La nave salva migranti Alan Kurdi
Febbraio 25, 2019
Mentre nel Mediterraneo si continua inesorabilmente a perdere la vita (basti pensare che soltanto qualche giorno fa la croce rossa libica ha recuperato tre cadaveri dalla spiaggia di Sirte, oltre al fatto che sono già venti i corpi restituiti dal mare a febbraio), la nave della Ong tedesca Sea Eye ha lasciato ieri notte, 18 febbraio 2019, il porto spagnolo di Palma de Maiorca, diretta verso la zona Search And Rescue.
Mentre nel Mediterraneo si continua inesorabilmente a perdere la vita (basti pensare che soltanto qualche giorno fa la croce rossa libica ha recuperato tre cadaveri dalla spiaggia di Sirte, oltre al fatto che sono già venti i corpi restituiti dal mare a febbraio), la nave della Ong tedesca Sea Eye ha lasciato ieri notte, 18 febbraio 2019, il porto spagnolo di Palma de Maiorca, diretta verso la zona Search And Rescue .
Si precisa che le Ong sono organizzazioni senza fini di lucro, che operano in maniera indipendente dai vari Stati e dalle organizzazioni governative internazionali. Esistono in tutto il mondo e portano avanti con il loro operato campagne dall’inestimabile valore umanitario. Se ne é sentito parlare spesso, negli ultimi tempi, in tema di migranti. Le Ong denunciano i sempre più frequenti casi di respingimento di migranti in Libia ad opera di navi commerciali, che vengono coinvolte dalla Guardia costiera di Tripoli nel soccorso delle imbarcazioni che partono e che riportano indietro i migranti (nonostante la Libia non sia considerata un porto sicuro).
Questa nave, appena salpata, sarà l’unica presente nel nostro mare. E’, infatti, la sola imbarcazione umanitaria rimasta libera, coinvolta nella ricerca e nel soccorso di migranti nel Mare Mediterraneo. Torna, invero, a pattugliare le acque della zona Sar (Search And Rescue) libica, rimaste totalmente sfornite, private di tutela a seguito dell’ormai noto fermo della Sea Watch, rimasta a Catania per ordine della Capitaneria di porto e delle autorità olandesi.
Sea Eye, organizzazione non governativa da tempo attiva nel Mediterraneo, ha ribattezzato questa imbarcazione, che ormai ha preso il largo, con il nome di Alan Kurdi, lo scorso 11 febbraio, a Palma De Maiorca, alla presenza del padre Abdullah Kurdi. La scelta è avvenuta al fine di ricordare Alan, il bambino siriano di tre anni, divenuto un simbolo della crisi europea dei migranti, dopo la morte per annegamento, nel 2015. La famosissima foto, scattata al ritrovamento del suo corpo senza vita su una spiaggia turca, con indosso una maglietta rossa, e il capo rivolto verso l’Europa, è diventata l’icona dei piccoli migranti che perdono la vita in mare, ed ha colpito le coscienze di popoli e governi europei e di tutto il mondo.
Il bimbo e la sua famiglia erano rifugiati siriani, che stavano tentando di raggiungere l’Europa via mare. A seguito del rifiuto di essere accolti in Canada, osando affrontare un pericoloso, terribile viaggio, nel fare la traversata dell’Egeo, diretti verso la Grecia, erano stati vittime di un naufragio sulle coste turche, in cui purtroppo aveva trovato la morte il piccolo Alan. Insieme a lui erano morti suo fratello Ghalib e sua madre Rehana. Questa morte aveva inevitabilmente acceso non poche polemiche sulla crisi dei rifugiati, oltre ad un clamoroso dibattito diffusosi durante le elezioni federali canadesi del 2015, ed in generale in tutti i Paesi coinvolti dalla crisi dei migranti. Tant’è vero che il grave, tragico episodio aveva generato, ineluttabilmente, numerose risposte internazionali.
Non vi è dubbio, comunque, che il nome Alan Kurdi terrà vivo il ricordo di una tragica realtà: quella del dolore e della sofferenza; quella delle persone che, ogni giorno, annegano nel Mediterraneo.
Mentre nel Mediterraneo si continua inesorabilmente a perdere la vita (basti pensare che soltanto qualche giorno fa la croce rossa libica ha recuperato tre cadaveri dalla spiaggia di Sirte, oltre al fatto che sono già venti i corpi restituiti dal mare a febbraio), la nave della Ong tedesca Sea Eye ha lasciato ieri notte, 18 febbraio 2019, il porto spagnolo di Palma de Maiorca, diretta verso la zona Search And Rescue.
Si precisa che le Ong sono organizzazioni senza fini di lucro, che operano in maniera indipendente dai vari Stati e dalle organizzazioni governative internazionali. Esistono in tutto il mondo e portano avanti con il loro operato campagne dall’inestimabile valore umanitario. Se ne é sentito parlare spesso, negli ultimi tempi, in tema di migranti. Le Ong denunciano i sempre più frequenti casi di respingimento di migranti in Libia ad opera di navi commerciali, che vengono coinvolte dalla Guardia costiera di Tripoli nel soccorso delle imbarcazioni che partono e che riportano indietro i migranti (nonostante la Libia non sia considerata un porto sicuro).
Questa nave, appena salpata, sarà l’unica presente nel nostro mare. È, infatti, la sola imbarcazione umanitaria rimasta libera, coinvolta nella ricerca e nel soccorso di migranti nel Mare Mediterraneo. Torna, invero, a pattugliare le acque della zona Sar (Search And Rescue) libica, rimaste totalmente sfornite, private di tutela a seguito dell’ormai noto fermo della Sea Watch, rimasta a Catania per ordine della Capitaneria di porto e delle autorità olandesi.
Sea Eye, organizzazione non governativa da tempo attiva nel Mediterraneo, ha ribattezzato questa imbarcazione, che ormai ha preso il largo, con il nome di Alan Kurdi, lo scorso 11 febbraio, a Palma De Maiorca, alla presenza del padre Abdullah Kurdi. La scelta è avvenuta al fine di ricordare Alan, il bambino siriano di tre anni, divenuto un simbolo della crisi europea dei migranti, dopo la morte per annegamento, nel 2015. La famosissima foto, scattata al ritrovamento del suo corpo senza vita su una spiaggia turca, con indosso una maglietta rossa, e il capo rivolto verso l’Europa, è diventata l’icona dei piccoli migranti che perdono la vita in mare, ed ha colpito le coscienze di popoli e governi europei e di tutto il mondo.
Il bimbo e la sua famiglia erano rifugiati siriani, che stavano tentando di raggiungere l’Europa via mare. A seguito del rifiuto di essere accolti in Canada, osando affrontare un pericoloso, terribile viaggio, nel fare la traversata dell’Egeo, diretti verso la Grecia, erano stati vittime di un naufragio sulle coste turche, in cui purtroppo aveva trovato la morte il piccolo Alan. Insieme a lui erano morti suo fratello Ghalib e sua madre Rehana. Questa morte aveva inevitabilmente acceso non poche polemiche sulla crisi dei rifugiati, oltre ad un clamoroso dibattito diffusosi durante le elezioni federali canadesi del 2015, ed in generale in tutti i Paesi coinvolti dalla crisi dei migranti. Tant’è vero che il grave, tragico episodio aveva generato, ineluttabilmente, numerose risposte internazionali.
Non vi è dubbio, comunque, che il nome Alan Kurdi terrà vivo il ricordo di una tragica realtà: quella del dolore e della sofferenza; quella delle persone che, ogni giorno, annegano nel Mediterraneo.
Avvocato Jacopo Maria Pitorri