune.

Avvocato Iacopo Maria Pitorri

Migranti in mare

Il 7 marzo 2019, tre migranti, due dei quali bambini, sono morti nel naufragio di una imbarcazione con a bordo dodici persone. Si trovavano davanti all’isola greca di Samos.

I due bambini sono morti dopo essere stati recuperati dai soccorritori. Successivamente si è avuto il ritrovamento del corpo senza vita di un uomo. A bordo dell’imbarcazione c’era anche un altro bambino. La barca era partita dalle coste della Turchia. Le persone sull’imbarcazione avevano portato con sé il sogno e la speranza di una vita migliore, lasciandosi alle spalle storie di dolore e sofferenze subite. Durante la notte, tuttavia, al largo di Samos, il natante è affondato. La Guardia costiera greca ha comunicato di aver ricevuto un “SOS” e di aver immediatamente avviato le ricerche, sia per mare, che con gli elicotteri intorno all’isola, nel Mar Egeo. I sopravvissuti al naufragio della piccola imbarcazione, hanno riferito che un uomo risultava disperso. I guardacoste ritengono che sia suo il corpo rinvenuto la mattina sulla costa. Non sono ancora chiare le cause del naufragio.

Di contro ad un tale dramma, durante la medesima notte sono sbarcati quaranta migranti sull’isola di Lampedusa, su di una piccola imbarcazione in legno con due motori, giunti da Sabratha (in Libia),  in totale autonomia, a circa 2,6 miglia dall’isola. A bordo vi erano ventinove uomini, tre donne e sedici minori (di cui due molto piccoli). Sono intervenuti un elicottero militare maltese, CP 300 della Guardia Costiera e motovedette della Guardia di Finanza.

E, sempre a Lampedusa, sono arrivati otto tunisini su un barchino partito dalla Tunisia.

Precedentemente, una nave maltese ha dato soccorso a ben ottantasette migranti, che si trovavano su una barca in legno arrivata a 30 miglia da Lampedusa. Il natante era stato individuato dalla centrale operativa della guardia costiera di Roma. In zona, un velivolo militare maltese aveva chiesto il soccorso ad una nave militare italiana, che si trovava vicino all’imbarcazione in difficoltà. Non potendo intervenire la suddetta nave militare a causa di problemi tecnici, si è attivata la marina maltese, soccorrendo i migranti, che sono poi sbarcati a Malta.

Vicende umane, queste, che hanno per protagonisti persone davvero bisognose, con uno scenario estremamente difficile, imprevedibile ed insidioso, che può essere fatale: il mare.

Avvocato Iacopo Pitorri

Migranti, la Ong “Mare Jonio” torna nel Mediterraneo

Nei prossimi giorni la Ong italiana “Mare Jonio” tornerà nel mar Mediterraneo per monitorare ed eventualmente soccorrere i migranti, coloro che abbandonano le coste del proprio paese, per ritrovarsi ad affrontare un pericoloso viaggio in mare, portando con sé solo la speranza di una vita migliore.

Il 13 marzo 2019, quindi, se le ispezioni a bordo ad opera della Capitaneria di Porto di Palermo non rileveranno irregolarità, la “Mare Jonio” mollerà gli ormeggi e partirà alla volta del Mediterraneo centrale, vale a dire di quel tratto di mare che separa la Libia dall’Italia, per i migranti che cercano di attraversarlo.

Ad oggi l’Ong italiana è una delle poche rimasta nel Mediterraneo per soccorrere i migranti. Dopo la chiusura dei porti da parte dell’Italia (e il calo delle partenze), a sorvegliare le acque con la suddetta Ong, invero, vi sono Sea Watch, Sea Eye e Open Arms. La Sea Watch, a seguito della  questione emersa a fine gennaio, relativa ai migranti a bordo, è rimasta poi per diversi giorni nel porto di Catania, posto che sono state individuate alcune irregolarità ma, successivamente, è ripartita per Marsiglia. 

In ogni modo, in attesa che pure Sea Watch intraprenda la navigazione nel Mediterraneo ci sarà la “Mare Jonio”.

La Ong – si precisa – è un’Organizzazione Non Governativa, indipendente dagli Stati. Senza ricevere alcun fondo, persegue diversi obiettivi di utilità sociale, cause politiche o di cooperazione allo sviluppo. Tra i diversi ambiti, in cui opera, vi è la protezione delle minoranze e la difesa dei diritti umani. In buona sostanza le Ong intervengono direttamente con navi private nel Mediterraneo per le attività di ricerca e salvataggio, in coordinamento con la Guardia Costiera italiana.

Entrambe le Ong in questione hanno partecipato alla manifestazione antirazzista “People – prima le persone”, che ha sfilato nel centro della città di Milano, lo scorso 2 marzo, per chiedere  la inclusione, pari opportunità e una democrazia reale per un Paese senza discriminazioni, senza muri e senza barriere. Dalla “Mare Jonio” è giunto un ringraziamento a “People” per aver ricordato che “i recinti, i muri e il filo spinato saranno travolti se essa si mette in cammino”. Sea Watch, invece, nella medesima occasione, tra circa 250mila persone, ha marciato dietro ad uno striscione eloquente: “Zero sbarchi, sei morti al giorno. Nel Mediterraneo annega l’Europa”.

Avvocato Iacopo Maria Pitorri

I migranti e il Franco CFA

Il franco CFA è la valuta utilizzata da quattordici paesi africani, che costituisce, in parte, la zona franco. In origine, nel 1945, significava “Franco delle Colonie Francesi d’Africa” (abbreviato FCFA). Oggi è diventato acronimo di “Comunità Finanziaria Africana”, rapportata, a far data dal 1999 alla moneta unica europea. Basti pensare che 1 euro corrisponde a ben 656 CFA.

 Si parla di 11 miliardi di euro investiti in titoli di stato francesi, a garanzia del cambio monetario.

La zona monetaria Franco CFA è costituita da tre zone governate da altrettante banche centrali. Una è il Cemac (che include Congo, Gabon, Camerun, Guinea Equatoriale, Ciad e Repubblica Centroafricana). Tra il 1974 e il 2014 hanno registrato inflazioni medie annue piuttosto contenute. L’altra zona, Uemoa (formata da Costa d’Avorio, Senegal, Mali, Burkina Faso, Benin, Niger, Togo e Guinea-Bissau) ha registrato aumenti dei prezzi medi annui inferiori. La terza zona a Franco CFA è quella delle Isole Comore, che mantengono una loro banca centrale.

Sempre tra il 1974 e il 2014 altri Paesi subsahariani – non aderenti all’area monetaria del Franco CFA (ma che, in alcuni casi, scelgono di agganciarsi al dollaro) –  hanno avuto medie d’inflazione annua più elevate. Per citare degli esempi: l’Etiopia l’11,2%, il Kenya il 13,7%, la Nigeria il 17,6%, l’Uganda il 22%, il Ghana il 31,9%. Ne deriva che avere una valuta stabile – di fatto agganciata alla politica monetaria della Bce (Banca centrale europea) – tende a mantenere più basso di quello che potrebbe essere l’aumento generale dei prezzi.

Dal 1974 al 2014, i Paesi con Franco CFA hanno registrato crescite del Pil (Prodotto Interno Lordo) un po’ più basse di chi non faceva parte dell’area monetaria.

Non vi è dubbio che il Franco CFA permette ai Paesi che lo usano una maggiore stabilitàgarantita dal collegamento diretto con l’area monetaria dell’Euro, anche se si verifica una minore crescita economica. Va precisato, tuttavia, che nella valutazione dei tassi d’inflazione e di crescita debbono essere considerate diverse varianti, oltre alla valuta. In altri termini: chi non usa il Franco CFA deve impegnarsi non poco per far sì che la sua moneta acquisisca una certa stabilità, atteso che non ha la garanzia implicita della Banca centrale europea. Al contrario, chi usa il Franco CFA deve sopperire a una minore capacità di agire sul valore della sua moneta sui mercati internazionali, con politiche a favore della crescita di altro genere.

Si ritiene che vi è anche una influenza della Francia sulle sue ex colonie, sia sulla politica monetaria che nei rapporti commerciali, nonché una sorta di diritto di prelazione ai prodotti francesi, fino alle condizioni di favore di cui godono le multinazionali francesi: Bolloré, nei settori dei trasporti e delle logistica; Bouygues, nel settore delle costruzioni; le aziende pubbliche Cogema, Areva e Orano, nel settore dell’uranio ed Elf Aquitaine e Total in quello petrolifero.

L’adesione è volontaria: nessuno impedisce a questi paesi di mantenere il cambio con l’euro, rivolgendosi direttamente alla Bce (che, verosimilmente, potrebbe investire sui titoli dell’area euro e non solo francesi). Se non sempre viene fatto è perché  si ritiene di utilizzare i buoni uffici della Francia. I paesi coinvolti, però, potrebbero in qualunque momento decidere di uscire dal Franco CFA e tornare alla moneta locale. Ovviamente da non sottovalutare è il fatto che i governi che aderiscono all’area faticherebbero ad avere una loro banca centrale, con una politica monetaria in grado di convincere il mercato internazionale dei cambi. Dal 2014 al 2018 dalle aree CFA è giunto sulle nostre coste il 15% dei migranti, dal resto dell’Africa il 43%.

Avvocato Iacopo Pitorri

I migranti e Angela Merkel

A metà dicembre del 2018, di contro allo scetticismo dell’Italia relativo all’opportunità o meno di firmare il Global compact (noto documento sottoscritto da diversi Stati e promosso dalle Nazioni Unite a favore dell’immigrazione), Angela Merkel, a Marrakech –  in Marrocco –  si è attivata alacremente, sostenendo  il patto internazionale sulle migrazioni.

Il Global compact è stato protagonista in tutto il mondo di una campagna di comunicazione politica estremamente discussa, posto che alcuni Stati hanno sempre visto (e tuttora vedono) l’accordo come uno strumento volto a  favorire una sorta di invasione e immigrazione incontrollata. La famosa politica tedesca, invece, nel suo ruolo di cancelliere per il quarto mandato consecutivo, in quell’occasione ha definito gli immigrati portatori di prosperità (quando legali).

Al di là, tuttavia, delle sue ammirevoli dichiarazioni, i princìpi di apertura delle frontiere della Germania verso i migranti hanno inciso non poco sulle tensioni interne, che hanno portato la Merkel alle dimissioni dalla guida del partito e, quindi, alla rinuncia alla prossima Cancelleria. La stessa, invero, ha annunciato il suo ritiro dalla politica nel 2021, all’indomani del calo di consensi per la CDU (il partito tedesco dell’Unione Cristiano-Democratica di Germania), nelle elezioni in Assia.

Considerato, pertanto, che tra le diverse cause della fine del mandato Merkel vi è, appunto, anche la questione migratoria, volendo risollevare le sorti del Governo e della CDU, ultimamente la Cancelliera ha rivisto la sua posizione: più controlli all’ingresso, accordi per i respingimenti e rimpatri.

Basti pensare che lo scorso gennaio l’interrogazione di una deputata della Linke (il partito della sinistra tedesca) ha portato alla luce l’incremento di espulsioni di “dublinanti”. Più specificamente sono migranti che, entrati in Grecia o in Italia, hanno attraversato le frontiere nella speranza di ricostruirsi una vita in Nord Europa. Per le regole di Dublino sono gli Stati di primo approdo a doversi far carico della domanda. Ebbene, su 51.558 migranti esaminati da Berlino, in 35.375 casi la domanda della Merkel all’Unione Europea di riprendersi i dublinanti sarebbe stata accolta. La quota di immigrati in uscita dalla Germania, quindi, è salita dal 15,1% al 24% tra il 2017 e il 2018.

Si sono, inoltre, riscontrati i cosiddetti respingimenti immediati. Da agosto 2018 la Germania ha espulso 11 clandestini bloccati alla frontiera con l’Austria. Secondo il settimanale tedesco Focus, nove di questi sarebbero stati riportati in Grecia e due in Spagna. Si tratta di un cambiamento di non poco conto, frutto degli accordi raggiunti da Berlino con Atene e Madrid.

La Merkel, ad onor di cronaca, ha posto in essere diversi tentativi anche con l’Italia, ma finora non ci sono sviluppi dal fronte delle trattative tra Italia e Germania.

Avvocato Jacopo Pitorri

La marcia antirazzismo “people” a Milano

Il 2 marzo 2019, decine di migliaia di persone (gli organizzatori parlano di più di 250mila) si sono ritrovate a Milano per prendere parte alla manifestazione antirazzista “People – prima le persone”, che ha sfilato nel centro della città per chiedere “inclusione, pari opportunità e una democrazia reale per un Paese senza discriminazioni, senza muri e senza barriere”. Si è trattato del secondo appuntamento, dopo la marcia dei centomila del 20 maggio 2017, che riportava la sigla “Insieme senza muri”.

Il  2 marzo 2019, decine di migliaia di  persone (gli organizzatori parlano di più di 250mila) si sono ritrovate a Milano per prendere parte alla manifestazione antirazzista “People –  prima le persone”, che ha sfilato nel centro del città per chiedere “inclusione, pari opportunità e una democrazia reale per un Paese senza discriminazioni, senza muri e senza barriere”. Si è trattato del secondo appuntamento, dopo la marcia dei centomila del 20 maggio 2017, che riportava la sigla “Insieme senza muri”.

A marciare pacificamente, tra la musica ad alto volume, slogan e tanti colori, vi erano famiglie, giovani, adulti e anziani provenienti principalmente da Milano, oltre che da altre città del nord Italia e perfino da centro e sud del Paese. Sparsi per il corteo, tra circa una decina di carri ed una moltitudine di bandiere con i colori della pace,tra la musica diffusa ad alto volume da una decina di carri e dalle bande e dai gruppi musicali sparsi per tutto il lungo corteo, e sotto centinaia di bandiere con i toni della pace ( e non bandiere politiche ), hanno sfilato insieme con diversi migranti e con le comunità straniere di Milano, anche politici ed esponenti a capo di associazioni, organizzazioni, movimenti, gruppi e collettivi che si occupano di migranti, diritti civili, pacifismo (le Acli, l’Arci, Amnesty, Legambiente, Comunità di Sant’Egidio, Caritas diocesana, Cgil, Cisl Uil). Anche le “mamme per la pelle”, giunte da tutta Italia con i loro figli adottivi, hanno attraversato le vie di Milano, riunite dietro lo striscione “il mondo che vogliamo è una storia a colori”.

A dire degli organizzatori la manifestazione è stata organizzata “per dire no alla politica della paura e alla cultura della discriminazione”, e chiedere “una politica fondata sull’affermazione dei diritti umani, sociali e civili, contro diseguaglianza, sfruttamento e precarietà”, e “un mondo che metta al centro le persone”.

Non sono mancate le bandiere della Ong Sea Watch. La nave, al momento, si trova a Marsiglia per ragioni di manutenzione, dopo aver lasciato Catania la scorsa settimana, con l’intento, però, di tornare per mare a metà marzo.

Il Sindaco di Milano, che ha espresso meritevoli pensieri riguardo la manifestazione, ha sottolineato che in un “momento di grande cambiamento per il Paese è questa la nostra visione di Italia”. E ancora “A livello di società ci troviamo a uno spartiacque. Da qui, da Milano può ripartire un’idea diversa d’Italia”.

Il 2 marzo 2019, decine di migliaia di persone (gli organizzatori parlano di più di 250mila) si sono ritrovate a Milano per prendere parte alla manifestazione antirazzista “People – prima le persone”, che ha sfilato nel centro della città per chiedere “inclusione, pari opportunità e una democrazia reale per un Paese senza discriminazioni, senza muri e senza barriere”. Si è trattato del secondo appuntamento, dopo la marcia dei centomila del 20 maggio 2017, che riportava la sigla “Insieme senza muri”.

A marciare pacificamente, tra la musica ad alto volume, slogan e tanti colori, vi erano famiglie, giovani, adulti e anziani provenienti principalmente da Milano, oltre che da altre città del nord Italia e perfino da centro e sud del Paese. Sparsi per il corteo, tra circa una decina di carri ed una moltitudine di bandiere con i colori della pace, tra la musica diffusa ad alto volume da una decina di carri e dalle bande e dai gruppi musicali sparsi per tutto il lungo corteo, e sotto centinaia di bandiere con i toni della pace ( e non bandiere politiche ), hanno sfilato insieme con diversi migranti e con le comunità straniere di Milano, anche politici ed esponenti a capo di associazioni, organizzazioni, movimenti, gruppi e collettivi che si occupano di migranti, diritti civili, pacifismo (le ACLI, l’ARCI, Amnesty, Legambiente, Comunità di Sant’Egidio, Caritas Diocesana, CGIL, CISL UIL). Anche le “mamme per la pelle”, giunte da tutta Italia con i loro figli adottivi, hanno attraversato le vie di Milano, riunite dietro lo striscione “il mondo che vogliamo è una storia a colori”.

A dire degli organizzatori la manifestazione è stata organizzata “per dire no alla politica della paura e alla cultura della discriminazione”, e chiedere “una politica fondata sull’affermazione dei diritti umani, sociali e civili, contro diseguaglianza, sfruttamento e precarietà”, e “un mondo che metta al centro le persone”.

Non sono mancate le bandiere della ONG Sea Watch. La nave, al momento, si trova a Marsiglia per ragioni di manutenzione, dopo aver lasciato Catania la scorsa settimana, con l’intento, però, di tornare per mare a metà marzo.

Il Sindaco di Milano, che ha espresso meritevoli pensieri riguardo la manifestazione, ha sottolineato che in un “momento di grande cambiamento per il Paese è questa la nostra visione di Italia”. E ancora “A livello di società ci troviamo a uno spartiacque. Da qui, da Milano può ripartire un’idea diversa d’Italia”.

Avvocato Jacopo Maria Pitorri

Migranti e moda

Nel 1976 ben trenta donne di un quartiere di Milano (quasi tutte casalinghe), hanno rivendicato il diritto di poter accedere anche loro ai corsi di formazione per la licenza media: certamente una faticosa conquista, ottenuta dalla lotta operaia di quegli anni. Moglie, madri, quasi tutte arrivate dal Sud Italia, le immigrate di una volta. Il loro lavoro a tempo pieno per la famiglia è stato spesso dato per scontato. Nel momento in cui, quindi, hanno trovato uno spazio per riunirsi, studiare e raccontarsi, per loro si é aperto un sipario che non sarebbe mai più calato.

Qualche tempo fa, dopo oltre 40 anni, sempre a Milano, presso il centro di produzione artistica Mare Culturale Urbano (gruppo di professionisti mossi dall’ambizione di creare un qualcosa che non esiste, con competenze nei campi dell’arte, della progettazione sociale, della ricerca e sviluppo, della comunicazione), venticinque donne immigrate hanno realizzato un workshop di sartoria che é stato presentato, nel 2017, alla nota settimana della “fashion week” milanese. L’etichetta di moda nata da quell’esperienza ha portato il nome “Senza peli sulla lingua”.

Non vi è dubbio che quelle donne migranti – spesso represse a causa del loro trascorso – abbiano potuto esprimersi liberamente sui capi d’abbigliamento, che, invero, hanno riportato graffianti espressioni: “Comprati un paio di mani”, “Amare non è un lavoro”, “Ho altro da fare” (in arabo e in italiano, sulle magliette). Hanno avuto, per meglio dire, in Italia, una possibilità: un corso nato per insegnare alle partecipanti a creare nuove possibilità di reddito attraverso alcune tecniche per reinventarsi nel mondo del lavoro.

Di contro agli uomini occupati nei campi o in fabbrica, invero, le mogli migranti (con molti figli a cui badare, prive di aiuto, con la fatica a trovare lavoro, spesso a causa del razzismo, senza tempo per dedicarsi a sé stesse), sono state certamente le protagoniste di un progetto di grande rilievo, atto a porre le basi per costruire un nuovo modello di comunità, alternativo a quello razzista, classista e individualista.

Appare, allora, di palmare evidenza come il fenomeno immigratorio costituisca una realtà incisiva e imprescindibile, che si sia andata sempre più sviluppando negli ultimi anni, fino ad oggi. Basti pensare che archiviata la settimana della moda, cioè la celeberrima e “chicchissima” MFW, Milano fashion week, la sfilata-corteo dello scorso 2 marzo 2019 ha dato luogo alla MRCW, vale a dire alla Milano radical chic week, nella Milano dei salotti bene. Così sotto l’hashtag “primalepersone” è sfilata la passerella di coloro che, almeno in apparenza, stanno dalla parte degli ultimi perché pensano di essere i migliori e quindi manifestare per i poveri è un capriccio irrinunciabile. Queste persone vedono l’immigrazione in un altro modo, con altri occhi, senza percepire realmente l’importanza della questione migratoria ed eludendo un pensiero fondamentale: al di là dei numeri, dei colori, delle nazionalità e delle bandiere vi sono degli esseri umani, con un vissuto alle spalle permeato da dolore e sofferenze, tribolazioni e stenti, amarezza e sacrifici, disagio e fatiche.

Avvocato Jacopo Pitorri

Migranti: calo degli sbarchi, aumento delle domande d’asilo

Dall’inizio del 2019 gli sbarchi sono diminuiti del 95%. Tuttavia coloro che sono impegnati  “In Migrazione”, Società Cooperativa Sociale nata nel 2015 dalla volontà di persone  impegnate nella ricerca, nell’accoglienza e nel sostegno agli stranieri in Italia, hanno svolto una recente indagine dalla quale è emerso che di contro a  sole 115 persone sbarcate a gennaio, ci sono state ben 3.409 richieste di asilo.

Già dal luglio del 2018 gli sbarchi di migranti sulle nostre coste si sono ridotti in maniera significativa. L’Italia e l’Europa, purtroppo, sono tutt’oggi coinvolte nelle rilevanti problematiche connesse all’arrivo di quasi due milioni di migranti lungo rotte clandestine nell’ultimo quinquennio. In particolare, il sistema di accoglienza italiano, sfortunatamente, risente dell’atteggiamento decisionale degli altri governi dell’Unione Europea, i quali  persistono nel mostrare scarsa solidarietà nell’integrazione di rifugiati e richiedenti asilo politico. Ne deriva che il sostegno europeo in merito ai ricollocamenti incide, attualmente, in misura estremamente carente e limitata sui considerevoli impegni dell’Italia. Come se non bastasse, neanche le  risorse finanziarie destinate dall’Europa all’Italia per far fronte all’emergenza hanno raggiunto un livello significativo. Al contrario, gli aiuti europei coprono solo una  parte delle spese italiane.

Come sopraddetto, in relazione al mese di dicembre del 2018, vi è stato un netta diminuzione degli sbarchi. Ciò nonostante, però, si è verificata una ingente crescita delle domande di protezione internazionale. Più specificamente, se prima dell’estate erano principalmente i nigeriani a presentare domanda di asilo, a seguito del potenziamento degli accordi Italia-Libia, ad oggi tale primato é  tornato ai pakistani. Ulteriormente è stato rilevato come i trafficanti di esseri umani abbiano tempestivamente trovato, e ampliato, altri canali per far arrivare in Italia i profughi, aprendo e rafforzando nuove rotte. Vi è stato, perciò, un netto aumento del  91% delle domande di asilo rispetto al mese di luglio del 2018.

Anche per quanto concerne il  risparmio sui conti pubblici dell’accoglienza, stimato circa in un miliardo e 540 milioni di euro, è stato rilevato che mentre nel primo mese del 2019 il risparmio rispetto al mese precedente è stato di 5 milioni e 200mila euro (ovvero appena lo 0,33% della stima), nel 2018 si è  risparmiato sull’accoglienza poco più di 80 milioni di euro (appena il 5% di quanto preventivato).

Alla luce di quanto emerso non può che evincersi, in tema di domande d’asilo, un trend in aumento, certamente un cambiamento non indifferente sul quale incidono non solo i numeri, ma diversi fattori. Per citarne uno, si rammenta che il diritto a chiedere asilo non è legato alla nazionalità delle persone, ma è un diritto soggettivo che chiunque può esercitare indipendentemente da ogni condizione personale, inclusa l’origine nazionale.

Avvocato Jacopo Maria Pitorri

La xenofobia in Italia preoccupa l’ONU

È certamente noto che, negli ultimi anni, l’Italia ha avuto un ruolo importante, probabilmente fondamentale salvando i migranti in mare ed assumendosi sfide ed impegni di diverso tipo.

E’ certamente noto che, negli ultimi anni, l’Italia ha avuto un ruolo importante, probabilmente fondamentale salvando i migranti in mare ed assumendosi sfide ed impegni di diverso tipo.

Ciò nonostante, secondo il parere dell’Onu, il nostro Paese ha violato (e viola) i diritti umani dei migranti e le norme internazionali. Ragion per cui l’Italia è stata necessariamente posta sotto la cosiddetta “revisione universale periodica” dell’Alto Commissariato per i diritti umani, assumendo,  una posizione particolare, posto che da qualche mese il nostro Paese è entrato a far parte del Consiglio Onu sui diritti umani per i prossimi tre anni.

Gli esperti delle Nazioni unite hanno espresso non poca preoccupazione per la situazione italiana sui temi della criminalizzazione dei migranti, sul razzismo dilagante, sul proliferare degli episodi di xenofobia.

Il dissenso dell’Onu si è avuto anche in considerazione del rifiuto da parte dell’Italia di consentire lo sbarco alle navi Ong, oltre che alle navi appartenenti alla Guardia costiera italiana, nei porti italiani. Altra fonte di timore per gli immigrati, da parte dell’Onu, è stata quella relativa agli sviluppi legati all’applicazione del nuovo decreto sull’immigrazione e la sicurezza sui diritti di migranti. Dal report dell’Onu, invero, emerge che “come conseguenza della campagna diffamatoria contro le Ong, le organizzazioni hanno assistito a una drastica riduzione delle donazioni pubbliche e private, che sta presumibilmente influenzando la loro operabilità sia in mare (ricerca e salvataggio operazioni), che a terra (fornendo protezione e assistenza salva-vita a migranti), aumentando le vulnerabilità dei migranti alla tratta e ad altre forme di sfruttamento”.

Nel 2018 l’Italia ha ricevuto altre cinque comunicazioni su casi relativi a discriminazioni, razzismo e xenofobia, non fornendo alcuna risposta. Davanti a queste nuove contestazioni, pertanto, gli ispettori hanno concluso: “In attesa di una risposta, invitiamo a prendere tutte le misure provvisorie necessarie ad interrompere le presunte violazioni e impedire la loro ripetizione”.

In conclusione, per l’Onu, l’Italia “viola i diritti umani dei migranti e manca di rispetto agli obblighi internazionali”. Una dura accusa da prendere in considerazione attivandosi al più presto per placare i timori e le perplessità di una organizzazione internazionale di così grande rilievo.

È certamente noto che, negli ultimi anni, l’Italia ha avuto un ruolo importante, probabilmente fondamentale salvando i migranti in mare ed assumendosi sfide ed impegni di diverso tipo.

Ciò nonostante, secondo il parere dell’ONU, il nostro paese ha violato (e viola) i diritti umani dei migranti e le norme internazionali. Ragion per cui l’Italia è stata necessariamente posta sotto la cosiddetta “revisione universale periodica” dell’Alto Commissariato per i diritti umani, assumendo, una posizione particolare, posto che da qualche mese il nostro Paese è entrato a far parte del Consiglio ONU sui diritti umani per i prossimi tre anni.

Gli esperti delle Nazioni unite hanno espresso non poca preoccupazione per la situazione italiana sui temi della criminalizzazione dei migranti, sul razzismo dilagante, sul proliferare degli episodi di xenofobia.

Il dissenso dell’ONU si è avuto anche in considerazione del rifiuto da parte dell’Italia di consentire lo sbarco alle navi ONG, oltre che alle navi appartenenti alla Guardia costiera italiana, nei porti italiani. Altra fonte di timore per gli immigrati, da parte dell’ONU, è stata quella relativa agli sviluppi legati all’applicazione del nuovo decreto sull’immigrazione e la sicurezza sui diritti di migranti. Dal report dell’ONU, invero, emerge che “come conseguenza della campagna diffamatoria contro le ONG, le organizzazioni hanno assistito a una drastica riduzione delle donazioni pubbliche e private, che sta presumibilmente influenzando la loro operabilità sia in mare (ricerca e salvataggio operazioni), che a terra (fornendo protezione e assistenza salva-vita a migranti), aumentando le vulnerabilità dei migranti alla tratta e ad altre forme di sfruttamento”.

Nel 2018 l’Italia ha ricevuto altre cinque comunicazioni su casi relativi a discriminazioni, razzismo e xenofobia, non fornendo alcuna risposta. Davanti a queste nuove contestazioni, pertanto, gli ispettori hanno concluso: “In attesa di una risposta, invitiamo a prendere tutte le misure provvisorie necessarie ad interrompere le presunte violazioni e impedire la loro ripetizione”.

In conclusione, per l’Onu, l’Italia “viola i diritti umani dei migranti e manca di rispetto agli obblighi internazionali”. Una dura accusa da prendere in considerazione attivandosi al più presto per placare i timori e le perplessità di una organizzazione internazionale di così grande rilievo.

Avvocato Jacopo Maria Pitorri