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Avv. Pitorri: no alle fake news e ai pregiudizi sull’immigrazione!

Cose leggiamo su internet sull’immigrazione? Quali sono i rischi dell’informazione che circola in rete? Abbiamo contattato l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri – a detta di molti il miglior avvocato immigrazionista in Italia – per commentare questi delicati temi in materia di immigrazione.

Ci sono molte cose da sapere sull’immigrazione: tanti, forse troppi aspetti vengono tralasciati dagli italiani stessi, che subiscono una vera e propria paura, vittime dei pregiudizi e degli stereotipi più diffusi. In questo senso, la lotta mediatica all’immigrazione passa dalle fake news: sempre più siti sul web trattano il tema in modo assolutamente approssimativo. Anche i Social Media sono diventati dei veri e propri luoghi pericolosi per le fake news. Anzi, ne sono il principale vettore. Perché vengono usati da milioni di persone solo in Italia, che condividono i post, che non si fermano a riflettere. Che non sanno più distinguere il vero dal falso.

AVVOCATO PITORRI: L’ELEVATO NUMERO DI FAKE NEWS CREA ALLARMISMI E PREGIUDIZI.

Dagli “immigrati ci rubano il lavoro” al grande classico “non pagano le tasse”, cadere nel tranello di una falsa percezione è sempre più comune. Sui Social Media, le notizie false sugli immigrati sono all’ordine del giorno. Non solo da blog o siti inaffidabili, provengono anche da pagine che “confezionano” immagini per aizzare il popolo italiano. 

Avvocato Pitorri: perché si hanno tanti pregiudizi nei confronti di immigrati?

Alcuni dei luoghi comuni più frequenti parlano di un elevato tasso di immigrati in Italia rispetto al resto dell’Europa. Ma è davvero così? Se si considerano tassi e dati diffusi dagli altri paesi europei, si scopre che è la Svezia ad avere il più alto numero di rifugiati sul proprio territorio. Presenta infatti 2 rifugiati ogni 100 abitanti, mentre l’Italia 2,4 rispetto a mille abitanti. Quante volte abbiamo sentito erroneamente il termine “invasione”? Un’invasione che, lo ricordiamo, non è la barbarica, la normanna, la vichinga: parliamo di persone che giungono qui via mare, alla ricerca di un aiuto, di una nuova vita.”

Quali difficoltà incontrano gli immigrati che vengono lasciati a se stessi?

Il rischio più frequente – risponde l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri – sugli immigrati è che non solo non possano integrarsi, ma che abbiano addirittura paura, che subiscano i pregiudizi e l’ignoranza del luogo. Ed è un problema sempre più diffuso, dal momento in cui non c’è davvero limite alla cattiveria, alle azioni disoneste.” 

Richiedere il permesso di soggiorno, ottenere la cittadinanza italiana, avere un lavoro, un luogo in cui vivere: ci riferiamo agli italiani che ci leggono, in questo momento. Tutte queste cose vi sembrano tanto “mostruose”, fuori da ogni logica? Forse non siamo più abituati a pensare al prossimo come nostro fratello, ma come un nemico da sconfiggere.

IL RUOLO DELL’AVVOCATO: UN CONSULENTE, UNA PERSONA DI FIDUCIA PER IL CITTADINO EXTRACOMUNITARIO

Spesso, gli immigrati sono costretti a chiedere aiuto a un avvocato – come Iacopo Maria Pitorri – che permette loro di abbattere l’ombra del pregiudizio, trovando un lavoro. Ma non è facile. Non è semplice. Perché il razzismo in Italia c’è, non va ignorato, ma combattuto, estirpato come un’erba cattiva. Ci siamo forse così presto dimenticati quando a essere gli immigrati eravamo noi?  

Avvocato Pitorri: storie di immigrati e integrazione in Italia 

Che cosa significa essere un immigrato al giorno d’oggi? Sebbene le politiche dell’immigrazione stiano lentamente avanzando verso un futuro meno incerto, ci sono ancora tanti pregiudizi in merito. L’unico modo veritiero per comprendere che cos’è l’immigrazione è leggere le storie degli immigrati, di coloro che hanno sfidato il mare, di chi è arrivato qui con nulla in tasca, se non dei sogni. O forse la speranza di trovare qualcuno pronto ad accoglierlo, a dargli una spinta fondamentale per trovare se stesso. 

Avvocato Pitorri: l’avventura italiana, i viaggi della speranza

Li sentiamo spesso nominare alla televisione, sui giornali, li leggiamo a caratteri cubitali sui quotidiani: viaggio della speranza. In effetti, gli immigrati che vengono qui sono alla ricerca della speranza di potersi integrare, di trovare lavoro, di essere accolti. E non è così, o non lo è almeno per una buona percentuale di persone. E questo è un problema enorme. La narrazione dell’immigrazione è spesso travisata o – peggio – resa migliore di quel che è davvero. Oltretutto, in un’era digitalizzata, dove abbiamo a disposizione il web per informarci, c’è ancora tanta ignoranza sull’integrazione. Per non parlare delle fake news che circolano sui Social Media e che a tutti gli effetti minano gli aspetti positivi dell’integrazione.

LA STORIA DI AMAAL

“Sono venuta in Italia molti anni fa. Ci ho messo tanto a integrarmi, non è stato per nulla facile. Non me lo aspettavo così. Ma ci sono state tante persone a darmi una mano, a non farmi sentire straniera. Del mio viaggio della speranza, ancora ricordo l’odore del sudore misto all’odore del mare e della paura. Paura di non essere accettati. Paura di essere rispediti indietro. Oggi, l’Italia è anche il mio paese, la mia terra. La mia felicità.”

AVVOCATO PITORRI: AIUTIAMO GLI IMMIGRATI AD INTEGRARSI

Le difficoltà per gli immigrati non passano solo per i pregiudizi, ma anche e soprattutto per la burocrazia italiana. Immagina di trasferirti improvvisamente in un altro paese, di non conoscere la lingua, di non saperne gli usi e i costumi. E di ritrovarti a non sapere a chi chiedere aiuto, come chiedere il permesso di soggiorno. Non è semplice integrarsi per gli immigrati. Quando giungono qui con il barcone, devono fare i conti con l’ostilità, con la chiusura mentale, con la paura. E loro già ne hanno, la provano, stretta dentro il cuore. Bisogna ricordare che cosa dice l’Unione Europea a riguardo: confronto e scambio di valori, di standard di vita e modelli di comportamento tra popolazione immigrata e società ospitanteTra le figure più importanti e da prendere come modello, ci viene in mente l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri, che si batte per i diritti degli immigrati, che tende loro più di una mano, che cerca di combattere l’ignoranza e il razzismo ed offre un servizio di assistenza legale trasparente, concreto ed efficace.

A Bologna la ONG in aiuto dei migranti che vogliono tornare a casa

Nata a Bologna, nel lontano 1972, quale Comitato europeo per la formazione e l’agricoltura, la ONG, nel corso degli anni, si è trasformata per offrire una risposta all’emergenza migranti. L’Avvocato Iacopo Maria Pitorri fa presente che CEFA, più che occuparsi di accogliere chi arriva nel nostro Paese, svolge la propria attività assistendo coloro che vorrebbero tornare a casa propria, che non hanno trovato in Europa ciò che cercavano. Il responsabile di questa ONG ha chiarito, ai media, che si tratta di “persone ai margini della società, a un passo della disperazione, che con i nostri progetti riescono a ritrovare la dignità”.

CEFA, in buona sostanza, spiega l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri, tenta di trasformare i rimpatri in progetti di vita. Tutto ciò senza accettare casi di persone che, tornando nel loro Paese, potrebbero rischiare di non vedersi garantiti i diritti, o di non ricevere l’assistenza di cui hanno bisogno.

A partire dagli anni Novanta, l’organizzazione si è occupata di investire i propri progetti (in ambito di agricoltura ed alfabetizzazione), nei luoghi di partenza, non solo nell’Africa subsahariana, ma anche nel Maghreb e nell’Albania.

Successivamente, dal 2011, ha incentrato la propria opera sul rimpatrio volontario assistito. Più segnatamente, rappresenta l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri, grazie ad un bando del Ministero dell’Interno (in linea con una direttiva Ue del 2008), vengono stanziati duemilaquattrocento euro per ogni persona che intende fare rientro nella terra d’origine. Vengono svolti fino a quattro colloqui, per far sì che la persona sia convinta della scelta di tornare nella terra di origine. In un secondo momento, viene inoltrata la domanda in prefettura, che può autorizzare o rifiutare. La possibilità è per chi ha un permesso di soggiorno in scadenza o già scaduta. E, in ogni caso, chi lascia il Paese per l’ultima volta deve consegnare i suoi documenti agli agenti della frontiera e non può fare rientro in Ue per almeno tre anni.

La ONG si occupa del biglietto del viaggio. Quattrocento euro vengono dati per le spese in Italia prima di partire. Il resto della somma, soltanto una volta che la persona è giunta a destinazione.

L’Avvocato Iacopo Maria Pitorri palesa che, dal 2011, grazie a CEFA, ad oggi, sono rientrate in Marrocco oltre duecento persone. I rimpatri gestiti da CEFA sono circa quattrocentocinquanta. Vi è chi ha comprato un mezzo per fare le consegne, chi ha trasformato il garage di casa propria in una bottega di quartiere, chi ha investito nell’agricoltura perché figlio di agricoltori. Addirittura, un ragazzo di nome Rachid, trentenne marocchino, non avendo concretizzato, in Italia, le proprie aspettative, ha fatto rientro nel suo paese, con un programma CEFA, ed ha realizzato un allevamento di pulcini nella sua terra natale, Ait Melloul, nel Sud. Tre anni dopo ha potuto ampliare la propria attività, assumendo anche altre persone.

Infine, rileva l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri, il modello dei rimpatri volontari è stato adottato anche dalla Francia e, di recente, dalla Germania. La prima destina seimilacinquecento euro, (utilizzati anche per arredare la casa o per iscriversi all’Università). In Germania i bandi sono gestiti dal Ministero degli Esteri, non dell’Interno.

CEFA una speranza la dona senz’altro alle persone straniere, che tornano nel loro Paese.

Avvocato Iacopo Maria Pitorri

L’Avvocato Pitorri racconta delle parole del Papa sui migranti.

Recentemente, con le parole “Accogliere, promuovere, proteggere e integrare”, quale  missione della Chiesa, il Papa ha manifestato un messaggio in vista della Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, che ci ricorda l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri,  si terrà il prossimo 29 settembre, dal tema “Non si tratta solo di migranti“.

Il Santo Padre ha scritto: “Conflitti violenti e vere e proprie guerre non cessano di lacerare l’umanità. Ingiustizie e discriminazioni si susseguono. Si stenta a superare gli squilibri economici e sociali. E a fare le spese di tutto questo sono soprattutto i più poveri e svantaggiati. Lo sviluppo economico porta con sé la tendenza ad un accentuato individualismo che, unito alla mentalità utilitaristica e moltiplicato dalla rete mediatica, produce la globalizzazione dell’indifferenza. In questo scenario i migranti, i rifugiati, gli sfollati e le vittime della tratta sono diventati emblema dell’esclusione perché, oltre ai disagi che la loro condizione di per sé comporta, sono spesso caricati di un giudizio negativo che li considera come causa dei mali sociali”.

Secondo il pensiero di Papa Francesco, pertanto, la presenza dei migranti e dei rifugiati, come, in generale, delle persone vulnerabili, rappresenta un invito a recuperare alcune dimensioni essenziali della nostra esistenza cristiana e della nostra umanità, che rischiano di assopirsi in un tenore di vita ricco di comodità. “Interessandoci di loro, ci interessiamo anche di noi, di tutti; prendendoci cura di loro, cresciamo tutti. Ascoltando loro, diamo voce anche a quella parte di noi che forse teniamo nascosta perché oggi non è ben vista”.

Per il Pontefice, quindi, accennando ai migranti, entrano in gioco le nostre paure, il timore, dubbi legittimi. Spesso il vedersi condizionare il proprio modo di pensare e di agire ci rende intolleranti, chiusi, forse anche  razzisti, pur senza che possiamo rendercene conto. Su questo, a dire di  Papa Bergoglio dovremo riflettere. “Ancora una volta, non si tratta solo di migranti: si tratta della nostra umanità”, ha insistito.

Il Papa ha anche parlato dei Paesi in via di sviluppo, che continuano a essere depauperati delle loro migliori risorse naturali e umane a beneficio di pochi mercati privilegiati. Argomentando sulle guerre ha palesato come la produzione delle armi avvenga nelle regioni che, poi,  non vogliono farsi carico dei rifugiati prodotti da tali conflitti. Tutto questo a discapito dei più poveri, dei più vulnerabili

Per il Pontefice, ovviamente, vi è un principio cristiano cardine: la persona è al centro di tutto, nelle sue molteplici dimensioni. La priorità è sempre degli ultimi, senza lasciare spazio all’indifferenza e al disinteresse. Gli ultimi, gli emarginati della società, tra cui i migranti, con il loro carico di difficoltà e sofferenze, dovrebbero venire per prima. Tutti dovrebbero mettersi al loro servizio.

Ed è proprio dai quattro verbi “accogliere, proteggere, promuovere e integrare”, che Papa Francesco vuole ripartire, a tutela dei  migranti e dei rifugiati, promuovendo lo sviluppo umano integrale di tutte le persone, anche aiutando la comunità mondiale ad avvicinarsi agli obiettivi di sviluppo sostenibile (che, altrimenti, difficilmente saranno raggiunti).

Per il Santo Padre, evidenzia l’Avvocato Pitorri, si deve andare al di là del migrante, guardando la situazione in maniera più ampia, nel considerare sia il presente, sia il futuro della famiglia. I migranti costituiscono un importante aspetto dell’odierna società, certamente sempre al centro di polemiche e dibattiti. Per il Papa, però, attraverso loro ogni essere umano può cambiare, in virtù dei principi cristiani e “vedere nel migrante e nel rifugiato un fratello e una sorella da accogliere, rispettare e amare, un’occasione che la Provvidenza ci offre per contribuire alla costruzione di una società più giusta, una democrazia più compiuta, un Paese più solidale, un mondo più fraterno e una comunità cristiana più aperta, secondo il Vangelo”.

Ultimamente e  sul perché parli spesso dei migranti, il Santo Padre ha detto: “Perché è una priorità oggigiorno nel mondo. Il mondo migratorio è giunto a un punto tale, oggi, che ho preso nelle mie mani la sezione migranti del Dicastero dello Sviluppo Umano Integrale per darle un significato. Tutti i giorni veniamo a sapere che il Mediterraneo sta diventando sempre più un cimitero, solo per fare un esempio. Il cuore delle persone deve restare aperto  dobbiamo avere il cuore di accogliere e poi, successivamente occorre promuovere e integrare. Un intero processo”.

                                                                    Avvocato Iacopo Maria Pitorri

Solidarietà e mediazione

L’art. 2 della nostra Carta Costituzionale enuncia che “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.” Il termine “solidarietà”, che può essere inteso sotto molteplici sfaccettature, è stato più volte utilizzato anche dal nostro Presidente della Repubblica. Anche nell’ultima cerimonia di consegna degli attestati d’onore di Alfieri della Repubblica ai ragazzi minorenni, che si sono distinti come costruttori della comunità, il Capo dello Stato ha sostenuto che “la solidarietà è l’impalcatura della convivenza”.

Ebbene, fa emergere l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri, da questa semplice parola, che racchiude un grande significato, deriva la condivisione di idee e propositi, le responsabilità, gli intenti, i rapporti di fratellanza e di reciproco sostegno che collega i singoli componenti di una collettività, in ragione della loro appartenenza a una società medesima, con comunanza di interessi ed obiettivi.

Sotto il profilo umano, parlando di solidarietà, molto spesso, pensiamo ad un sentimento di comunione ei attenzione nei riguardi del prossimo. Se, per citare un esempio, prendiamo in considerazione una coppia, viene da sé che dalla unione della stessa deriva condivisione e solidarietà. Quando, tuttavia, finisce la storia, sorgono degli inevitabili scontri, che fanno dimenticare la solidarietà che fino a poco prima aveva permeato le due persone unite.

In politica, invece, con il termine solidarietà si vuole intendere la unione di più parti per il raggiungimento degli stessi obiettivi. Quando, tuttavia, emergono divergenze, ciò non è più possibile e quello che è il rispetto per i bisogni della collettività, lascia, purtroppo, spazio alle necessità individuali.

Dalla solidarietà non può che derivare rispetto e condivisione. Quando, tuttavia, non si è più in accordo, venendo a mancare, molto spesso, queste ultime due componenti, inevitabilmente viene soppressa anche la solidarietà. Al fine di ovviare a tale situazione, si fa spesso ricorso, oggi, alla mediazione. Si tratta di un utile strumento per gestire al meglio i conflitti (familiari, civili), donando nuovamente alle parti la capacità di riaprire i canali di comunicazione, ponendo al centro la persona, al di là di una sterile visione individualista, ricreando la possibilità di dare il giusto valore alle persone e facendo crescere il senso della solidarietà in modo spontaneo. La mediazione consiste nell’attività professionale, svolta da un terzo imparziale, finalizzata ad assistere due o più soggetti, sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa. Tramite l’attività del mediatore, in buona sostanza, le parti vengono aiutate per raggiungere un determinato obbiettivo.

L’Avvocato Pitorri specifica che il mediatore, generalmente, nel suo essere al di sopra delle parti, non esprime giudizio alcuno, non rivela a nessuno ciò di cui è a conoscenza, non giudica l’operato delle parti, atteso che il suo compito è accogliere e consigliare, non esprimere valutazioni. Lavora sul presente e sul futuro (che sono ancora da definire). Non impone soluzioni sue, posto che ha per obiettivo quello di ascoltare le parti ed aiutarle a trovare una soluzione personalizzata, giusta per le loro specifiche esigenze. Provvede a stimolare le parti, al fine di risolvere al meglio una data situazione. Svolge, cioè, un ruolo fondamentale nella società.

Avvocato Iacopo Maria Pitorri

Migranti, i minori arrivati in Italia via mare

Analizzando i dati forniti dall’Unicef, l’Avvocato Pitorri fa sapere che nei primi tre mesi del 2019, circa 16.000 migranti e rifugiati hanno raggiunto l’Europa, tramite le rotte migratorie nel Mediterraneo. Ciò che ha colpito l’attenzione dell’Avvocato Pitorri è la percentuale di bambini. Ad oggi giunge in Europa un minore su quattro. Il numero totale di bambini approdati sulle coste europee, specifica l’Avvocato Pitorri, è di 3.800; questi si aggiungono ai circa 41.000 bambini già presenti nelle strutture di accoglienza in Grecia, Italia e Balcani all’inizio del 2019. Evidenzia altresì l’Avvocato Pitorri che, purtroppo, in soli tre mesi del 2019, 365 persone hanno perso la vita nel Mediterraneo, oltre il 60% del numero totale di vittime registrate in tutto il 2018.

Sempre nei primi tre mesi di quest’anno l’UNICEF è intervenuta con programmi di protezione per l’infanzia a favore di circa 4.480 e di circa 1.950 minorenni non accompagnati a ricevere cure e protezione in Italia, in Grecia e nei Balcani. Ben 15.850 bambini hanno frequentato regolarmente le attività d’istruzione formale e informale supportate dall’UNICEF, mentre circa 1.100 persone hanno avuto accesso a servizi per la prevenzione e la risposta alla violenza di genere.

Ci ricorda l’Avvocato Pitorri che molti giovani migranti e rifugiati che hanno compiuto il viaggio verso l’Europa, sono malauguratamente stati vittime di violenze e abusi, con conseguenze sul loro benessere psicologico e fisico. Più segnatamente in Italia, quasi tutte le donne e le ragazze arrivate hanno riportato di essere sopravvissute a forme di violenza sessuale o di genere. Una ricerca recente ha rilevato che anche gli uomini e i ragazzi sono spesso vittime di violenza sessuale in mano a gruppi armati, mentre sono rapiti o imprigionati, soprattutto in Libia.

Da una approfondita analisi volta soprattutto al Belpaese, l’Avvocato Pitorri, nell’acquisire i dati Unicef, rappresenta che al 28 febbraio erano presenti 8.537 minorenni stranieri non accompagnati. Nel 2018 gli arrivi via mare dei giovani migranti e rifugiati registrati sono stati 3.536, ad aprile 2019 erano 98. I minorenni stranieri irreperibili, cioè quelli per i quali è stato segnalato dalle autorità competenti un allontanamento, sono 4.324. Nonostante gli sforzi del Governo italiano negli ultimi due anni, persiste nel sistema di protezione e inclusione sociale dei giovani migranti e rifugiati in Italia. Il sistema, cioè, risulta ancora altamente frammentato, persistono disparità nell’accesso ai servizi di cura, con il rischio che i più vulnerabili rimangano invisibili. Sussistono non poche difficoltà nell’accesso alle informazioni utili per il percorso in Italia. Il lavoro costantemente svolto dall’UNICEF con gli Stati è volto all’adozione di piani d’azione per mettere in pratica sei impegni concreti: proteggere bambini e giovani migranti e rifugiati da sfruttamento e violenza, porre fine alla loro detenzione per via del loro status di immigrati, favorire l’unità familiare e ridurre l’apolidia, garantire cure e accesso ai servizi per i bambini e giovani migranti e rifugiati attraverso il rafforzamento dei sistemi sanitario e di istruzione. L’UNICEF, specifica l’Avvocato Pitorri, chiede anche protezione di bambini e giovani migranti e rifugiati da discriminazione e xenofobia. Ciò nel tentativo di eliminare le cause che allontanano i bambini e i giovani dalle loro case attraverso politiche e investimenti finanziari su tutte le aree degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, come la protezione sociale, l’occupazione giovanile, le azioni per il clima, per la pace e la giustizia. L’appello dell’UNICEF per il 2019, in favore dei migranti e rifugiati in Europa, è di 27,5 milioni di dollari, di cui 12,4 milioni per la protezione dell’infanzia e 9,4 milioni per l’istruzione.

Avvocato Iacopo Maria Pitorri

Migranti: studenti in gita al centro d’accoglienza

Recentemente da Tarvisio, comune italiano di poco più di quattromila abitanti, in Friuli Venezia Giulia, meravigliosa località turistica, peraltro nota per la ubicazione della stazione meteorologica (ufficialmente riconosciuta dall’organizzazione meteorologica mondiale, nonché punto di riferimento per lo studio del clima della corrispondente area alpina), si sono sollevate non poco polemiche, a causa di una decisione proveniente dall’Istituto Statale di Istruzione Superiore Bachmann.

Recentemente da Tarvisio, comune italiano di poco più di quattromila abitanti, in Friuli Venezia Giulia, meravigliosa località turistica, peraltro nota per la ubicazione della stazione meteorologica (ufficialmente riconosciuta dall’organizzazione meteorologica mondiale, nonché punto di riferimento per lo studio del clima della corrispondente area alpina), si sono sollevate non poco polemiche, a causa di una decisione proveniente dall’Istituto Statale di Istruzione Superiore Bachmann.

Si tratta di una gita nel centro di accoglienza con migranti e responsabili del centro. Più specificamente,  nei giorni 1 e 4 aprile, vi saranno due incontri presso la  caserma Meloni (Coccau) con i responsabili del Centro di accoglienza e i migranti cui viene data ospitalità nella struttura.

L’iniziativa, non è piaciuta a molti ed ha subito scatenato critiche di ogni genere. Si è parlato, invero, di una sorta di strumentalizzazione degli studenti coinvolti nel tentativo di solidarietà posto in essere. Si è accennato anche alla totale mancanza di arricchimento culturale. Alcuni  hanno sostenuto che – in merito alla gita organizzata per incontrare i migranti – non vi sia alcuna motivazione didattica, dietro alla scelta di portare i ragazzi nella casera Meloni. Il tutto, però, evitando di far comprendere completamente, e in tutti i suoi aspetti, la complessità del fenomeno dell’accoglienza.

Ogni giorno, purtroppo, dai media apprendiamo  i tristi, dolorosi, strazianti racconti di questa gente, meno fortunata di noi. Scorgiamo i volti, percepiamo le emozioni e le terribili esperienze vissute, cogliamo le speranze di coloro che,  dalle coste nordafricane, dal medio oriente, da paesi come Siria, Sudan, Libano, Eritrea, Nigeria non hanno avuto altra scelta, se non quella, purtroppo, di abbandonare la propria realtà, emigrare confidando in solidarietà e accoglienza senza frontiere, lasciandosi alle spalle barbarie e crudeltà di ogni tipo.

Ogni giorno, infatti, centinaia di persone si mettono in viaggio per cercare di raggiungere l’Europa. Sognano una esistenza migliore (perché hanno un trascorso di vite spezzate), ma spesso finiscono tra le mani dei trafficanti o in centri di detenzione.

Non si può cancellare l’umanità; si perderebbe un pezzo della nostra democrazia. L’unica cosa che una democrazia come quella italiana dovrebbe fare, insieme all’Europa, è combattere l’illegalità, costruire canali legali, tenendo conto sia dell’aspetto umano, che della sicurezza. Queste persone vogliono cambiare la loro vita e sperano nella solidarietà di tutti noi, per un futuro migliore. Il fenomeno migratorio riguarda tutti noi. Se, quindi, consideriamo imprescindibili la dignità della persona umana e la solidarietà, troviamo proprio nell’accoglienza la risposta giusta. 

Ed è, verosimilmente, proprio per queste motivazioni che la gita degli studenti dell’Istituto Statale di Istruzione Superiore Bachmann presso la vecchia struttura demaniale di Coccau, località sul confine accanto al quale passa la ciclovia Alpe Adria, importante attrazione turistica, si svolgerà la prossima settimana.

Recentemente da Tarvisio, comune italiano di poco più di quattromila abitanti, in Friuli Venezia Giulia, meravigliosa località turistica, peraltro nota per la ubicazione della stazione meteorologica (ufficialmente riconosciuta dall’organizzazione meteorologica mondiale, nonché punto di riferimento per lo studio del clima della corrispondente area alpina), si sono sollevate non poco polemiche, a causa di una decisione proveniente dall’Istituto Statale di Istruzione Superiore Bachmann.

Si tratta di una gita nel centro di accoglienza con migranti e responsabili del centro. Più specificamente, nei giorni 1 e 4 aprile, vi saranno due incontri presso la  caserma Meloni (Coccau) con i responsabili del Centro di accoglienza e i migranti cui viene data ospitalità nella struttura.

L’iniziativa non è piaciuta a molti ed ha subito scatenato critiche di ogni genere. Si è parlato, invero, di una sorta di strumentalizzazione degli studenti coinvolti nel tentativo di solidarietà posto in essere. Si è accennato anche alla totale mancanza di arricchimento culturale. Alcuni hanno sostenuto che – in merito alla gita organizzata per incontrare i migranti – non vi sia alcuna motivazione didattica, dietro alla scelta di portare i ragazzi nella casera Meloni. Il tutto, però, evitando di far comprendere completamente, e in tutti i suoi aspetti, la complessità del fenomeno dell’accoglienza.

Ogni giorno, purtroppo, dai media apprendiamo i tristi, dolorosi, strazianti racconti di questa gente, meno fortunata di noi. Scorgiamo i volti, percepiamo le emozioni e le terribili esperienze vissute, cogliamo le speranze di coloro che, dalle coste nordafricane, dal Medio Oriente, da paesi come Siria, Sudan, Libano, Eritrea, Nigeria non hanno avuto altra scelta, se non quella, purtroppo, di abbandonare la propria realtà, emigrare confidando in solidarietà e accoglienza senza frontiere, lasciandosi alle spalle barbarie e crudeltà di ogni tipo.

Ogni giorno, infatti, centinaia di persone si mettono in viaggio per cercare di raggiungere l’Europa. Sognano una esistenza migliore (perché hanno un trascorso di vite spezzate), ma spesso finiscono tra le mani dei trafficanti o in centri di detenzione.

Non si può cancellare l’umanità; si perderebbe un pezzo della nostra democrazia. L’unica cosa che una democrazia come quella italiana dovrebbe fare, insieme all’Europa, è combattere l’illegalità, costruire canali legali, tenendo conto sia dell’aspetto umano, che della sicurezza. Queste persone vogliono cambiare la loro vita e sperano nella solidarietà di tutti noi, per un futuro migliore. Il fenomeno migratorio riguarda tutti noi. Se, quindi, consideriamo imprescindibili la dignità della persona umana e la solidarietà, troviamo proprio nell’accoglienza la risposta giusta. 

Ed è, verosimilmente, proprio per queste motivazioni che la gita degli studenti dell’Istituto Statale di Istruzione Superiore Bachmann presso la vecchia struttura demaniale di Coccau, località sul confine accanto al quale passa la ciclovia Alpe Adria, importante attrazione turistica, si svolgerà la prossima settimana.

Avv. Iacopo Maria Pitorri

Migranti e le coop

Quando si accenna ai diversi dibattiti sull’immigrazione, vi è chi vede l’accoglienza come una sorta di business, chi, invece, pensa a solidarietà, aiuto ed ospitalità, dando valore esclusivamente all’aspetto umano.

Quando si accenna ai diversi dibattiti sull’immigrazione, vi è chi vede l’accoglienza come una sorta di business, chi, invece, pensa a solidarietà, aiuto ed ospitalità, dando valore esclusivamente all’aspetto umano.

Le cooperative, le associazioni ed anche non poche società a responsabilità limitata, negli ultimi anni hanno partecipato ai vari bandi, sorti per la gestione dei richiedenti asilo. Al di là delle ragioni che hanno spinto tali compagini verso i migranti, negli ultimi tempi le stesse confederazioni recriminano  che è venuto a mancare l’utile di impresa, ovvero il guadagno.

In particolare, in Emilia Romagna, le sezioni di Legacoopsociali, Confcooperative e Agci Solidarietà, dopo aver dato validità ai “principi inalienabili di solidarietà, rispetto e promozione” presenti nell’accordo per “un’accoglienza rispettosa dei diritti e delle persone accolte e dei lavoratori”, hanno fermamente criticato  i tagli effettuati dal Viminale, che hanno portato il costo a migrante da trentacinque a venti euro al giorno. E’ stato riesaminato, invero, il capitolato delle gare di appalto per “la fornitura di beni e servizi per la gestione e il funzionamento” dei centri di prima accoglienza. L’obiettivo è quello di eliminare sprechi biasimati anche dalla Corte dei Conti, garantendo, però, “i servizi primari e la dignità della persona, secondo le regole europee”.

Il pensiero delle coop è ben lontano. Ad avviso delle tre associazioni firmatarie dell’accordo, difatti, il nuovo schema del capitolato ridurrebbe la qualità dei servizi forniti ai migranti, con il rischio di disperdere il patrimonio etico e materiale della buona accoglienza. Non sarebbe più previsto, cioè, l’orientamento formativo e lavorativo, l’insegnamento della lingua italiana, il sostegno nell’accesso ai servizi sanitari e sociali, la presa in carico psico – sociale per le situazioni vulnerabili. Resterebbero, in buona sostanza, soltanto “vitto e alloggio”.

Vi è, tuttavia, una ragione dietro tale decisione : non solo, infatti, sono molteplici casi di servizi pagati dallo Stato e mai veramente elargiti dalle cooperative varie. Ma anche perché  risulta oltremodo paradossale che lo Stato debba investire sull’erogazione di servizi non essenziali a richiedenti asilo che, nel 70% dei casi, non otterranno mai lo status di rifugiato. Quindi, si ritiene che chi voleva arricchirsi con l’immigrazione, non troverà più conveniente interessarsi dei migranti e a lavorare nel mondo dell’accoglienza resteranno solamente i veri volontari, coloro che sono mossi da nobili ideali, scevri da secondi fini.

Ne deriva che le cooperative associate a Legacoopsociali, Confcooperative e Agci Solidarietà stanno seriamente pensando di non partecipare a eventuali gare di appalto, indette sulla base del nuovo schema di capitolato. La motivazione non riguarda più solo la riduzione dello standard di personale (che produce effetti negativi sulle condizioni di lavoro), tantomeno la presunta “compressione di diritti della persona accolta”, a causa dell’assenza di “servizi qualificati” per i migranti. Le associazioni asseriscono che il problema è anche, e soprattutto, di tipo economico. Tant’è vero che le coop lamentano che “la stima dei costi medi di riferimento” non prevede né costi aziendali, né “costi indispensabili per la manutenzione delle strutture e la fornitura di farmaci e prestazioni sanitarie non coperte dal SSN”.

Oltre ciò, nota di non poco conto, non sono nemmeno previsti utili di impresa, e tantomeno spese generali,  cioè non è assolutamente previsto il guadagno di chi si occupa di immigrati.

Quando si accenna ai diversi dibattiti sull’immigrazione, vi è chi vede l’accoglienza come una sorta di business, chi, invece, pensa a solidarietà, aiuto ed ospitalità, dando valore esclusivamente all’aspetto umano.

Le cooperative, le associazioni ed anche non poche società a responsabilità limitata, negli ultimi anni hanno partecipato ai vari bandi, sorti per la gestione dei richiedenti asilo. Al di là delle ragioni che hanno spinto tali compagini verso i migranti, negli ultimi tempi le stesse confederazioni recriminano che è venuto a mancare l’utile di impresa, ovvero il guadagno.

In particolare, in Emilia Romagna, le sezioni di Legacoopsociali, Confcooperative e Agci Solidarietà, dopo aver dato validità ai “principi inalienabili di solidarietà, rispetto e promozione” presenti nell’accordo per “un’accoglienza rispettosa dei diritti e delle persone accolte e dei lavoratori”, hanno fermamente criticato  i tagli effettuati dal Viminale, che hanno portato il costo a migrante da trentacinque a venti euro al giorno. È stato riesaminato, invero, il capitolato delle gare di appalto per “la fornitura di beni e servizi per la gestione e il funzionamento” dei centri di prima accoglienza. L’obiettivo è quello di eliminare sprechi biasimati anche dalla Corte dei Conti, garantendo, però, “i servizi primari e la dignità della persona, secondo le regole europee”.

Il pensiero delle coop è ben lontano. Ad avviso delle tre associazioni firmatarie dell’accordo, difatti, il nuovo schema del capitolato ridurrebbe la qualità dei servizi forniti ai migranti, con il rischio di disperdere il patrimonio etico e materiale della buona accoglienza. Non sarebbe più previsto, cioè, l’orientamento formativo e lavorativo, l’insegnamento della lingua italiana, il sostegno nell’accesso ai servizi sanitari e sociali, la presa in carico psico – sociale per le situazioni vulnerabili. Resterebbero, in buona sostanza, soltanto “vitto e alloggio”.

Vi è, tuttavia, una ragione dietro tale decisione : non solo, infatti, sono molteplici casi di servizi pagati dallo Stato e mai veramente elargiti dalle cooperative varie. Ma anche perché risulta oltremodo paradossale che lo Stato debba investire sull’erogazione di servizi non essenziali a richiedenti asilo che, nel 70% dei casi, non otterranno mai lo status di rifugiato. Quindi, si ritiene che chi voleva arricchirsi con l’immigrazione, non troverà più conveniente interessarsi dei migranti e a lavorare nel mondo dell’accoglienza resteranno solamente i veri volontari, coloro che sono mossi da nobili ideali, scevri da secondi fini.

Ne deriva che le cooperative associate a Legacoopsociali, Confcooperative e Agci Solidarietà stanno seriamente pensando di non partecipare a eventuali gare di appalto, indette sulla base del nuovo schema di capitolato. La motivazione non riguarda più solo la riduzione dello standard di personale (che produce effetti negativi sulle condizioni di lavoro), tantomeno la presunta “compressione di diritti della persona accolta”, a causa dell’assenza di “servizi qualificati” per i migranti. Le associazioni asseriscono che il problema è anche, e soprattutto, di tipo economico. Tant’è vero che le coop lamentano che “la stima dei costi medi di riferimento” non prevede né costi aziendali, né “costi indispensabili per la manutenzione delle strutture e la fornitura di farmaci e prestazioni sanitarie non coperte dal SSN”.

Oltre ciò, nota di non poco conto, non sono nemmeno previsti utili di impresa, e tantomeno spese generali, cioè non è assolutamente previsto il guadagno di chi si occupa di immigrati.

Avvocato Iacopo Maria Pitorri

Migranti e moda

Nel 1976 ben trenta donne di un quartiere di Milano (quasi tutte casalinghe), hanno rivendicato il diritto di poter accedere anche loro ai corsi di formazione per la licenza media: certamente una faticosa conquista, ottenuta dalla lotta operaia di quegli anni. Moglie, madri, quasi tutte arrivate dal Sud Italia, le immigrate di una volta. Il loro lavoro a tempo pieno per la famiglia è stato spesso dato per scontato. Nel momento in cui, quindi, hanno trovato uno spazio per riunirsi, studiare e raccontarsi, per loro si é aperto un sipario che non sarebbe mai più calato.

Qualche tempo fa, dopo oltre 40 anni, sempre a Milano, presso il centro di produzione artistica Mare Culturale Urbano (gruppo di professionisti mossi dall’ambizione di creare un qualcosa che non esiste, con competenze nei campi dell’arte, della progettazione sociale, della ricerca e sviluppo, della comunicazione), venticinque donne immigrate hanno realizzato un workshop di sartoria che é stato presentato, nel 2017, alla nota settimana della “fashion week” milanese. L’etichetta di moda nata da quell’esperienza ha portato il nome “Senza peli sulla lingua”.

Non vi è dubbio che quelle donne migranti – spesso represse a causa del loro trascorso – abbiano potuto esprimersi liberamente sui capi d’abbigliamento, che, invero, hanno riportato graffianti espressioni: “Comprati un paio di mani”, “Amare non è un lavoro”, “Ho altro da fare” (in arabo e in italiano, sulle magliette). Hanno avuto, per meglio dire, in Italia, una possibilità: un corso nato per insegnare alle partecipanti a creare nuove possibilità di reddito attraverso alcune tecniche per reinventarsi nel mondo del lavoro.

Di contro agli uomini occupati nei campi o in fabbrica, invero, le mogli migranti (con molti figli a cui badare, prive di aiuto, con la fatica a trovare lavoro, spesso a causa del razzismo, senza tempo per dedicarsi a sé stesse), sono state certamente le protagoniste di un progetto di grande rilievo, atto a porre le basi per costruire un nuovo modello di comunità, alternativo a quello razzista, classista e individualista.

Appare, allora, di palmare evidenza come il fenomeno immigratorio costituisca una realtà incisiva e imprescindibile, che si sia andata sempre più sviluppando negli ultimi anni, fino ad oggi. Basti pensare che archiviata la settimana della moda, cioè la celeberrima e “chicchissima” MFW, Milano fashion week, la sfilata-corteo dello scorso 2 marzo 2019 ha dato luogo alla MRCW, vale a dire alla Milano radical chic week, nella Milano dei salotti bene. Così sotto l’hashtag “primalepersone” è sfilata la passerella di coloro che, almeno in apparenza, stanno dalla parte degli ultimi perché pensano di essere i migliori e quindi manifestare per i poveri è un capriccio irrinunciabile. Queste persone vedono l’immigrazione in un altro modo, con altri occhi, senza percepire realmente l’importanza della questione migratoria ed eludendo un pensiero fondamentale: al di là dei numeri, dei colori, delle nazionalità e delle bandiere vi sono degli esseri umani, con un vissuto alle spalle permeato da dolore e sofferenze, tribolazioni e stenti, amarezza e sacrifici, disagio e fatiche.

Avvocato Jacopo Pitorri

Speranze che nascono, speranze che muoiono

A soli pochi giorni dal casoSea Watch, una nuova storia di immigrati sta sviluppandosi nelle acque del Mediterraneo. Un barcone con 150 persone, tra cui circa sessanta donne (alcune delle quali incinte) e trenta bambini, oltre a malati,  si troverebbe infatti in difficoltà al largo delle coste della Libia.

A soli pochi giorni dal casoSea Watch, una nuova storia di immigrati sta sviluppandosi nelle acque del Mediterraneo. Un barcone con 150 persone, tra cui circa sessanta donne (alcune delle quali incinte) e trenta bambini, oltre a malati,  si troverebbe infatti in difficoltà al largo delle coste della Libia.

Altri essere umani, quindi, che rischiano la vita. Altre persone, che, lasciandosi alle spalle barbarie e crudeltà, sofferenze e dolore, hanno deciso di lasciare il paese di origine nel tentativo di dare concretezza a sogni e speranze, confidando in solidarietàeaccoglienza.

La notizia di oggi, 11 febbraio 2019, è giunta intorno a mezzogiorno da “Alarm Phone”,  servizio telefonico di supporto per le imbarcazioni. L’imbarcazione è partita da Khoms – Libia – ma ha purtroppo smesso di funzionare, a causa del motore, in avaria. Le parole di allarme riportate sono le seguenti: “Chiediamo l’immediato intervento degli assetti della Marina militare e della Guardia costiera italiane e maltesi. Chiediamo che venga diramato l’SOS ad ogni nave presente nell’area, senza che questo significhi in alcun modo, come avvenuto nel recente passato, ordinare ai cargo commerciali di riportare le persone soccorse in Libia. Ricordiamo che ciò configura una gravissima violazione di tutte le Convenzioni internazionali sui diritti umani e del diritto del mare”.

Mentre un’altra imbarcazione è alla deriva, con a bordo 150 migranti, il decreto Sicurezza cambia le regole per il sistema che gestisce i richiedenti asilo sul suolo italiano. Ciò si profila sempre più rapidamente, non senza dar luogo a ripercussioni e conseguenze di non poco conto, anche sugli italiani. L’ex hotel Bellevue di Cosio Valtellino (Sondrio), per citare un esempio, chiude.

Trasformato in centro d’accoglienza per offrire protezione ai migranti, per effetto del decreto Sicurezza serra le sue porte. La domanda di continuare l’attività, inoltrata dal  titolare, invero, non è stata accolta nel bando della Prefettura di Sondrio. Ciò significa che i dipendenti della struttura saranno costretti a perdere il lavoro ed il proprietario, ovviamente, a reinventarsi un’attività per mandare avanti la famiglia. In qualità di imprenditore, infatti, lo stesso si vedrà costretto a lasciare a casa, senza lavoro, otto persone, oltre al genero pachistano. Senza considerare, in aggiunta, che non potrà più dare lavoro ai fornitori di generi alimentari, ovvero a coloro che gli hanno sempre assicurato dall’esterno alcuni servizi.

Un duro colpo per i valtellinesi, per gli italiani come il titolare dell’ex hotel Bellevue, che ha sempre svolto il proprio lavoro di albergatore con onestà, trovandosi, dal 21 marzo del 2014, ad  accogliere i richiedenti asilo per specifica richiesta delle autorità locali.

Da ultimo, l’angoscia e le preoccupazioni anche dei colleghi dell’imprenditore che, pur logorati ed esausti dalla situazione in essere, vorrebbero chiudere la propria attività, non tuttavia avendo la possibilità di farlo, purtroppo, a causa delle ingenti esposizioni con gli istituti di credito.

Contesti difficili, quindi, in cui il proprio agire quotidiano, molte volte, si infrange contro un muro di decisioni, regole, principi, sistemi al di sopra di qualsivoglia proposito od impegno umano.

A soli pochi giorni dal casoSea Watch, una nuova storia di immigrati sta sviluppandosi nelle acque del Mediterraneo. Un barcone con 150 persone, tra cui circa sessanta donne (alcune delle quali incinte) e trenta bambini, oltre a malati,  si troverebbe infatti in difficoltà al largo delle coste della Libia.

Altri essere umani, quindi, che rischiano la vita. Altre persone, che, lasciandosi alle spalle barbarie e crudeltà, sofferenze e dolore, hanno deciso di lasciare il paese di origine nel tentativo di dare concretezza a sogni e speranze, confidando in solidarietà e accoglienza.

.La notizia di oggi, 11 febbraio 2019, è giunta intorno a mezzogiorno da “Alarm Phone”,  servizio telefonico di supporto per le imbarcazioni. L’imbarcazione è partita da Khoms – Libia – ma ha purtroppo smesso di funzionare, a causa del motore, in avaria. Le parole di allarme riportate sono le seguenti: “Chiediamo l’immediato intervento degli assetti della Marina militare e della Guardia costiera italiane e maltesi. Chiediamo che venga diramato l’S.O.S. ad ogni nave presente nell’area, senza che questo significhi in alcun modo, come avvenuto nel recente passato, ordinare ai cargo commerciali di riportare le persone soccorse in Libia. Ricordiamo che ciò configura una gravissima violazione di tutte le Convenzioni internazionali sui diritti umani e del diritto del mare”.

Mentre un’altra imbarcazione è alla deriva, con a bordo 150 migranti, il decreto Sicurezza cambia le regole per il sistema che gestisce i richiedenti asilo sul suolo italiano. Ciò si profila sempre più rapidamente, non senza dar luogo a ripercussioni e conseguenze di non poco conto, anche sugli italiani. L’ex hotel Bellevue di Cosio Valtellino (Sondrio), per citare un esempio, chiude.

Trasformato in centro d’accoglienza per offrire protezione ai migranti, per effetto del decreto Sicurezza serra le sue porte. La domanda di continuare l’attività, inoltrata dal  titolare, invero, non è stata accolta nel bando della Prefettura di Sondrio. Ciò significa che i dipendenti della struttura saranno costretti a perdere il lavoro ed il proprietario, ovviamente, a reinventarsi un’attività per mandare avanti la famiglia. In qualità di imprenditore, infatti, lo stesso si vedrà costretto a lasciare a casa, senza lavoro, otto persone, oltre al genero pachistano. Senza considerare, in aggiunta, che non potrà più dare lavoro ai fornitori di generi alimentari, ovvero a coloro che gli hanno sempre assicurato dall’esterno alcuni servizi.

Un duro colpo per i valtellinesi, per gli italiani come il titolare dell’ex hotel Bellevue, che ha sempre svolto il proprio lavoro di albergatore con onestà, trovandosi, dal 21 marzo del 2014, ad  accogliere i richiedenti asilo per specifica richiesta delle autorità locali.

Da ultimo, l’angoscia e le preoccupazioni anche dei colleghi dell’imprenditore che, pur logorati ed esausti dalla situazione in essere, vorrebbero chiudere la propria attività, non tuttavia avendo la possibilità di farlo, purtroppo, a causa delle ingenti esposizioni con gli istituti di credito.

Contesti difficili, quindi, in cui il proprio agire quotidiano, molte volte, si infrange contro un muro di decisioni, regole, principi, sistemi al di sopra di qualsivoglia proposito od impegno umano.

Avv. Iacopo Maria Pitorri

Una vita spezzata

Perché partono? Cosa li spinge ad affrontare il mare – considerato l’ultima chimera -in condizioni disumane, rischiando spesso una morte orribile? Cosa si lasciano alle spalle, per ricostruirsi una vita in Europa? Dalle storie di immigrati e migranti emergono toccanti resoconti di viaggi della speranza. Viaggi spesso in balia di scafisti senza scrupoli, su gommoni e imbarcazioni di fortuna, lottando contro il mare per sottrarsi al destino di schiavi, prima, o di naufraghi clandestini, una volta imboccata la via della navigazione. Uomini, donne e bambini, costretti all’immigrazione per sfuggire a dittature, colpi di stato, violenze, gravi condizioni d’emergenza.

Perché partono? Cosa li spinge ad affrontare il mare – considerato l’ultima chimera -in condizioni disumane, rischiando spesso una morte orribile? Cosa si lasciano alle spalle, per ricostruirsi una vita in Europa? Dalle storie di immigrati e migranti emergono toccanti resoconti di viaggi della speranza. Viaggi spesso in balia di scafisti senza scrupoli, su gommoni e imbarcazioni di fortuna, lottando contro il mare per sottrarsi al destino di schiavi, prima, o di naufraghi clandestini, una volta imboccata la via della navigazione. Uomini, donne e bambini, costretti all’immigrazione per sfuggire a dittature, colpi di stato, violenze, gravi condizioni d’emergenza.

Ogni giorno i media ci descrivono  i tristi, dolorosi, strazianti racconti di questa gente, meno fortunata di noi. Scorgiamo i volti, percepiamo le emozioni e le agghiaccianti esperienze vissute, cogliamo le speranze di coloro che,  dalle coste nordafricane, dal medio oriente, da paesi come Siria, Sudan, Libano, Eritrea, Nigeria non hanno avuto altra scelta, se non quella, purtroppo, di abbandonare la propria realtà, emigrare confidando in solidarietà e accoglienza senza frontiere, lasciandosi alle spalle barbarie e crudeltà,  al di là di gruppi sociali, barriere linguistiche, bandiere nazionali o di qualsivoglia tipologia di differenza. Confidando nell’uomo, più di ogni altra cosa.

Non sempre, tuttavia, i sogni si realizzano o la aspettative trovano riscontro concreto nella realtà, pur avendo fatto il possibile per cambiare.

Prince Jerry Igbinosun, venticinque anni, originario della Nigeria, non ce l’ha fatta. Arrivato in Italia dopo due anni di viaggio, e con sé una laurea di biochimica, convinto del suo sogno, in cerca di una vita migliore, sicuro di riuscire a farsi riconoscere gli studi, dopo essere sopravvissuto alle enormi difficoltà del deserto, agli aguzzini libici ed alla difficoltosa traversata del Mediterraneo, ha deciso di affidarsi agli scafisti e tentare la strada del mare.

Per ben due anni e mezzo ha atteso il verdetto della Commissione, interpellata al fine di valutare la sua richiesta d’asilo. Ottimista, fiducioso, ostinato a raggiungere il suo scopo, non ha avuto difficoltà ad ambientarsi alla città che lo ospitava: Genova. Qui ha trovato accoglienza,  in un primo momento,  in un modesto appartamento del centro storico della cooperativa ‘Un’altra storia, della pastorale Migrantes dell’arcidiocesi. Successivamente si é stabilito al Campus di Coronata, poi a Multedo. Per un anno e mezzo ha svolto attività di volontario presso la Comunità di Sant’Egidio ed è anche riuscito a svolgere tre borse lavoro tra le quali una con lo ‘Staccapanni’ della fondazione Auxilium.

Un ragazzo ammirevole, certamente degno di esempio, che ha sempre avuto una buona parola ed un consiglio da dare al prossimo.

Essendo stato sempre certo di vedersi accettata larichiesta di asilo, si è sentito mancare in qualcosa di fondamentale dinanzi alla inaspettata notizia del diniego della sua domanda, giunto dalla Commissione.Verosimilmente avrebbe potuto fare ricorso, chiedere la protezione umanitaria, un permesso temporaneo che, nel suo specifico caso, si sarebbe potuto applicare posto che la legge non ha effetto retroattivo.

Ciò nonostante nulla di tutto questo è accaduto. La rappresentazione dell’epilogo si è avuta con un giovane, fragile corpo flagellato, finito sotto ad un treno, una vittima abbandonata al suo destino affranto, probabilmente l’ennesima, ma una delle tante. Qualche giorno fa, a Genova, nella basilica della Santissima Annunziata del Vastato – nel quartiere di Prè -l’ultimo saluto a Jerry: una vita spezzata, un sogno mai raggiunto, una speranza scomparsa per sempre.

Perché partono? Cosa li spinge ad affrontare il mare – considerato l’ultima chimera -in condizioni disumane, rischiando spesso una morte orribile? Cosa si lasciano alle spalle, per ricostruirsi una vita in Europa? Dalle storie di immigrati e migranti emergono toccanti resoconti di viaggi della speranza. Viaggi spesso in balia di scafisti senza scrupoli, su gommoni e imbarcazioni di fortuna, lottando contro il mare per sottrarsi al destino di schiavi, prima, o di naufraghi clandestini, una volta imboccata la via della navigazione. Uomini, donne e bambini, costretti all’immigrazione per sfuggire a dittature, colpi di stato, violenze, gravi condizioni d’emergenza.

Ogni giorno i media ci descrivono  i tristi, dolorosi, strazianti racconti di questa gente, meno fortunata di noi. Scorgiamo i volti, percepiamo le emozioni e le agghiaccianti esperienze vissute, cogliamo le speranze di coloro che,  dalle coste nordafricane, dal medio oriente, da paesi come Siria, Sudan, Libano, Eritrea, Nigeria non hanno avuto altra scelta, se non quella, purtroppo, di abbandonare la propria realtà, emigrare confidando in solidarietàaccoglienza senza frontiere, lasciandosi alle spalle barbarie e crudeltà,  al di là di gruppi sociali, barriere linguistiche, bandiere nazionali o di qualsivoglia tipologia di differenza. Confidando nell’uomo, più di ogni altra cosa.

Non sempre, tuttavia, i sogni si realizzano o la aspettative trovano riscontro concreto nella realtà, pur avendo fatto il possibile per cambiare.

Prince Jerry Igbinosun, venticinque anni, originario della Nigeria, non ce l’ha fatta. Arrivato in Italia dopo due anni di viaggio, e con sé una laurea di biochimica, convinto del suo sogno, in cerca di una vita migliore, sicuro di riuscire a farsi riconoscere gli studi, dopo essere sopravvissuto alle enormi difficoltà del deserto, agli aguzzini libici ed alla difficoltosa traversata del Mediterraneo, ha deciso di affidarsi agli scafisti e tentare la strada del mare.

Per ben due anni e mezzo ha atteso il verdetto della Commissione, interpellata al fine di valutare la sua richiesta d’asilo. Ottimista, fiducioso, ostinato a raggiungere il suo scopo, non ha avuto difficoltà ad ambientarsi alla città che lo ospitava: Genova. Qui ha trovato accoglienza,  in un primo momento,  in un modesto appartamento del centro storico della cooperativa ‘Un’altra storia, della pastorale Migrantes dell’arcidiocesi. Successivamente si é stabilito al Campus di Coronata, poi a Multedo. Per un anno e mezzo ha svolto attività di volontario presso la Comunità di Sant’Egidio ed è anche riuscito a svolgere tre borse lavoro tra le quali una con lo ‘Staccapanni’ della fondazione Auxilium.

Un ragazzo ammirevole, certamente degno di esempio, che ha sempre avuto una buona parola ed un consiglio da dare al prossimo.

Essendo stato sempre certo di vedersi accettata larichiesta di asilo, si è sentito mancare in qualcosa di fondamentale dinanzi alla inaspettata notizia del diniego della sua domanda, giunto dalla Commissione.

Verosimilmente avrebbe potuto fare ricorso, chiedere la protezione umanitaria, un permesso temporaneo che, nel suo specifico caso, si sarebbe potuto applicare posto che la legge non ha effetto retroattivo.

Ciò nonostante nulla di tutto questo è accaduto. La rappresentazione dell’epilogo si è avuta con un giovane, fragile corpo flagellato, finito sotto ad un treno, una vittima abbandonata al suo destino affranto, probabilmente l’ennesima, ma una delle tante. Qualche giorno fa, a Genova, nella basilica della Santissima Annunziata del Vastato – nel quartiere di Prè -l’ultimo saluto a Jerry: una vita spezzata, un sogno mai raggiunto, una speranza scomparsa per sempre.

Avv. Pitorri