Di recente, nel corso dei lavori dell’United Nations Environment Assembly, a Nairobi, sono emersi i risultati dell’ultimo rapporto dell’ONU sullo stato del pianeta: si tratta del Global Environment Outlook – 6 (la principale valutazione ambientale dell’ONU). La sua importanza deriva dal fatto che fa riferimento agli obiettivi principali delle Nazioni Unite, risalenti alla risoluzione dell’Assemblea generale, che ha istituito il Programma ambientale delle Nazioni Unite nel 1972. È tenendo conto dei risultati contenuti nel Global Environment Outlook che i paesi dell’Onu devono valutare sia l’influenza della risposta politica alle sfide ambientali che le possibili vie per raggiungere gli obiettivi concordati a livello internazionale.
Di
recente, nel corso dei lavori dell’United Nations Environment Assembly, a
Nairobi, sono emersi i risultati dell’ultimo rapporto dell’ONU sullo stato del
pianeta: si tratta del Global Environment Outlook – 6 (la principale
valutazione ambientale dell’ONU). La sua importanza deriva dal fatto che fa
riferimento agli obiettivi principali delle Nazioni Unite, risalenti alla
risoluzione dell’Assemblea generale, che ha istituito il Programma ambientale
delle Nazioni Unite nel 1972. È tenendo conto dei risultati contenuti nel
Global Environment Outlook che i paesi dell’Onu devono valutare sia l’influenza
della risposta politica alle sfide ambientali che le possibili vie per raggiungere gli obiettivi
concordati a livello internazionale.
E’
noto che la salute dell’umanità è direttamente legata allo stato del nostro
ambiente. Il rapporto fornisce delle indiscutibili prospettive: se si
continuerà sulla via attuale, arriveremo ad un futuro oscuro per l’umanità. Al
contrario, cambiando scelte e modo di fare, potremo adottare una via dello
sviluppo sostenibile. I leader politici,
però, debbono agire al più presto, per il bene di tutti. Aria, acqua, alimenti:
buona parte di ciò che è essenziale per la vita e la salute umana, oggi, appare
seriamente compromesso. È questo il risultato al quale sono giunti i
duecentocinquanta scienziati di ben settanta Paesi, dopo sei anni di ricerche.
I
numeri riportati nel rapporto sono oltremodo spaventosi: un quarto delle morti
premature e delle malattie nel mondo sono collegate all’inquinamento provocato
dall’uomo. Tant’è vero che se le misure di protezione dell’ambiente non
verranno considerevolmente intensificate, nelle città e in intere regioni in
Asia, in Medio Oriente e in Africa potrebbero verificarsi milioni di decessi
prematuri entro la metà del secolo. Il rapporto prevede che “a causa degli
inquinanti presenti nei nostri sistemi di acqua dolce, la resistenza
anti-microbica diventerà la prima causa di decesso”, entro pochi anni.
L’inquinamento
atmosferico, e i prodotti chimici che hanno contaminato l’acqua potabile e
mettono a rischio l’ecosistema, è responsabile del “ 25% circa della mortalità
e delle malattie a livello mondiale ” (nove milioni di morti solo nel 2015).
Altri 1,4 milioni di persone muoiono ogni anno per malattie legate alla
scarsità o assenza di acqua potabile. Vi è, poi, il grave problema connesso
agli agenti chimici, che giungono nei mari e provocano effetti negativi sulla
salute a livello “potenzialmente multi-generazionale”. Oltre ciò, vi è la
deforestazione e il degrado del suolo, che colpisce aree sempre più vaste della
terra, privando 3,2 miliardi di persone della possibilità di vivere (e
costringendole a migrare), causando gravi problemi geopolitici.
Lo
studio evidenzia che, al contrario di quanto promesso fino ad ora negli ultimi
decenni, il divario tra Nord e Sud del pianeta, tra paesi ricchi e paesi
poveri, sta aumentando.
Sono anni che si sentono ripetere le medesime esortazioni, gli stessi consigli.
Ciò significa che molti dei problemi, quindi, non hanno trovato ancora radicale
soluzione.
Per favorire i politici nel prendere delle decisioni strategiche,
volte ad una economia sostenibile, il rapporto passa in rassegna le tendenze
dell’utilizzo delle risorse naturali e i loro consumi a partire dagli anni ’70
e ricorda che: “nel corso degli ultimi 5 decenni la popolazione è raddoppiata e
il prodotto interno lordo mondiale è quadruplicato. Durante lo stesso periodo,
l’estrazione annuale di materiali è passata da 27 miliardi di tonnellate a 92
miliardi di tonnellate (nel 2017). Entro il 2060 questa cifra dovrebbe
raddoppiare”.
Il report evidenzia che “l’estrazione e il trattamento dei
materiali dei combustibili e degli alimenti rappresentano circa la metà delle
emissioni totali di gas serra e sono responsabili di più del 90% dello stress
idrico e sulla biodiversità”. Solo nel 2010, i cambiamenti nell’utilizzo dei
suoli avrebbero comportato una perdita totale di specie intorno all’1%.
Non vi è dubbio, allo stato dei fatti, che sfruttiamo le risorse limitate di
questo pianeta come se non ci fosse un domani, innescando allo stesso tempo dei
cambiamenti climatici e una perdita di biodiversità. Così continuando, potrebbe
non esserci un domani. L’attuale situazione è peggiorata.
Le misure adottate sono state finora quasi del tutto inutili: le emissioni di
CO2 (anidride carbonica) sono aumentate, l’utilizzo delle risorse idriche del
pianeta peggiora giorno dopo giorno.
Anche sul fronte degli
sprechi alimentari è stato detto tanto. Da molti anni sappiamo che è necessario
“adottare dei regimi alimentari meno ricchi di carne e di ridurre lo spreco
alimentare nei Paesi sviluppati e in sviluppo, il che ridurrebbe la necessità
di aumentare la produzione alimentare del 50 % per nutrire i 9 – 10 miliardi di
abitanti del pianeta previsti entro il 2050. Attualmente, il 33% degli alimenti
commestibili prodotti nel mondo vengono sprecati e il 56% di tutti i rifiuti
sono prodotti nei Paesi industrializzati”, come riportato nel rapporto GEO-6.
Anche per quanto riguarda
la riduzione dei rifiuti, sappiamo da tempo cosa fare. Il rapporto GEO-6 ha
invitato i leader mondiali a prendere “misure per limitare la quantità degli 8
milioni di tonnellate di rifiuti plastici riversati negli oceani ogni anno”.
Gli stessi ricercatori, tuttavia, ammettono che sarà difficile ottenere
risultati concreti dato che “benché il problema sia stato oggetto di
un’attenzione crescente nel corso degli ultimi anni, non esiste ancora un accordo
internazionale sulla questione dei rifiuti marini”.
La verità è che di
“ambiente” si parla da decenni. Il
punto è che fare qualcosa di utile per l’ambiente richiede investimenti, a
lungo termine, sicuramente meno costosi dei disastri causati dai cambiamenti
ambientali o dei danni sulla salute dei cittadini.
La necessità di agire
rapidamente per affrontare le sfide ambientali è stata sottolineata anche dalla
pubblicazione di una serie di rapporti
durante l’Assemblea ambientale. Tra i più devastanti c’è stato un aggiornamento sul cambiamento dell’Artico,
nel quale si spiega che, anche se il mondo dovesse tagliare le emissioni, le
temperature invernali nell’Artico aumenterebbero di 3-5 °C entro il 2050 e di
5-9 °C nel 2080, devastando la regione e scatenando l’innalzamento del livello
del mare in tutto il mondo.
In tutto ciò, la quarta assemblea ambientale delle Nazioni Unite si è chiusa con
l’approvazione del nuovo patto globale per salvare il pianeta, sottoscritto
alla fine di cinque giorni di colloqui dai ministri di oltre 170 Stati membri
dell’ONU. Un impegno in cui si gettano le basi per un cambiamento radicale
verso un futuro più sostenibile, dove l’innovazione sarà sfruttata per
affrontare le sfide ambientali. L’uso di materiali plastici usa e getta sarà
notevolmente ridotto e lo sviluppo non sarà più a scapito del pianeta.
La preoccupazione per un pianeta
sempre più inquinato, rapidamente riscaldato e pericolosamente esaurito, ha
portato i ministri a impegnarsi a risolvere le sfide ambientali, attraverso
l’avanzamento di soluzioni innovative e l’adozione di modelli di consumo e
produzione sostenibili. Nella dichiarazione finale diffusa al termine dei colloqui, i
ministri si sono impegnati a promuovere sistemi alimentari sostenibili,
puntando sulle pratiche agricole volte ad affrontare la povertà attraverso la
gestione sostenibile delle risorse naturali. Hanno altresì promosso l’uso e la
condivisione dei dati ambientali, manifestando la intenzione di ridurre
significativamente i prodotti in plastica monouso entro il 2030.
Si tratta, ovviamente, di risoluzione non vincolanti. Tra le risoluzioni approvate a Nairobi, c’è stato il
riconoscimento che un’economia globale
più “circolare”, in cui le merci possano essere riutilizzate e mantenute
in circolazione il più a lungo possibile, possa contribuire in modo
significativo al consumo e alla produzione sostenibili. Altre hanno stabilito
la necessità per gli Stati membri di trasformare le loro economie, attraverso appalti pubblici sostenibili e
sollecitando i paesi a sostenere misure per affrontare gli sprechi alimentari, oltre a sviluppare e
condividere le migliori pratiche su soluzioni di catena del freddo efficienti
dal punto di vista energetico e sicure. Nell’ottica di proteggere gli oceani e gli ecosistemi fragili, inoltre, i
ministri hanno adottato una serie di risoluzioni sui rifiuti di plastica marina
e sulle microplastiche, compreso l’impegno di intraprendere azioni immediate
per l’eliminazione a lungo termine di rifiuti e microplastiche. Hanno altresì
individuato le risoluzioni per affrontare il problema dei rifiuti marini,
esaminando l’intero ciclo di vita dei prodotti e aumentando l’efficienza delle
risorse.
Ne deriva che, se i
paesi mantenessero tutto ciò che è stato concordato a Nairobi, e attuassero le risoluzioni, si potrebbero
veramente fare passi avanti verso un nuovo assetto mondiale che non vada più a
scapito della natura, ma verso la prosperità sia delle persone che del pianeta. Così come hanno
affermato, invero, gli Stati membri durante i vivaci dibattiti emersi durante
l’assemblea, a fianco della società civile, delle imprese, della comunità
scientifica e di altre parti interessate è ancora possibile aumentare il nostro benessere, e allo stesso
tempo mantenere la crescita economica, utilizzando con efficienza le risorse e
ponendo in essere politiche di protezione della biodiversità.
Di recente, nel corso dei lavori dell’United Nations Environment Assembly, a Nairobi, sono emersi i risultati dell’ultimo rapporto dell’ONU sullo stato del pianeta: si tratta del Global Environment Outlook – 6 (la principale valutazione ambientale dell’ONU). La sua importanza deriva dal fatto che fa riferimento agli obiettivi principali delle Nazioni Unite, risalenti alla risoluzione dell’Assemblea generale, che ha istituito il Programma ambientale delle Nazioni Unite nel 1972. È tenendo conto dei risultati contenuti nel Global Environment Outlook che i paesi dell’Onu devono valutare sia l’influenza della risposta politica alle sfide ambientali che le possibili vie per raggiungere gli obiettivi concordati a livello internazionale.
È noto
che la salute dell’umanità è direttamente legata allo stato del nostro
ambiente. Il rapporto fornisce delle indiscutibili prospettive: se si
continuerà sulla via attuale, arriveremo ad un futuro oscuro per l’umanità. Al
contrario, cambiando scelte e modo di fare, potremo adottare una via dello
sviluppo sostenibile. I leader politici,
però, debbono agire al più presto, per il bene di tutti. Aria, acqua, alimenti:
buona parte di ciò che è essenziale per la vita e la salute umana, oggi, appare
seriamente compromesso. È questo il risultato al quale sono giunti i
duecentocinquanta scienziati di ben settanta Paesi, dopo sei anni di ricerche.
I
numeri riportati nel rapporto sono oltremodo spaventosi: un quarto delle morti
premature e delle malattie nel mondo sono collegate all’inquinamento provocato
dall’uomo. Tant’è vero che se le misure di protezione dell’ambiente non
verranno considerevolmente intensificate, nelle città e in intere regioni in
Asia, in Medio Oriente e in Africa potrebbero verificarsi milioni di decessi
prematuri entro la metà del secolo. Il rapporto prevede che “a causa degli
inquinanti presenti nei nostri sistemi di acqua dolce, la resistenza
anti-microbica diventerà la prima causa di decesso”, entro pochi anni.
L’inquinamento
atmosferico, e i prodotti chimici che hanno contaminato l’acqua potabile e
mettono a rischio l’ecosistema, è responsabile del “25% circa della mortalità e
delle malattie a livello mondiale” (nove milioni di morti solo nel 2015). Altri
1,4 milioni di persone muoiono ogni anno per malattie legate alla scarsità o
assenza di acqua potabile. Vi è, poi, il grave problema connesso agli agenti
chimici, che giungono nei mari e provocano effetti negativi sulla salute a
livello “potenzialmente multi-generazionale”. Oltre ciò, vi è la deforestazione
e il degrado del suolo, che colpisce aree sempre più vaste della terra,
privando 3,2 miliardi di persone della possibilità di vivere (e costringendole
a migrare), causando gravi problemi geopolitici.
Lo
studio evidenzia che, al contrario di quanto promesso fino ad ora negli ultimi
decenni, il divario tra Nord e Sud del pianeta, tra paesi ricchi e paesi
poveri, sta aumentando.
Sono anni che si sentono ripetere le medesime esortazioni, gli stessi consigli.
Ciò significa che molti dei problemi, quindi, non hanno trovato ancora radicale
soluzione.
Per favorire i politici nel prendere delle decisioni strategiche,
volte ad una economia sostenibile, il rapporto passa in rassegna le tendenze
dell’utilizzo delle risorse naturali e i loro consumi a partire dagli anni ’70
e ricorda che: “nel corso degli ultimi 5 decenni la popolazione è raddoppiata e
il prodotto interno lordo mondiale è quadruplicato. Durante lo stesso periodo,
l’estrazione annuale di materiali è passata da 27 miliardi di tonnellate a 92
miliardi di tonnellate (nel 2017). Entro il 2060 questa cifra dovrebbe
raddoppiare”.
Il report evidenzia che “l’estrazione e il trattamento dei
materiali dei combustibili e degli alimenti rappresentano circa la metà delle
emissioni totali di gas serra e sono responsabili di più del 90% dello stress
idrico e sulla biodiversità”. Solo nel 2010, i cambiamenti nell’utilizzo dei
suoli avrebbero comportato una perdita totale di specie intorno all’1%.
Non vi è dubbio, allo stato dei fatti, che sfruttiamo le risorse limitate
di questo pianeta come se non ci fosse un domani, innescando allo stesso tempo
dei cambiamenti climatici e una perdita di biodiversità. Così continuando,
potrebbe non esserci un domani. L’attuale situazione è peggiorata. Le misure adottate sono state finora quasi del tutto
inutili: le emissioni di CO2 (anidride carbonica) sono aumentate, l’utilizzo
delle risorse idriche del pianeta peggiora giorno dopo giorno.
Anche sul fronte degli
sprechi alimentari è stato detto tanto. Da molti anni sappiamo che è necessario
“adottare dei regimi alimentari meno ricchi di carne e di ridurre lo spreco
alimentare nei Paesi sviluppati e in sviluppo, il che ridurrebbe la necessità
di aumentare la produzione alimentare del 50 % per nutrire i 9 – 10 miliardi di
abitanti del pianeta previsti entro il 2050. Attualmente, il 33% degli alimenti
commestibili prodotti nel mondo viene sprecato e il 56% di tutti i rifiuti sono
prodotti nei Paesi industrializzati”, come riportato nel rapporto GEO-6.
Anche per quanto riguarda
la riduzione dei rifiuti, sappiamo da tempo cosa fare. Il rapporto GEO-6 ha
invitato i leader mondiali a prendere “misure per limitare la quantità degli 8
milioni di tonnellate di rifiuti plastici riversati negli oceani ogni anno”.
Gli stessi ricercatori, tuttavia, ammettono che sarà difficile ottenere
risultati concreti dato che “benché il problema sia stato oggetto di
un’attenzione crescente nel corso degli ultimi anni, non esiste ancora un accordo
internazionale sulla questione dei rifiuti marini”.
La verità è che di
“ambiente” si parla da decenni. Il
punto è che fare qualcosa di utile per l’ambiente richiede investimenti, a
lungo termine, sicuramente meno costosi dei disastri causati dai cambiamenti
ambientali o dei danni sulla salute dei cittadini.
La necessità di agire
rapidamente per affrontare le sfide ambientali è stata sottolineata anche dalla
pubblicazione di una serie di rapporti
durante l’Assemblea ambientale. Tra i più devastanti c’è stato un aggiornamento sul cambiamento dell’Artico,
nel quale si spiega che, anche se il mondo dovesse tagliare le emissioni, le
temperature invernali nell’Artico aumenterebbero di 3-5 °C entro il 2050 e di
5-9 °C nel 2080, devastando la regione e scatenando l’innalzamento del livello
del mare in tutto il mondo.
In tutto ciò, la quarta assemblea ambientale delle Nazioni Unite si è chiusa con
l’approvazione del nuovo patto globale per salvare il pianeta, sottoscritto
alla fine di cinque giorni di colloqui dai ministri di oltre 170 Stati membri
dell’ONU. Un impegno in cui si gettano le basi per un cambiamento radicale
verso un futuro più sostenibile, dove l’innovazione sarà sfruttata per
affrontare le sfide ambientali. L’uso di materiali plastici usa e getta sarà
notevolmente ridotto e lo sviluppo non sarà più a scapito del pianeta.
La preoccupazione per un pianeta
sempre più inquinato, rapidamente riscaldato e pericolosamente esaurito, ha
portato i ministri a impegnarsi a risolvere le sfide ambientali, attraverso
l’avanzamento di soluzioni innovative e l’adozione di modelli di consumo e
produzione sostenibili. Nella dichiarazione finale diffusa al termine dei colloqui, i
ministri si sono impegnati a promuovere sistemi alimentari sostenibili,
puntando sulle pratiche agricole volte ad affrontare la povertà attraverso la
gestione sostenibile delle risorse naturali. Hanno altresì promosso l’uso e la
condivisione dei dati ambientali, manifestando la intenzione di ridurre
significativamente i prodotti in plastica monouso entro il 2030.
Si tratta, ovviamente, di risoluzione non vincolanti. Tra le risoluzioni approvate a Nairobi, c’è stato il riconoscimento che un’economia globale più “circolare”, in cui le merci possano essere riutilizzate e mantenute in circolazione il più a lungo possibile, possa contribuire in modo significativo al consumo e alla produzione sostenibili. Altre hanno stabilito la necessità per gli Stati membri di trasformare le loro economie, attraverso appalti pubblici sostenibili e sollecitando i paesi a sostenere misure per affrontare gli sprechi alimentari, oltre a sviluppare e condividere le migliori pratiche su soluzioni di catena del freddo efficienti dal punto di vista energetico e sicure. Nell’ottica di proteggere gli oceani e gli ecosistemi fragili, inoltre, i ministri hanno adottato una serie di risoluzioni sui rifiuti di plastica marina e sulle microplastiche, compreso l’impegno di intraprendere azioni immediate per l’eliminazione a lungo termine di rifiuti e microplastiche. Hanno altresì individuato le risoluzioni per affrontare il problema dei rifiuti marini, esaminando l’intero ciclo di vita dei prodotti e aumentando l’efficienza delle risorse.
Ne deriva che, se i
paesi mantenessero tutto ciò che è stato concordato a Nairobi, e attuassero le
risoluzioni, si potrebbero veramente fare passi avanti verso un nuovo assetto
mondiale che non vada più a scapito della natura, ma verso la prosperità sia
delle persone che del pianeta. Così come hanno affermato, invero,
gli Stati membri durante i vivaci dibattiti emersi durante l’assemblea, a
fianco della società civile, delle imprese, della comunità scientifica e di
altre parti interessate è ancora
possibile aumentare il nostro benessere, e allo stesso tempo mantenere la
crescita economica, utilizzando con efficienza le risorse e ponendo in essere
politiche di protezione della biodiversità.
Avv. Iacopo Maria Pitorri