Le nuove regole sull’affido condiviso

In Italia la legge sull’affidamento e l’assegno di mantenimento, in caso di separazione, ovvero divorzio, sta per essere rivoluzionata.

In Italia la legge sull’affidamento e l’assegno di mantenimento, in caso di separazione, ovvero divorzio, sta per essere rivoluzionata.

Da una breve analisi della situazione attuale delle famiglie, si rileva  – ad oggi – che sono in aumento i coniugi che decidono di spezzare il vincolo coniugale.

 I dati (aggiornati al 2018) contenuti nelle tabelle Istat sulla popolazione residente per stato civile, confermano che mentre nel 1991 i divorziati erano 375.569, in poco più di venticinque anni, sono andati crescendo smisuratamente (1.671.534 persone).

Attualmente  è stata assegnato alla Commissione Giustizia del Senato il disegno di Legge n. 735 “Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità”.

Si tratta di un disegno di legge  che fonda le sue basi sul concetto di bigenitorialità perfetta: i figli avranno il doppio domicilio, dovranno trascorrere lo stesso tempo con mamma e papà, i quali divideranno le spese a metà.

L’aspetto fondamentale  da tenere presente è che  pur garantendo l’imprescindibile diritto di ogni genitore al figlio, sia assicurata l’assoluta prevalenza dell’interesse del minore.

Domicilio, pertanto, mediatori familiari e congedo dell’assegno di mantenimento costituiscono le principali novità inserite nel  disegno di legge che ha cominciato il suo iter parlamentare alla Commissione Giustizia in Senato.

 Ciò, chiaramente, si diversifica da quanto stabilito nella Legge n.54  del 2006” Disposizioni in materia di separazione dei genitori  e affidamento condiviso dei figli “ sull’affido condiviso dei figli in caso di divorzio o separazione, garantendo una maggiore parità tra i due genitori e  ponendo in primo piano, al centro delle decisioni per i figli, la famiglia e i genitori.

Più specificamente, con l’addioall’assegnodimantenimento, dato nella maggioranza dei casi alle mamme, con cui il padre passa ogni mese una cifra stabilita per i figli, accadrebbe che entrambi i genitori dovranno provvedere ognuno a metàdelle spese.

L’assegno, infatti, non avrà più ragion d’essere, posto che  i figli avranno duecaseeduedomicili e, a meno di accordi diversi presi dai genitori, ogni bambino o bambina dovrà passare lo stesso tempo con i genitori, che non dovrà esser inferiore ai dodici giorni al mese. Ciò al fine esclusivo di  garantire un giusto equilibrio nei rapporti con entrambe le figure genitoriali. La parità tra i coniugi, tuttavia, non può determinare automaticamente una doppia residenza dei figli, una paritaria gestione dei tempi, ovvero calcoli prefissati del numero di giorni. Il bambino, è stato evidenziato, vive anche di stabilità delle proprie relazioni sociali, di amicizie scolastiche,  di un proprio “nido sicuro” (una cameretta, i propri oggetti, i giocattoli), e obbligare per legge i figli ad un pendolarismo periodico tra i due genitori appare imprudente e inverosimile.

 Molti pensano che sia preferibile che sia il giudice,  caso per caso, ad operare le opportune valutazioni, se i genitori non trovano un equo accordo , anziché affidarsi alle inflessibili regole della legge.

Cancellando l’assegno di mantenimento per i figli, e la sua sostituzione con i costi diretti, sostenuti da ogni genitore, pur restituendo responsabilità e trasparenza a ciascun genitore (dando fine al dramma dei ritardi e dei mancati pagamenti),  è stato altresì fatto notare  che vi è il rischio di esporre il figlio a due stili di vita molto diversi, in caso di forti disparità economica  tra madre e padre. Del resto, la situazione peculiare dei genitori separati riguarda sia i padri (ce ne sono molti, che dormono nella propria autovettura e mangiano presso le mense Caritas), che  le madri (ne esistono tante che non arrivano a fine mese perché non arriva loro l’assegno da parte dell’ex coniuge)

 E’ stato altresì rilevato  che il  disegno di legge – non tiene conto del fatto che i bimbi, così facendo, potrebbero trovarsi immersi in una sorta di continuo trasloco, trasferiti sovente da una casa all’altra.

Inoltre , il disegno di legge  prevede la figura del mediatorefamiliare: colui, cioè, che può seguire i coniugi durante la separazione, aiutandoli nella gestione dei minori, per un periodo di massimo sei mesi. Una buona mediazione familiare è sicuramente utile, anche se esistono coppie  “non mediabili”, dove cioè la conflittualità è ormai non più contenibile e che non gradiscono la presenza di un estraneo.

Ciò  è stato evidenziato che non può non  comportare il ricorso al giudice e quindi alle sentenze e alle indicazioni obbligatorie (ma inevitabilmente caso per caso, ancora una volta) dei tribunali.  Come è stato altresì sottolineato  che esperire però, un tentativo di supporto fuori e prima del tribunale con la mediazione può  dare risultati che evitino il contenzioso.

Si auspica che ogni intervento  normativo in  un ambito così delicato deve comunque difendere e promuovere la famiglia e i soggetti che ne fanno parte, pur quando le relazioni, interrompendosi, possono essere non più armoniche. Il tutto, chiaramente, al fine di  proteggere innanzitutto il benessere dei figli della coppia che si separa: indifesi che, più di ogni altro, accusano il duro colpo, il dolore, l’angoscia e le sofferenze che derivano dalla interruzione del rapporto coniugale della mamma e del papà.

In Italia la legge sull’affidamento e l’assegno di mantenimento, in caso di separazione, ovvero divorzio, sta per essere rivoluzionata.

Da una breve analisi della situazione attuale delle famiglie, si rileva – ad oggi – che sono in aumento i coniugi che decidono di spezzare il vincolo coniugale.

 I dati (aggiornati al 2018) contenuti nelle tabelle Istat sulla popolazione residente per stato civile, confermano che mentre nel 1991 i divorziati erano 375.569, in poco più di venticinque anni, sono andati crescendo smisuratamente (1.671.534 persone).

Attualmente è stata assegnato alla Commissione Giustizia del Senato il disegno di Legge n. 735 “Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità”.

Si tratta di un disegno di legge che fonda le sue basi sul concetto di bigenitorialità perfetta: i figli avranno il doppio domicilio, dovranno trascorrere lo stesso tempo con mamma e papà, i quali divideranno le spese a metà.

L’aspetto fondamentale da tenere presente è che pur garantendo l’imprescindibile diritto di ogni genitore al figlio, sia assicurata l’assoluta prevalenza dell’interesse del minore.

Domicilio, pertanto, mediatori familiari e congedo dell’assegno di mantenimento costituiscono le principali novità inserite nel disegno di legge che ha cominciato il suo iter parlamentare alla Commissione Giustizia in Senato.

 Ciò, chiaramente, si diversifica da quanto stabilito nella Legge n.54 del 2006” Disposizioni in materia di separazione dei genitori  e affidamento condiviso dei figli “ sull’affido condiviso dei figli in caso di divorzio o separazione, garantendo una maggiore parità tra i due genitori e  ponendo in primo piano, al centro delle decisioni per i figli, la famiglia e i genitori.

Più specificamente, con l’addioall’assegnodimantenimento, dato nella maggioranza dei casi alle mamme, con cui il padre passa ogni mese una cifra stabilita per i figli, accadrebbe che entrambi i genitori dovranno provvedere ognuno a metàdelle spese.

L’assegno, infatti, non avrà più ragion d’essere, posto che i figli avranno duecaseeduedomicili e, a meno di accordi diversi presi dai genitori, ogni bambino o bambina dovrà passare lo stesso tempo con i genitori, che non dovrà esser inferiore ai dodici giorni al mese. Ciò al fine esclusivo di garantire un giusto equilibrio nei rapporti con entrambe le figure genitoriali. La parità tra i coniugi, tuttavia, non può determinare automaticamente una doppia residenza dei figli, una paritaria gestione dei tempi, ovvero calcoli prefissati del numero di giorni. Il bambino, è stato evidenziato, vive anche di stabilità delle proprie relazioni sociali, di amicizie scolastiche, di un proprio “nido sicuro” (una cameretta, i propri oggetti, i giocattoli), e obbligare per legge i figli ad un pendolarismo periodico tra i due genitori appare imprudente e inverosimile.

 Molti pensano che sia preferibile che sia il giudice, caso per caso, ad operare le opportune valutazioni, se i genitori non trovano un equo accordo, anziché affidarsi alle inflessibili regole della legge.

Cancellando l’assegno di mantenimento per i figli, e la sua sostituzione con i costi diretti, sostenuti da ogni genitore, pur restituendo responsabilità e trasparenza a ciascun genitore (dando fine al dramma dei ritardi e dei mancati pagamenti), è stato altresì fatto notare che vi è il rischio di esporre il figlio a due stili di vita molto diversi, in caso di forti disparità economica tra madre e padre. Del resto, la situazione peculiare dei genitori separati riguarda sia i padri (ce ne sono molti, che dormono nella propria autovettura e mangiano presso le mense Caritas), che le madri (ne esistono tante che non arrivano a fine mese perché non arriva loro l’assegno da parte dell’ex coniuge)

 E’ stato altresì rilevato che il disegno di legge – non tiene conto del fatto che i bimbi, così facendo, potrebbero trovarsi immersi in una sorta di continuo trasloco, trasferiti sovente da una casa all’altra.

Inoltre, il disegno di legge prevede la figura del mediatorefamiliare: colui, cioè, che può seguire i coniugi durante la separazione, aiutandoli nella gestione dei minori, per un periodo di massimo sei mesi. Una buona mediazione familiare è sicuramente utile, anche se esistono coppie “non mediabili”, dove cioè la conflittualità è ormai non più contenibile e che non gradiscono la presenza di un estraneo.

Ciò è stato evidenziato che non può non comportare il ricorso al giudice e quindi alle sentenze e alle indicazioni obbligatorie (ma inevitabilmente caso per caso, ancora una volta) dei tribunali.  Come è stato altresì sottolineato che esperire però, un tentativo di supporto fuori e prima del tribunale con la mediazione può  dare risultati che evitino il contenzioso.

Si auspica che ogni intervento normativo in  un ambito così delicato deve comunque difendere e promuovere la famiglia e i soggetti che ne fanno parte, pur quando le relazioni, interrompendosi, possono essere non più armoniche. Il tutto, chiaramente, al fine di proteggere innanzitutto il benessere dei figli della coppia che si separa: indifesi che, più di ogni altro, accusano il duro colpo, il dolore, l’angoscia e le sofferenze che derivano dalla interruzione del rapporto coniugale della mamma e del papà.

Avv. Iacopo Maria Pitorri

Speranze che nascono, speranze che muoiono

A soli pochi giorni dal casoSea Watch, una nuova storia di immigrati sta sviluppandosi nelle acque del Mediterraneo. Un barcone con 150 persone, tra cui circa sessanta donne (alcune delle quali incinte) e trenta bambini, oltre a malati,  si troverebbe infatti in difficoltà al largo delle coste della Libia.

A soli pochi giorni dal casoSea Watch, una nuova storia di immigrati sta sviluppandosi nelle acque del Mediterraneo. Un barcone con 150 persone, tra cui circa sessanta donne (alcune delle quali incinte) e trenta bambini, oltre a malati,  si troverebbe infatti in difficoltà al largo delle coste della Libia.

Altri essere umani, quindi, che rischiano la vita. Altre persone, che, lasciandosi alle spalle barbarie e crudeltà, sofferenze e dolore, hanno deciso di lasciare il paese di origine nel tentativo di dare concretezza a sogni e speranze, confidando in solidarietàeaccoglienza.

La notizia di oggi, 11 febbraio 2019, è giunta intorno a mezzogiorno da “Alarm Phone”,  servizio telefonico di supporto per le imbarcazioni. L’imbarcazione è partita da Khoms – Libia – ma ha purtroppo smesso di funzionare, a causa del motore, in avaria. Le parole di allarme riportate sono le seguenti: “Chiediamo l’immediato intervento degli assetti della Marina militare e della Guardia costiera italiane e maltesi. Chiediamo che venga diramato l’SOS ad ogni nave presente nell’area, senza che questo significhi in alcun modo, come avvenuto nel recente passato, ordinare ai cargo commerciali di riportare le persone soccorse in Libia. Ricordiamo che ciò configura una gravissima violazione di tutte le Convenzioni internazionali sui diritti umani e del diritto del mare”.

Mentre un’altra imbarcazione è alla deriva, con a bordo 150 migranti, il decreto Sicurezza cambia le regole per il sistema che gestisce i richiedenti asilo sul suolo italiano. Ciò si profila sempre più rapidamente, non senza dar luogo a ripercussioni e conseguenze di non poco conto, anche sugli italiani. L’ex hotel Bellevue di Cosio Valtellino (Sondrio), per citare un esempio, chiude.

Trasformato in centro d’accoglienza per offrire protezione ai migranti, per effetto del decreto Sicurezza serra le sue porte. La domanda di continuare l’attività, inoltrata dal  titolare, invero, non è stata accolta nel bando della Prefettura di Sondrio. Ciò significa che i dipendenti della struttura saranno costretti a perdere il lavoro ed il proprietario, ovviamente, a reinventarsi un’attività per mandare avanti la famiglia. In qualità di imprenditore, infatti, lo stesso si vedrà costretto a lasciare a casa, senza lavoro, otto persone, oltre al genero pachistano. Senza considerare, in aggiunta, che non potrà più dare lavoro ai fornitori di generi alimentari, ovvero a coloro che gli hanno sempre assicurato dall’esterno alcuni servizi.

Un duro colpo per i valtellinesi, per gli italiani come il titolare dell’ex hotel Bellevue, che ha sempre svolto il proprio lavoro di albergatore con onestà, trovandosi, dal 21 marzo del 2014, ad  accogliere i richiedenti asilo per specifica richiesta delle autorità locali.

Da ultimo, l’angoscia e le preoccupazioni anche dei colleghi dell’imprenditore che, pur logorati ed esausti dalla situazione in essere, vorrebbero chiudere la propria attività, non tuttavia avendo la possibilità di farlo, purtroppo, a causa delle ingenti esposizioni con gli istituti di credito.

Contesti difficili, quindi, in cui il proprio agire quotidiano, molte volte, si infrange contro un muro di decisioni, regole, principi, sistemi al di sopra di qualsivoglia proposito od impegno umano.

A soli pochi giorni dal casoSea Watch, una nuova storia di immigrati sta sviluppandosi nelle acque del Mediterraneo. Un barcone con 150 persone, tra cui circa sessanta donne (alcune delle quali incinte) e trenta bambini, oltre a malati,  si troverebbe infatti in difficoltà al largo delle coste della Libia.

Altri essere umani, quindi, che rischiano la vita. Altre persone, che, lasciandosi alle spalle barbarie e crudeltà, sofferenze e dolore, hanno deciso di lasciare il paese di origine nel tentativo di dare concretezza a sogni e speranze, confidando in solidarietà e accoglienza.

.La notizia di oggi, 11 febbraio 2019, è giunta intorno a mezzogiorno da “Alarm Phone”,  servizio telefonico di supporto per le imbarcazioni. L’imbarcazione è partita da Khoms – Libia – ma ha purtroppo smesso di funzionare, a causa del motore, in avaria. Le parole di allarme riportate sono le seguenti: “Chiediamo l’immediato intervento degli assetti della Marina militare e della Guardia costiera italiane e maltesi. Chiediamo che venga diramato l’S.O.S. ad ogni nave presente nell’area, senza che questo significhi in alcun modo, come avvenuto nel recente passato, ordinare ai cargo commerciali di riportare le persone soccorse in Libia. Ricordiamo che ciò configura una gravissima violazione di tutte le Convenzioni internazionali sui diritti umani e del diritto del mare”.

Mentre un’altra imbarcazione è alla deriva, con a bordo 150 migranti, il decreto Sicurezza cambia le regole per il sistema che gestisce i richiedenti asilo sul suolo italiano. Ciò si profila sempre più rapidamente, non senza dar luogo a ripercussioni e conseguenze di non poco conto, anche sugli italiani. L’ex hotel Bellevue di Cosio Valtellino (Sondrio), per citare un esempio, chiude.

Trasformato in centro d’accoglienza per offrire protezione ai migranti, per effetto del decreto Sicurezza serra le sue porte. La domanda di continuare l’attività, inoltrata dal  titolare, invero, non è stata accolta nel bando della Prefettura di Sondrio. Ciò significa che i dipendenti della struttura saranno costretti a perdere il lavoro ed il proprietario, ovviamente, a reinventarsi un’attività per mandare avanti la famiglia. In qualità di imprenditore, infatti, lo stesso si vedrà costretto a lasciare a casa, senza lavoro, otto persone, oltre al genero pachistano. Senza considerare, in aggiunta, che non potrà più dare lavoro ai fornitori di generi alimentari, ovvero a coloro che gli hanno sempre assicurato dall’esterno alcuni servizi.

Un duro colpo per i valtellinesi, per gli italiani come il titolare dell’ex hotel Bellevue, che ha sempre svolto il proprio lavoro di albergatore con onestà, trovandosi, dal 21 marzo del 2014, ad  accogliere i richiedenti asilo per specifica richiesta delle autorità locali.

Da ultimo, l’angoscia e le preoccupazioni anche dei colleghi dell’imprenditore che, pur logorati ed esausti dalla situazione in essere, vorrebbero chiudere la propria attività, non tuttavia avendo la possibilità di farlo, purtroppo, a causa delle ingenti esposizioni con gli istituti di credito.

Contesti difficili, quindi, in cui il proprio agire quotidiano, molte volte, si infrange contro un muro di decisioni, regole, principi, sistemi al di sopra di qualsivoglia proposito od impegno umano.

Avv. Iacopo Maria Pitorri

Il decreto sul reddito di cittadinanza

In data 28 gennaio 2019, il Capo dello Stato Sergio Mattarella ha firmato il decreto sul reddito di cittadinanza, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, entrato in vigore il successivo 29 gennaio.

In data 28 gennaio 2019, il Capo dello Stato Sergio Mattarella ha firmato il decreto sul reddito di cittadinanza, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, entrato in vigore il successivo 29 gennaio.

Il testo del decreto indica chi ha diritto al reddito di cittadinanza (Rdc), enunciando requisiti, vincoli, regole e tempistica per porre rimedio a due aspetti negativi : povertà e disoccupazione.

Il Decreto Legge n. 4/2019 ha il fine di contrastare povertà, disuguaglianza, esclusione sociale,  di favorire  informazione, istruzione, formazione, cultura  e di promuovere politiche tese al sostegno economico e all’inserimento sociale dei soggetti a rischio di emarginazione nella società e nel mondo del lavoro.

Il relativo modulo per fare la domanda sarà a disposizione di tutti dal mese di marzo. L’erogazione  fino ai  780 euro  previsti partirà da aprile 2019. Al calcolo concorreranno diverse variabili: possesso o affitto dell’abitazione principale, mutui contratti ed eventuali altri redditi percepiti. Le imprese che assumeranno percettori del reddito di cittadinanza potranno godere di un’agevolazione riconosciuta nella forma di sgravio contributivo.

 Il Rdc è compatibile con il godimento della c.d. NASPI ( Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego ( articolo 1, decreto legislativo  4 marzo 2015, n.22) e di altro strumento di sostegno al reddito  per la disoccupazione involontaria ove ricorrano le condizioni. Ai fini del diritto al beneficio e della definizione dell’ammontare del medesimo, gli emolumenti percepiti rilevano secondo quanto previsto dalla disciplina ISEE.

Il Rdc sarà riconosciuto ai nuclei familiari in possesso, al momento della presentazione della domanda, e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, di alcuni requisiti. Il  componente richiedente il beneficio dovrà essere, innanzitutto, in possesso della cittadinanza italiana o di Paesi facenti parte dell’Unione europea, ovvero suo familiare, titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, o proveniente da Paesi che hanno sottoscritto convenzioni bilaterali di sicurezza sociale, oppure cittadino di Paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo. Dovrà altresì essere residente in Italia in via continuativa da almeno 10 anni al momento della presentazione della domanda.

Per ciò che concerne il nucleo familiare, quest’ultimo dovrà possedere un valore dell’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE), di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 5 dicembre 2013, numero 159, inferiore a 9.360,00 euro; un valore del patrimonio immobiliare, come definito a fini ISEE, diverso dalla casa di abitazione, non superiore ad una soglia di euro 30.000,00; un valore del patrimonio mobiliare, come definito a fini ISEE, non superiore a una soglia di euro 6.000,00, accresciuta di euro 2.000,00 per ogni componente il nucleo familiare successivo al primo, fino ad un massimo di euro 10.000,00, incrementato di ulteriori euro 1.000,00 per ogni figlio successivo al secondo; i predetti massimali sono ulteriormente incrementati di euro 5.000,00 per ogni componente con disabilità, come definita a fini ISEE, presente nel nucleo; un valore del reddito familiare inferiore ad una soglia di euro 6.000,00 annui moltiplicata per il corrispondente parametro della scala di equivalenza di cui al comma 4. La predetta soglia verrà incrementata ad euro 7.560,00 ai fini dell’accesso alla Pensione di cittadinanza. In ogni caso la soglia sarà incrementata ad  9.360,00 euro nei casi in cui il nucleo familiare risieda in abitazione in locazione, come da dichiarazione sostitutiva unica ai fini ISEE.

Inoltre nessun componente il nucleo familiare dovrà essere intestatario, a qualunque titolo o avente piena disponibilità, di autoveicoli immatricolati la prima volta nei sei mesi antecedenti la richiesta, ovvero di autoveicoli di cilindrata superiore a 1.600 cc, nonché motoveicoli di cilindrata superiore a 250 cc, immatricolati la prima volta nei due anni antecedenti, esclusi gli autoveicoli e i motoveicoli per cui è prevista una agevolazione fiscale in favore delle persone con disabilità  secondo la disciplina vigente. E nessun componente dovrà essere intestatario, a qualunque titolo o avente piena disponibilità, di navi e imbarcazioni da diporto (articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 18 luglio 2005, numero 171).

Non avranno diritto al Rdc i nuclei familiari che hanno tra i componenti soggetti disoccupati a seguito di dimissioni volontarie nei dodici mesi successivi alla data delle dimissioni, fatte salve le dimissioni per giusta causa.

Al fine di evitare espedienti volti a dare luogo ad abusi e/o inganni di ogni genere, il decreto ha previsto anche le regole per la definizione del nucleo familiare, con norme specifiche per ovviare a false separazioni /divorzi o fuoriuscita dal nucleo familiare di figli disoccupati.

Per beneficiare completamente dei 780 euro, il richiedente dovrà risiedere in una abitazione non di proprietà ma concessa in locazione.

L’integrazione per chi vive in affitto è concessa anche a chi ha intestato un mutuo e fino ad un massimo di 1.800,00 euro annui. Integrazione che sarà concessa ai nuclei familiari residenti in abitazione di proprietà per il cui acquisto o per la cui costruzione sia stato contratto un mutuo  da parte di componenti il medesimo nucleo familiare.

La durata del reddito di cittadinanza è di  18 mesi, stop di 1 mese e 18 mesi rinnovabili dopo la verifica del possesso dei requisiti di accesso e permanenza.

I beneficiari del reddito di cittadinanza dovranno stipulare presso i Centri per l’Impiego, un patto per il lavoro, con obblighi ed impegni da rispettare. E’ prevista la collaborazione con l’operatore addetto alla redazione del bilancio delle competenze, ai fini della definizione del Patto per il lavoro, accettare espressamente gli obblighi e rispettare gli impegni previsti nel Patto per il Lavoro e, nello specifico:

  • registrarsi sull’apposita  piattaforma digitale di cui all’articolo 6, comma 1,  e consultarla quotidianamente  in quanto volta a fornire supporto nella ricerca del lavoro;
  • svolgere ricerca attiva del lavoro, secondo le modalità definite nel Patto per il Lavoro, che, comunque, individua il diario delle attività che devono essere svolte settimanalmente;
  • accettare di essere avviato ai corsi di formazione o riqualificazione professionale, ovvero progetti per favorire l’auto-imprenditorialità, secondo le modalità individuate nel Patto per il Lavoro, tenuto conto del bilancio delle competenze, delle inclinazioni professionali o di eventuali specifiche propensioni;
  • sostenere i colloqui psicoattitudinali e le eventuali prove di selezione finalizzate all’assunzione, su indicazione dei servizi competenti e in attinenza alle competenze certificate;
  • accettare almeno una di tre offerte di lavoro congrue.

Le offerte di lavoro congrue che sarà obbligatorio accettare rinviano ai requisiti stabiliti dall’articolo 25 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150, come integrato al comma 9   (Disposizioni per il riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive, ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge 10 dicembre 2014, n. 183.), ma la distanza tra casa e lavoro sarà calcolata in base ai mesi di fruizione del beneficio.

 Inoltre,  il  testo del D.L 4/2019 precisa che la congruità dell’offerta di lavoro è definita anche con riferimento alla durata di fruizione del beneficio del Rdc.

Più specificamente, sarà definita congrua: 1) la prima offerta di lavoro,  entro  100 km di distanza dalla residenza del beneficiario nei primi dodici mesi  di fruizione del beneficio. 2) la seconda offerta di lavoro, entro 250 km dal luogo di residenza, decorsi dodici mesi di fruizione del beneficio; 3) la terza offerta ovunque nel territorio italiano, in caso di rinnovo del beneficio.

Infatti, in caso di rinnovo del beneficio sarà congrua un’offerta ovunque sia collocata nel territorio nazionale anche nel caso si tratti di prima offerta.

Nel caso di accettazione di una offerta collocata oltre duecentocinquanta chilometri di distanza dalla residenza del beneficiario, questi continuerà a percepire il beneficio economico del reddito di cittadinanza a titolo di compensazione per le spese di trasferimento sostenute, per i successivi tre mesi dall’inizio del nuovo impiego, incrementati a dodici mesi nel caso siano presenti componenti di minore età ovvero componenti con disabilità , come definita ai fini ISEE.

All’impresa che assumerà a tempo pieno e indeterminato il beneficiario di Rdc  sarà riconosciuto uno sgravio di contributi.

E’ stato presentato sia il sito ufficiale del reddito di cittadinanza che la Rdc card, vale a dire la card con la quale sarà possibile spendere  questo  sussidio economico.

In data 28 gennaio 2019, il Capo dello Stato Sergio Mattarella ha firmato il decreto sul reddito di cittadinanza, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, entrato in vigore il successivo 29 gennaio.

Il testo del decreto indica chi ha diritto al reddito di cittadinanza (RDC), enunciando requisiti, vincoli, regole e tempistica per porre rimedio a due aspetti negativi: povertà e disoccupazione.

Il Decreto Legge n. 4/2019 ha il fine di contrastare povertà, disuguaglianza, esclusione sociale, di favorire informazione, istruzione, formazione, cultura  e di promuovere politiche tese al sostegno economico e all’inserimento sociale dei soggetti a rischio di emarginazione nella società e nel mondo del lavoro.

Il relativo modulo per fare la domanda sarà a disposizione di tutti dal mese di marzo. L’erogazione fino ai  780 euro  previsti partirà da aprile 2019. Al calcolo concorreranno diverse variabili: possesso o affitto dell’abitazione principale, mutui contratti ed eventuali altri redditi percepiti. Le imprese che assumeranno percettori del reddito di cittadinanza potranno godere di un’agevolazione riconosciuta nella forma di sgravio contributivo.

 Il RDC è compatibile con il godimento della c.d. NASPI (Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego (articolo 1, decreto legislativo 4 marzo 2015, n.22) e di altro strumento di sostegno al reddito  per la disoccupazione involontaria ove ricorrano le condizioni. Ai fini del diritto al beneficio e della definizione dell’ammontare del medesimo, gli emolumenti percepiti rilevano secondo quanto previsto dalla disciplina ISEE.

Il RDC sarà riconosciuto ai nuclei familiari in possesso, al momento della presentazione della domanda, e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, di alcuni requisiti. Il componente richiedente il beneficio dovrà essere, innanzitutto, in possesso della cittadinanza italiana o di Paesi facenti parte dell’Unione europea, ovvero suo familiare, titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, o proveniente da Paesi che hanno sottoscritto convenzioni bilaterali di sicurezza sociale, oppure cittadino di Paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo. Dovrà altresì essere residente in Italia in via continuativa da almeno 10 anni al momento della presentazione della domanda.

Per ciò che concerne il nucleo familiare, quest’ultimo dovrà possedere un valore dell’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE), di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 5 dicembre 2013, numero 159, inferiore a 9.360,00 euro; un valore del patrimonio immobiliare, come definito a fini ISEE, diverso dalla casa di abitazione, non superiore ad una soglia di euro 30.000,00; un valore del patrimonio mobiliare, come definito a fini ISEE, non superiore a una soglia di euro 6.000,00, accresciuta di euro 2.000,00 per ogni componente il nucleo familiare successivo al primo, fino ad un massimo di euro 10.000,00, incrementato di ulteriori euro 1.000,00 per ogni figlio successivo al secondo; i predetti massimali sono ulteriormente incrementati di euro 5.000,00 per ogni componente con disabilità, come definita a fini ISEE, presente nel nucleo; un valore del reddito familiare inferiore ad una soglia di euro 6.000,00 annui moltiplicata per il corrispondente parametro della scala di equivalenza di cui al comma 4. La predetta soglia verrà incrementata ad euro 7.560,00 ai fini dell’accesso alla Pensione di cittadinanza. In ogni caso la soglia sarà incrementata ad 9.360,00 euro nei casi in cui il nucleo familiare risieda in abitazione in locazione, come da dichiarazione sostitutiva unica ai fini ISEE.

Inoltre nessun componente il nucleo familiare dovrà essere intestatario, a qualunque titolo o avente piena disponibilità, di autoveicoli immatricolati la prima volta nei sei mesi antecedenti la richiesta, ovvero di autoveicoli di cilindrata superiore a 1.600 cc, nonché motoveicoli di cilindrata superiore a 250 cc, immatricolati la prima volta nei due anni antecedenti, esclusi gli autoveicoli e i motoveicoli per cui è prevista una agevolazione fiscale in favore delle persone con disabilità  secondo la disciplina vigente. E nessun componente dovrà essere intestatario, a qualunque titolo o avente piena disponibilità, di navi e imbarcazioni da diporto (articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 18 luglio 2005, numero 171).

Non avranno diritto al Rdc i nuclei familiari che hanno tra i componenti soggetti disoccupati a seguito di dimissioni volontarie nei dodici mesi successivi alla data delle dimissioni, fatte salve le dimissioni per giusta causa.

Al fine di evitare espedienti volti a dare luogo ad abusi e/o inganni di ogni genere, il decreto ha previsto anche le regole per la definizione del nucleo familiare, con norme specifiche per ovviare a false separazioni /divorzi o fuoriuscita dal nucleo familiare di figli disoccupati.

Per beneficiare completamente dei 780 euro, il richiedente dovrà risiedere in una abitazione non di proprietà ma concessa in locazione.

L’integrazione per chi vive in affitto è concessi anche a chi ha intestato un mutuo e fino ad un massimo di 1.800,00 euro annui. Integrazione che sarà concessa ai nuclei familiari residenti in abitazione di proprietà per il cui acquisto o per la cui costruzione sia stato contratto un mutuo da parte di componenti il medesimo nucleo familiare.

La durata del reddito di cittadinanza è di 18 mesi, stop di 1 mese e 18 mesi rinnovabili dopo la verifica del possesso dei requisiti di accesso e permanenza.

I beneficiari del reddito di cittadinanza dovranno stipulare presso i Centri per l’Impiego, un patto per il lavoro, con obblighi ed impegni da rispettare. È prevista la collaborazione con l’operatore addetto alla redazione del bilancio delle competenze, ai fini della definizione del Patto per il lavoro, accettare espressamente gli obblighi e rispettare gli impegni previsti nel Patto per il Lavoro e, nello specifico:

  • registrarsi sull’apposita piattaforma digitale di cui all’articolo 6, comma 1, e consultarla quotidianamente  in quanto volta a fornire supporto nella ricerca del lavoro;
  • svolgere ricerca attiva del lavoro, secondo le modalità definite nel Patto per il Lavoro, che, comunque, individua il diario delle attività che devono essere svolte settimanalmente;
  • accettare di essere avviato ai corsi di formazione o riqualificazione professionale, ovvero progetti per favorire l’auto-imprenditorialità, secondo le modalità individuate nel Patto per il Lavoro, tenuto conto del bilancio delle competenze, delle inclinazioni professionali o di eventuali specifiche propensioni;
  • sostenere i colloqui psicoattitudinali e le eventuali prove di selezione finalizzate all’assunzione, su indicazione dei servizi competenti e in attinenza alle competenze certificate;
  • accettare almeno una di tre offerte di lavoro congrue.

Le offerte di lavoro congrue che sarà obbligatorio accettare rinviano ai requisiti stabiliti dall’articolo 25 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150, come integrato al comma 9 (Disposizioni per il riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive, ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge 10 dicembre 2014, n. 183.), ma la distanza tra casa e lavoro sarà calcolata in base ai mesi di fruizione del beneficio.

 Inoltre, il testo del D.L 4/2019 precisa che la congruità dell’offerta di lavoro è definita anche con riferimento alla durata di fruizione del beneficio del RDC.

Più specificamente, sarà definita congrua: 1) la prima offerta di lavoro, entro 100 km di distanza dalla residenza del beneficiario nei primi dodici mesi  di fruizione del beneficio. 2) la seconda offerta di lavoro, entro 250 km dal luogo di residenza, decorsi dodici mesi di fruizione del beneficio; 3) la terza offerta ovunque nel territorio italiano, in caso di rinnovo del beneficio.

Infatti, in caso di rinnovo del beneficio sarà congrua un’offerta ovunque sia collocata nel territorio nazionale anche nel caso si tratti di prima offerta.

Nel caso di accettazione di una offerta collocata oltre duecentocinquanta chilometri di distanza dalla residenza del beneficiario, questi continuerà a percepire il beneficio economico del reddito di cittadinanza a titolo di compensazione per le spese di trasferimento sostenute, per i successivi tre mesi dall’inizio del nuovo impiego, incrementati a dodici mesi nel caso siano presenti componenti di minore età ovvero componenti con disabilità, come definita ai fini ISEE.

All’impresa che assumerà a tempo pieno e indeterminato il beneficiario di RDC sarà riconosciuto uno sgravio di contributi.

E’ stato presentato sia il sito ufficiale del reddito di cittadinanza che la RDC card, vale a dire la card con la quale sarà possibile spendere questo sussidio economico.

Avv. Iacopo Maria Pitorri

Una vita spezzata

Perché partono? Cosa li spinge ad affrontare il mare – considerato l’ultima chimera -in condizioni disumane, rischiando spesso una morte orribile? Cosa si lasciano alle spalle, per ricostruirsi una vita in Europa? Dalle storie di immigrati e migranti emergono toccanti resoconti di viaggi della speranza. Viaggi spesso in balia di scafisti senza scrupoli, su gommoni e imbarcazioni di fortuna, lottando contro il mare per sottrarsi al destino di schiavi, prima, o di naufraghi clandestini, una volta imboccata la via della navigazione. Uomini, donne e bambini, costretti all’immigrazione per sfuggire a dittature, colpi di stato, violenze, gravi condizioni d’emergenza.

Perché partono? Cosa li spinge ad affrontare il mare – considerato l’ultima chimera -in condizioni disumane, rischiando spesso una morte orribile? Cosa si lasciano alle spalle, per ricostruirsi una vita in Europa? Dalle storie di immigrati e migranti emergono toccanti resoconti di viaggi della speranza. Viaggi spesso in balia di scafisti senza scrupoli, su gommoni e imbarcazioni di fortuna, lottando contro il mare per sottrarsi al destino di schiavi, prima, o di naufraghi clandestini, una volta imboccata la via della navigazione. Uomini, donne e bambini, costretti all’immigrazione per sfuggire a dittature, colpi di stato, violenze, gravi condizioni d’emergenza.

Ogni giorno i media ci descrivono  i tristi, dolorosi, strazianti racconti di questa gente, meno fortunata di noi. Scorgiamo i volti, percepiamo le emozioni e le agghiaccianti esperienze vissute, cogliamo le speranze di coloro che,  dalle coste nordafricane, dal medio oriente, da paesi come Siria, Sudan, Libano, Eritrea, Nigeria non hanno avuto altra scelta, se non quella, purtroppo, di abbandonare la propria realtà, emigrare confidando in solidarietà e accoglienza senza frontiere, lasciandosi alle spalle barbarie e crudeltà,  al di là di gruppi sociali, barriere linguistiche, bandiere nazionali o di qualsivoglia tipologia di differenza. Confidando nell’uomo, più di ogni altra cosa.

Non sempre, tuttavia, i sogni si realizzano o la aspettative trovano riscontro concreto nella realtà, pur avendo fatto il possibile per cambiare.

Prince Jerry Igbinosun, venticinque anni, originario della Nigeria, non ce l’ha fatta. Arrivato in Italia dopo due anni di viaggio, e con sé una laurea di biochimica, convinto del suo sogno, in cerca di una vita migliore, sicuro di riuscire a farsi riconoscere gli studi, dopo essere sopravvissuto alle enormi difficoltà del deserto, agli aguzzini libici ed alla difficoltosa traversata del Mediterraneo, ha deciso di affidarsi agli scafisti e tentare la strada del mare.

Per ben due anni e mezzo ha atteso il verdetto della Commissione, interpellata al fine di valutare la sua richiesta d’asilo. Ottimista, fiducioso, ostinato a raggiungere il suo scopo, non ha avuto difficoltà ad ambientarsi alla città che lo ospitava: Genova. Qui ha trovato accoglienza,  in un primo momento,  in un modesto appartamento del centro storico della cooperativa ‘Un’altra storia, della pastorale Migrantes dell’arcidiocesi. Successivamente si é stabilito al Campus di Coronata, poi a Multedo. Per un anno e mezzo ha svolto attività di volontario presso la Comunità di Sant’Egidio ed è anche riuscito a svolgere tre borse lavoro tra le quali una con lo ‘Staccapanni’ della fondazione Auxilium.

Un ragazzo ammirevole, certamente degno di esempio, che ha sempre avuto una buona parola ed un consiglio da dare al prossimo.

Essendo stato sempre certo di vedersi accettata larichiesta di asilo, si è sentito mancare in qualcosa di fondamentale dinanzi alla inaspettata notizia del diniego della sua domanda, giunto dalla Commissione.Verosimilmente avrebbe potuto fare ricorso, chiedere la protezione umanitaria, un permesso temporaneo che, nel suo specifico caso, si sarebbe potuto applicare posto che la legge non ha effetto retroattivo.

Ciò nonostante nulla di tutto questo è accaduto. La rappresentazione dell’epilogo si è avuta con un giovane, fragile corpo flagellato, finito sotto ad un treno, una vittima abbandonata al suo destino affranto, probabilmente l’ennesima, ma una delle tante. Qualche giorno fa, a Genova, nella basilica della Santissima Annunziata del Vastato – nel quartiere di Prè -l’ultimo saluto a Jerry: una vita spezzata, un sogno mai raggiunto, una speranza scomparsa per sempre.

Perché partono? Cosa li spinge ad affrontare il mare – considerato l’ultima chimera -in condizioni disumane, rischiando spesso una morte orribile? Cosa si lasciano alle spalle, per ricostruirsi una vita in Europa? Dalle storie di immigrati e migranti emergono toccanti resoconti di viaggi della speranza. Viaggi spesso in balia di scafisti senza scrupoli, su gommoni e imbarcazioni di fortuna, lottando contro il mare per sottrarsi al destino di schiavi, prima, o di naufraghi clandestini, una volta imboccata la via della navigazione. Uomini, donne e bambini, costretti all’immigrazione per sfuggire a dittature, colpi di stato, violenze, gravi condizioni d’emergenza.

Ogni giorno i media ci descrivono  i tristi, dolorosi, strazianti racconti di questa gente, meno fortunata di noi. Scorgiamo i volti, percepiamo le emozioni e le agghiaccianti esperienze vissute, cogliamo le speranze di coloro che,  dalle coste nordafricane, dal medio oriente, da paesi come Siria, Sudan, Libano, Eritrea, Nigeria non hanno avuto altra scelta, se non quella, purtroppo, di abbandonare la propria realtà, emigrare confidando in solidarietàaccoglienza senza frontiere, lasciandosi alle spalle barbarie e crudeltà,  al di là di gruppi sociali, barriere linguistiche, bandiere nazionali o di qualsivoglia tipologia di differenza. Confidando nell’uomo, più di ogni altra cosa.

Non sempre, tuttavia, i sogni si realizzano o la aspettative trovano riscontro concreto nella realtà, pur avendo fatto il possibile per cambiare.

Prince Jerry Igbinosun, venticinque anni, originario della Nigeria, non ce l’ha fatta. Arrivato in Italia dopo due anni di viaggio, e con sé una laurea di biochimica, convinto del suo sogno, in cerca di una vita migliore, sicuro di riuscire a farsi riconoscere gli studi, dopo essere sopravvissuto alle enormi difficoltà del deserto, agli aguzzini libici ed alla difficoltosa traversata del Mediterraneo, ha deciso di affidarsi agli scafisti e tentare la strada del mare.

Per ben due anni e mezzo ha atteso il verdetto della Commissione, interpellata al fine di valutare la sua richiesta d’asilo. Ottimista, fiducioso, ostinato a raggiungere il suo scopo, non ha avuto difficoltà ad ambientarsi alla città che lo ospitava: Genova. Qui ha trovato accoglienza,  in un primo momento,  in un modesto appartamento del centro storico della cooperativa ‘Un’altra storia, della pastorale Migrantes dell’arcidiocesi. Successivamente si é stabilito al Campus di Coronata, poi a Multedo. Per un anno e mezzo ha svolto attività di volontario presso la Comunità di Sant’Egidio ed è anche riuscito a svolgere tre borse lavoro tra le quali una con lo ‘Staccapanni’ della fondazione Auxilium.

Un ragazzo ammirevole, certamente degno di esempio, che ha sempre avuto una buona parola ed un consiglio da dare al prossimo.

Essendo stato sempre certo di vedersi accettata larichiesta di asilo, si è sentito mancare in qualcosa di fondamentale dinanzi alla inaspettata notizia del diniego della sua domanda, giunto dalla Commissione.

Verosimilmente avrebbe potuto fare ricorso, chiedere la protezione umanitaria, un permesso temporaneo che, nel suo specifico caso, si sarebbe potuto applicare posto che la legge non ha effetto retroattivo.

Ciò nonostante nulla di tutto questo è accaduto. La rappresentazione dell’epilogo si è avuta con un giovane, fragile corpo flagellato, finito sotto ad un treno, una vittima abbandonata al suo destino affranto, probabilmente l’ennesima, ma una delle tante. Qualche giorno fa, a Genova, nella basilica della Santissima Annunziata del Vastato – nel quartiere di Prè -l’ultimo saluto a Jerry: una vita spezzata, un sogno mai raggiunto, una speranza scomparsa per sempre.

Avv. Pitorri

Migranti di successo

Ci sono, oggi, anche migranti di successo:  persone con la voglia di ricominciare, che non si sono arrese di fronte alle avversità della vita ed ai difficili trascorsi subiti. “Robe di Becchi” è un grande risultato: si tratta di un marchio di abbigliamento realizzato da due giganti del volley, Matteo Piano e Luca Vettori (di oltre quattro metri di altezza, insieme).

Ci sono, oggi, anche migranti di successo:  persone con la voglia di ricominciare, che non si sono arrese di fronte alle avversità della vita ed ai difficili trascorsi subiti. “Robe di Becchi” è un grande risultato: si tratta di un marchio di abbigliamento realizzato da due giganti del volley, Matteo Piano e Luca Vettori (di oltre quattro metri di altezza, insieme).

Dalla commistione di stoffe multicolori giunte dal Congo, unite a pregiati tessuti biellesi, cuciti da donne fuggite da guerre, violenze e miseria, in un piccolo laboratorio sartoriale di Torino, è sorta una originale linea di T-Shirt per “Robe di Becchi”, insieme a “Colori Vivi”, la sartoria sociale della Onlus “Articolo 10”.

Gli azzurri della pallavolo, tramite una web radio, “mettono il becco”, raccontano di musica, letture, viaggi, riflessioni, trattano in buona sostanza diversi temi, compreso quelli dell’artigianato e dei mestieri che rischiano di scomparire. Da qui l’inevitabile unione con “Colori Vivi”, progetto di sartoria sociale della Onlus torinese “Articolo 10”, che offre a donne rifugiate, di diverse nazionalità, deboli e in difficoltà, un percorso di formazione professionale e di inserimento lavorativo al fine di farle socializzare e trovare un connubio tra vita lavorativa e vita sociale.

Barbara Spezini, responsabile del progetto, ha incontrato Matteo Piano e Luca Vettori durante un convegno e, grazie a una zia di quest’ultimo,  missionaria in Africa (che, con una piccola sartoria, offriva impiego ai giovani congolesi), si è realizzata una grande idea, creando occasioni professionalizzanti per i migranti accolti nel progetto, ricco di vita. Le macchine per cucire di donne che hanno subito violenze, soprusi, sofferenze atroci, lavorano incessantemente,  sotto l’occhio attento dello stilista Antonino Garigliano, leader del gruppo. “Colori Vivi” ha ottenuto un riconoscimento dalla Kering Foundation,  gruppo del lusso che assorbe marchi come Gucci e Yves Saint Laurent.

Lo scorso 19 giugno Barbara Spezini, responsabile dell’attività sociale dell’Associazione “Articolo 10 Onlus”, si è recata a Parigi per la cerimonia di premiazione degli “Awards for Social Entrepreneurs” indetti dalla Kering Foundation di François-Henry Pinault, presidente della Fondazione e dell’omonimo gruppo internazionale di moda e di lusso. Ad essere premiato, tra le 7 proposte finaliste, vi è stato anche “Colori Vivi”, il progetto di sartoria sociale, di cui Barbara Spezini è ideatrice, volto all’inserimento lavorativo di donne e madri rifugiate. Tra i tre progetti vincitori in Europa, la sartoria torinese – prima esperienza italiana in assoluto a ricevere il riconoscimento della Fondazione – ha ottenuto il secondo premio. L’associazione conta oggi più di venti membri, che operano secondo una visione e una missione comuni ispirate al valore del rispetto della dignità e delle libertà fondamentali. Nel corso di questi primi anni di attività, “Articolo 10” è intervenuta concentrando i propri sforzi su alcuni ambiti  per far fronte alle varie problematiche affrontate dalle persone cui la Onlus si è accostata (fino ad oggi, 175 donne, 126 bambini, 105 nuclei familiari).

La sartoria di “Articolo 10” mira a promuovere l’inclusione dei rifugiati, permettendo loro di esercitare i propri diritti fondamentali – tra i quali la libera espressione, che senz’altro rappresenta  una componente principale -, e al contempo consentendo loro di inserirsi in un nuovo contesto sociale e lavorativo. È così che la sartoria di “Articolo 10” diviene un luogo di scambio e di incontro tra culture, uno spazio di formazione ed espressione artistica e professionale, dove tante donne possono ritrovare una dignità e una identità, di cui  sono state private nei luoghi da cui sono state costrette a fuggire.

Stante l’enorme successo ottenuto, la responsabile del progetto non esclude che quanto prima possa nascere un brand realizzato da donne rifugiate, volto allo sviluppo del made in Italy, posto che il genio imprenditoriale non ha colore, religione e razza.

Ci sono, oggi, anche migranti di successo:  persone con la voglia di ricominciare, che non si sono arrese di fronte alle avversità della vita ed ai difficili trascorsi subiti. “Robe di Becchi” è un grande risultato: si tratta di un marchio di abbigliamento realizzato da due giganti del volley, Matteo Piano e Luca Vettori (di oltre quattro metri di altezza, insieme).

Dalla commistione di stoffe multicolori giunte dal Congo, unite a pregiati tessuti biellesi, cuciti da donne fuggite da guerre, violenze e miseria, in un piccolo laboratorio sartoriale di Torino, è sorta una originale linea di T-Shirt per “Robe di Becchi”, insieme a “Colori Vivi”, la sartoria sociale della Onlus “Articolo 10”.

Gli azzurri della pallavolo, tramite una web radio, “mettono il becco”, raccontano di musica, letture, viaggi, riflessioni, trattano in buona sostanza diversi temi, compreso quelli dell’artigianato e dei mestieri che rischiano di scomparire. Da qui l’inevitabile unione con “Colori Vivi”, progetto di sartoria sociale della Onlus torinese “Articolo 10”, che offre a donne rifugiate, di diverse nazionalità, deboli e in difficoltà, un percorso di formazione professionale e di inserimento lavorativo al fine di farle socializzare e trovare un connubio tra vita lavorativa e vita sociale.

Barbara Spezini, responsabile del progetto, ha incontrato Matteo Piano e Luca Vettori durante un convegno e, grazie a una zia di quest’ultimo,  missionaria in Africa (che, con una piccola sartoria, offriva impiego ai giovani congolesi), si è realizzata una grande idea, creando occasioni professionalizzanti per i migranti accolti nel progetto, ricco di vita. Le macchine per cucire di donne che hanno subito violenze, soprusi, sofferenze atroci, lavorano incessantemente,  sotto l’occhio attento dello stilista Antonino Garigliano, leader del gruppo. “Colori Vivi” ha ottenuto un riconoscimento dalla Kering Foundation,  gruppo del lusso che assorbe marchi come Gucci e Yves Saint Laurent.

Lo scorso 19 giugno Barbara Spezini, responsabile dell’attività sociale dell’Associazione “Articolo 10 Onlus”, si è recata a Parigi per la cerimonia di premiazione degli “Awards for Social Entrepreneurs” indetti dalla Kering Foundation di François-Henry Pinault, presidente della Fondazione e dell’omonimo gruppo internazionale di moda e di lusso. Ad essere premiato, tra le 7 proposte finaliste, vi è stato anche “Colori Vivi”,il progetto di sartoria sociale, di cui Barbara Spezini è ideatrice, volto all’inserimento lavorativo di donne e madri rifugiate. Tra i tre progetti vincitori in Europa, la sartoria torinese – prima esperienza italiana in assoluto a ricevere il riconoscimento della Fondazione – ha ottenuto il secondo premio. L’associazione conta oggi più di venti membri, che operano secondo una visione e una missione comuni ispirate al valore del rispetto della dignità e delle libertà fondamentali. Nel corso di questi primi anni di attività, “Articolo 10” è intervenuta concentrando i propri sforzi su alcuni ambiti  per far fronte alle varie problematiche affrontate dalle persone cui la Onlus si è accostata (fino ad oggi, 175 donne, 126 bambini, 105 nuclei familiari).

La sartoria di “Articolo 10” mira a promuovere l’inclusione dei rifugiati, permettendo loro di esercitare i propri diritti fondamentali – tra i quali la libera espressione, che senz’altro rappresenta  una componente principale -, e al contempo consentendo loro di inserirsi in un nuovo contesto sociale e lavorativo. È così che la sartoria di “Articolo 10” diviene un luogo di scambio e di incontro tra culture, uno spazio di formazione ed espressione artistica e professionale, dove tante donne possono ritrovare una dignità e una identità, di cui  sono state private nei luoghi da cui sono state costrette a fuggire.

Stante l’enorme successo ottenuto, la responsabile del progetto non esclude che quanto prima possa nascere un brand realizzato da donne rifugiate, volto allo sviluppo del made in Italy, posto che il genio imprenditoriale non ha colore, religione e razza.

Avv. Iacopo Maria Pitorri

Il nuovo centro d’accoglienza

A Roma, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è intervenuto all’inaugurazione del nuovo centro per l’accoglienza e l’integrazione dei rifugiati aperto presso il Centro Astalli e denominato “Matteo Ricci” (in onore del gesuita che “portò l’occidente alla Cina”).  La struttura si trova all’interno del Centro Astalli ed è volta a sostenere i percorsi di inclusione sociale, nonché le costruttive relazioni tra rifugiati e comunità locali.

A Roma, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è intervenuto all’inaugurazione del nuovo centro per l’accoglienza e l’integrazione dei rifugiati aperto presso il Centro Astalli e denominato “Matteo Ricci” (in onore del gesuita che “portò l’occidente alla Cina”).  La struttura si trova all’interno del Centro Astalli ed è volta a sostenere i percorsi di inclusione sociale, nonché le costruttive relazioni tra rifugiati e comunità locali.

Il Capo dello Stato ha evidenziato come dinanzi alla “concretezza di storie vissute, accoglienza ed integrazione siano la risposta giusta per ricordare che al centro di ogni cosa vi è la dignità di ogni persona umana e la solidarietà tra tutte loro”.  

Ha, poi, accennato ad una iniziativa significativa, nella speranza che fosse da  insegnamento per l’Unione europea, che – a dire  del  Presidente della Repubblica –  non è ancora riuscita ad elaborare un programma e un approccio comune per un fenomeno che è globale e comunque in Europa continentale. Lo ha fatto parlando della crisi del Venezuela, che  sta avendo ripercussioni di non poco contro sul fenomeno migratorio, atteso che “oltre due milioni di venezuelani sono fuggiti dal proprio Paese, trovando asilo provvisorio nei Paesi intorno”. Ciò in quanto in America latina una vera e propria azione solidale si è andata espandendo sempre più tra i diversi Stati del Sudamerica.

Non vi è dubbio, pertanto, che per il Presidente della Repubblica italiana, che considera imprescindibili la dignità della persona umana e la solidarietà, sia proprio l’accoglienza ad essere la risposta giusta.  Secondo il Capo dello Stato, invero, il fenomeno delle migrazioni è ormai sparso ovunque e riguarda tutti noi, ogni parte del mondo.

“Secondo i dati dell’Onu, i fuggiaschi, chi scappa della guerra, dalle carestie, persecuzioni sono circa settanta milioni: si tratta di un fenomeno che richiede un grande sforzo corale della comunità internazionale”: precisando ciò, ha il Presidente della Repubblica italiana, voluto dire che un fenomeno di tale portata, non possa essere affrontato da nessun paese, da solo, ma sono necessari, indispensabili, degli interventi globali.

Durante la cerimonia di inaugurazione del centro, due rifugiati  di venticinque anni,  un migrante afghano e una donna camerunense, hanno narrato ai presenti le difficoltà vissute nel proprio Paese d’origine e il lungo viaggio intrapreso per arrivare in Italia.

Ogni giorno, infatti, centinaia di persone si mettono in viaggio per cercare di raggiungere l’Europa. Sognano una esistenza migliore (perché hanno un trascorso di vite spezzate), ma spesso finiscono tra le mani dei trafficanti o in centri di detenzione.

 Non si può che non prendere atto dei flussi migratori. Cancellare l’umanità significa perdere un pezzo di democrazia. Una democrazia deve combattere l’illegalità e garantire la sicurezza nonché  costruire canali umanitari.

A Roma, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è intervenuto all’inaugurazione del nuovo centro per l’accoglienza e l’integrazione dei rifugiati aperto presso il Centro Astalli e denominato “Matteo Ricci” (in onore del gesuita che “portò l’occidente alla Cina”).  La struttura si trova all’interno del Centro Astalli ed è volta a sostenere i percorsi di inclusione sociale, nonché le costruttive relazioni tra rifugiati e comunità locali.

Il Capo dello Stato ha evidenziato come dinanzi alla “concretezza di storie vissute, accoglienza ed integrazione siano la risposta giusta per ricordare che al centro di ogni cosa vi è la dignità di ogni persona umana e la solidarietà tra tutte loro”.  

Ha, poi, accennato ad una iniziativa significativa, nella speranza che fosse da  insegnamento per l’Unione europea, che – a dire  del  Presidente della Repubblica –  non è ancora riuscita ad elaborare un programma e un approccio comune per un fenomeno che è globale e comunque in Europa continentale. Lo ha fatto parlando della crisi del Venezuela, che  sta avendo ripercussioni di non poco contro sul fenomeno migratorio, atteso che “oltre due milioni di venezuelani sono fuggiti dal proprio Paese, trovando asilo provvisorio nei Paesi intorno”. Ciò in quanto in America latina una vera e propria azione solidale si è andata espandendo sempre più tra i diversi Stati del Sudamerica.

Non vi è dubbio, pertanto, che per il Presidente della Repubblica italiana, che considera imprescindibili la dignità della persona umana e la solidarietà, sia proprio l’accoglienza ad essere la risposta giusta.  Secondo il Capo dello Stato, invero, il fenomeno delle migrazioni è ormai sparso ovunque e riguarda tutti noi, ogni parte del mondo.

“Secondo i dati dell’Onu, i fuggiaschi, chi scappa della guerra, dalle carestie, persecuzioni sono circa settanta milioni: si tratta di un fenomeno che richiede un grande sforzo corale della comunità internazionale”: precisando ciò, ha il Presidente della Repubblica italiana, voluto dire che un fenomeno di tale portata, non possa essere affrontato da nessun paese, da solo, ma sono necessari, indispensabili, degli interventi globali.

Durante la cerimonia di inaugurazione del centro, due rifugiati  di venticinque anni,  un migrante afghano e una donna camerunense, hanno narrato ai presenti le difficoltà vissute nel proprio Paese d’origine e il lungo viaggio intrapreso per arrivare in Italia.

Ogni giorno, infatti, centinaia di persone si mettono in viaggio per cercare di raggiungere l’Europa. Sognano una esistenza migliore (perché hanno un trascorso di vite spezzate), ma spesso finiscono tra le mani dei trafficanti o in centri di detenzione.

 Non si può che non prendere atto dei flussi migratori. Cancellare l’umanità significa perdere un pezzo di democrazia. Una democrazia deve combattere l’illegalità e garantire la sicurezza nonché  costruire canali umanitari.

Avv. Pitorri

Migranti e gli arrivi in Italia

Da un approfondito accertamento di verifica di dati ed avvenimenti, ad opera dell’ISPI – Istituto per gli Studi di Politica Internazionale -, è emerso che negli ultimi anni gli sbarchi di migranti sulle nostre coste si sono progressivamente  ridotti.

Da un approfondito accertamento di verifica di dati ed avvenimenti, ad opera dell’ISPI –  Istituto per gli Studi di Politica Internazionale -, è emerso che negli ultimi anni gli sbarchi di migranti sulle nostre coste si sono progressivamente  ridotti.

 Tuttavia l’Italia e l’Europa sono ancora coinvolte nelle  problematiche connesse all’arrivo dei migranti.

I dati forniti dall’ISPI  riportano: nei primi quattro mesi del 2018 sono sbarcati in Italia circa 9.300 migranti, il 75% in meno rispetto allo stesso periodo del 2017, pur tenendo conto del fatto che gli sbarchi iniziano a crescere solo da aprile e raggiungono un picco tra giugno e agosto, seguendo un certo trend stagionale. Ne deriva che l’andamento degli sbarchi nel mese di aprile può dunque essere considerato un primo avviso di quanti arrivi potrebbero essere registrati nel corso di tutto l’anno. Dalla metà di luglio, nel periodo dell’anno in cui solitamente si registrano più arrivi si è verificato un ulteriore calo degli sbarchi.

Anche se il numero di richieste d’asilo in Italia è notevolmente aumentato dal 2014, fino alla prima metà del 2017, influendo non poco sul sistema d’asilo italiano, non si  può che considerare che dalla seconda metà del 2017, invece, vi è stato un ingente calo di richieste esaminate (indubbiamente connesso al calo degli sbarchi avvenuto nello stesso periodo).

Tra domande presentate ed esaminate  vi è ancora un numero consistente di richieste d’asilo ancora da evadere: se a gennaio 2014 queste ultime erano meno di 15.000, all’inizio del 2018 sfioravano le 150.000.

L’Organizzazione mondiale per le migrazioni ha rilevato che  tra gennaio e marzo 2018, il già alto rischio della traversata lungo la rotta del Mediterraneo centrale è quasi raddoppiato rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (dal 3,3% al 5,8%).

Tale aumento sembra dipendere prevalentemente  dalle condizioni meteorologiche invernali.

Per ciò che concerne i rimpatri, va segnalato che l’Italia  tra il 2013 e il 2017 ha rimpatriato il 20% dei migranti a cui è stato intimato di lasciare il territorio.

Le ragioni per cui l’Italia non ha un numero elevato di  rimpatri degli immigrati regolari che ricevono un decreto di espulsione non sono  assolutamente da ricercare nell’inefficienza del sistema o nelle negligenze degli attori coinvolti.

Uno dei problemi maggiori per il nostro paese è strettamente legato alla nazionalità delle persone che ricevono l’ordine di tornare nel paese d’origine.

L’Italia,  ha emesso decreti di espulsione per lo più nei confronti di persone con nazionalità africana (49% Nordafrica; 18% Africa subsahariana).

Un migrante umanitario ha diritto a un’accoglienza e ad un’assistenza dignitosa che prosegue per tutto il periodo di permanenza all’interno del sistema di accoglienza e per la quale lo Stato italiano sostiene dei costi notevoli.

Da ultimo va ricordato che tra il 1990 e oggi la popolazione subsahariana è raddoppiata, passando da 500 milioni di persone a 1 miliardo, e i migranti internazionali provenienti dalla regione sono aumentati del 67%, da 15 a 25 milioni. Questo significa che l’aumento dei migranti in Africa sub sahariana procede di pari passo con  l’aumento della popolazione. A cambiare, tuttavia, sono state le regioni di destinazione: mentre nel 1990 meno del 10% si spostava fuori dall’Africa subsahariana, oggi la quota di chi esce dalla regione supera il 40%.

Per il futuro le Nazioni Unite prevedono che gli abitanti dell’Africa subsahariana raddoppieranno ancora, dal 1 miliardo del 2017 a 2,2 miliardi nel 2050. Se la propensione a lasciare il proprio paese restasse la stessa degli ultimi anni (il 2,5% della popolazione), il numero di migranti internazionali provenienti dall’Africa subsahariana crescerebbe da 24 a 54 milioni. Se restasse invariata anche la predisposizione a raggiungere l’Europa, di questi 30 milioni di migranti in più, circa 7,5 milioni arriverebbero in Europa entro il 2050: si tratta di circa 220.000 persone all’anno, equivalenti all’1,5% della popolazione dell’Ue e al 12% della popolazione italiana.

Da un approfondito accertamento di verifica di dati ed avvenimenti, ad opera dell’ISPI – Istituto per gli Studi di Politica Internazionale -, è emerso che negli ultimi anni gli sbarchi di migranti sulle nostre coste si sono progressivamente  ridotti.

 Tuttavia l’Italia e l’Europa sono ancora coinvolte nelle problematiche connesse all’arrivo dei migranti.

I dati forniti dall’ISPI riportano: nei primi quattro mesi del 2018sono sbarcati in Italia circa 9.300 migranti, il 75% in menorispetto allo stesso periodo del 2017, pur tenendo conto del fatto che gli sbarchi iniziano a crescere solo da aprile e raggiungono un picco tra giugno e agosto, seguendo un certo trend stagionale. Ne deriva che l’andamento degli sbarchi nel mese di aprile può dunque essere considerato un primo avvisodi quanti arrivi potrebbero essere registrati nel corso di tutto l’anno. Dalla metà di luglio, nel periodo dell’anno in cui solitamente si registrano più arrivi si è verificato un ulteriorecalo degli sbarchi.

Anche se il numero di richieste d’asiloin Italia è notevolmente aumentato dal 2014, fino alla prima metà del 2017, influendo non poco sul sistema d’asilo italiano, non si  può che considerare che dalla seconda metà del 2017, invece, vi è stato un ingente calo di richieste esaminate (indubbiamente connesso al calo degli sbarchi avvenuto nello stesso periodo).

Tra domande presentate ed esaminate  vi è ancora un numero consistente dirichieste d’asilo ancora da evadere: se a gennaio 2014 queste ultime erano meno di 15.000, all’inizio del 2018 sfioravano le 150.000.

L’Organizzazione mondiale per le migrazioni ha rilevato che  tra gennaio e marzo 2018, il già alto rischiodella traversata lungo la rotta del Mediterraneo centraleè quasi raddoppiato rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (dal 3,3% al 5,8%).

Tale aumento sembra dipendere prevalentemente  dalle condizioni meteorologiche invernali.

Per ciò che concerne i rimpatri, va segnalato che l’Italia  tra il 2013 e il 2017 ha rimpatriato il 20%dei migranti a cui è stato intimato di lasciare il territorio.

Le ragioni per cui l’Italia non ha un numero elevato di  rimpatri degli immigrati regolari che ricevono un decreto di espulsione non sono assolutamente da ricercare nell’inefficienza del sistema o nelle negligenze degli attori coinvolti.

Uno dei problemi maggiori per il nostro paese è strettamente legato alla nazionalità delle persone che ricevono l’ordine di tornare nel paese d’origine.

L’Italia,  ha emesso decreti di espulsione per lo più nei confronti di persone con nazionalità africana(49% Nordafrica; 18% Africa subsahariana).

Un migrante umanitario ha diritto a un’accoglienza e ad un’assistenza dignitosa che prosegue per tutto il periodo di permanenza all’interno del sistema di accoglienza e per la quale lo Stato italiano sostiene dei costi notevoli.

Da ultimo va ricordato che tra il 1990 e oggi la popolazione subsahariana è raddoppiata, passando da 500 milioni di persone a 1 miliardo, e i migranti internazionali provenienti dalla regione sono aumentati del 67%, da 15 a 25 milioni. Questo significa che l’aumento dei migranti in Africa sub sahariana procede di pari passo con  l’aumento della popolazione. A cambiare, tuttavia, sono state le regioni di destinazione: mentre nel 1990 meno del 10% si spostava fuori dall’Africa subsahariana, oggi la quota di chi esce dalla regione supera il 40%.

Per il futuro le Nazioni Unite prevedono che gli abitanti dell’Africa subsahariana raddoppieranno ancora, dal 1 miliardo del 2017 a 2,2 miliardi nel 2050. Se la propensione a lasciare il proprio paese restasse la stessa degli ultimi anni (il 2,5% della popolazione), il numero di migranti internazionali provenienti dall’Africa subsahariana crescerebbe da 24 a 54 milioni. Se restasse invariata anche la predisposizione a raggiungere l’Europa, di questi 30 milioni di migranti in più, circa 7,5 milioni arriverebbero in Europa entro il 2050: si tratta di circa 220.000 persone all’anno, equivalenti all’1,5% della popolazione dell’Ue e al 12% della popolazione italiana.

Avv. Pitorri

Migranti: la sea watch e’ arrivata a catania

Da qualche giorno, ormai, nel mare Mediterraneo, davanti alle coste della Sicilia – dinanzi Siracusa – la Sea Watch – battente bandiera olandese –  con a bordo 47 migranti (inclusi 15 minorenni non accompagnati), era in attesa del via libera allo sbarco. Il Viminale ha individuato il porto di Catania per l’attracco, dopo che sei paesi hanno accettato di dividere con l’Italia i migranti a bordo coordinandosi con la Commissione europea: Francia, Portogallo, Germania, Malta, Lussemburgo e Romania. La scelta riposta sul porto di Catania è stata dettata dalla presenza dei centri per l’accoglienza dei minori, ove verranno trasferiti i migranti; mentre i maggiorenni saranno portati all’hotspot di Messina, dove saranno identificati, in attesa di essere trasferiti nei Paesi europei che hanno dato la disponibilità per ospitarli.

In tutto ciò, per giorni, sul molo di Siracusa non era passata inosservata la incessante presenza di organizzazioni umanitarie, attivisti ed esponenti della politica che, intenzionati da subito ad accogliere i migranti, chiedevano una pronta soluzione al problema, considerate le inesplicabili condizioni delle persone a bordo della nave, con un trascorso estremamente arduo, difficile, sofferente, permeato da tormenti, e pieno di pene e tribolazioni  per le sofferenze subite nella dignità e nei diritti umani.

La vicenda si è avvita a conclusione  quando la SeaWatch, al largo di Siracusa, ha attraccato a Catania nel molo di Levante con a bordo i quarantasette migranti. Ciò che – da subito – ha più colpito i presenti e l’opinione pubblica è stato un abbraccio: al termine delle manovre di approdo, difatti,  i migranti a bordo hanno festeggiato l’arrivo abbracciandosi tra di loro e abbracciando anche i componenti dell’equipaggio della nave della Ong tedesca battente bandiera olandese.

La nave è stata scortata da motovedette della guardia costiera e della guardia di finanza.

Per ciò che riguarda i minori, il Tribunale per i minorenni di Catania ha emesso provvedimenti di nomina di tutore per ciascuno di quelli presenti sulla Sea Wacth, onde attivare le opportune tutele, in linea con la disciplina interna e la normativa internazionale.

L’aspetto positivo da rilevare è il coordinamento tra alcuni Paesi dell’Europa sulla questione anche grazie alla Commissione Europea.

Avv. Pitorri

Il caso Diciotti

La nave Diciotti è diventata ormai una nave simbolo, quello del contrasto  tra Italia e Unione Europea. E’, verosimilmente, interessata ben poco sia la rotta della stessa, sia chi ci sia stato a bordo, posto che ha avuto più rilevanza per il Governo italiano la direzione dell’imbarcazione verso una collaborazione vera in tema di ricollocamento di immigrati nei diversi paesi della UE.

Tutto è cominciato lo scorso 15 agosto, quando la nave militare Diciotti aveva tratto in salvo 190 persone, in fuga dalla Libia. Il Ministero dell’Interno  non aveva indicato da subito il “porto sicuro” per lo sbarco, dando luogo ad una inevitabile polemica con Malta per il mancato salvataggio e chiedendo all’Europa di farsi carico di una quota dei migranti, evidenziando più volte anche il respingimento verso la Libia.

Dopo esser rimasta ferma al largo dell’isola di Lampedusa per ben cinque giorni, successivamente il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti  aveva individuato in Catania il porto di approdo. Tuttavia, dopo qualche ora, il Viminale aveva annunciato di non aver autorizzato lo sbarco. Da quel momento la nave era rimasta in attesa di un’indicazione di attracco dalle autorità maltesi. Malta, tuttavia, aveva prontamente informato che a quel punto spettava all’Italia fornire notizie e che comunque il porto sicuro, più vicino, era quello di Lampedusa. Secondo quanto riferito dalle autorità maltesi, quando il gommone proveniente dalla Libia si trovava nelle loro acque era stata fornita assistenza, ma non era stato richiesto il salvataggio, atteso che l’imbarcazione non si trovava in pericolo.  Per il Ministero dell’Interno, invece, nella vicenda Malta è responsabile di aver fatto proseguire l’imbarcazione verso l’Italia e di non aver prestato alcun soccorso, tesi che pare sarebbe stata confermata dai migranti ricoverati a Lampedusa che avrebbero dichiarato di essere stati avvicinati dai soccorritori maltesi, i quali li avrebbero poi indirizzati verso l’Italia. Nel momento in cui le motovedette erano intervenute l’imbarcazione in difficoltà si dirigeva appunto verso l’Italia ed era  soltanto a diciassette miglia da Lampedusa.

In tutto ciò, comunque, è stato ritenuto che le persone a bordo della nave si siano trovate in una condizione di assoluta privazione della libertà di fatto, senza alcuna possibilità di libero sbarco. Ciò viene considerato in contrasto con quanto previsto nell’articolo 13 della Costituzione e nell’articolo 5 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Anche perché, tra le persone che si sono trovano a bordo della Diciotti sembrerebbe ci siano stati molti minori, di cui alcuni  non accompagnati. In loro aiuto l’Associazione dei magistrati per i minorenni e per la famiglia ha da subito lanciato un appello al fine di consentire agli stessi e ai soggetti indifesi di sbarcare immediatamente al fine di rendere possibile l’apertura di procedimenti giudiziali a loro tutela e l’inserimento in strutture di accoglienza adeguate.

Ulteriormente non è da trascurare un aspetto legato agli obblighi internazionali assunti dall’Italia (oltre al rispetto della normativa nazionale), in virtù dei quali i minori già presenti sul territorio nazionale, come nel caso di quelli posti in salvo sulla nave Diciotti, non sono comunque espellibili se non con un provvedimento specifico emesso dall’autorità giudiziaria.

I migranti in questa circostanza sono apparsi veramente come delle persone indifese, deboli, vulnerabili.

Riguardo a ciò, l’Europa ha fatto sapere che ha lavorato e continuerà a lavorare per la Commissione europea, al fine di trovare una soluzione, soprattutto considerando l’aspetto umanitario.

Gli invisibili di Castelnuovo di Porto

A causa delle ultime misure dell’attuale Governo, lo scorso martedì 22 gennaio 2019, con una decisione improvvisa, la Prefettura di Roma – stimolata dal Ministero degli Interni – ha disposto la repentina chiusura del Centro di Accoglienza per i Richiedenti di Asilo (C.A.R.A.) di Castelnuovo di Porto, ubicato a poco meno di 60 km da Roma, dove in una struttura in cemento armato di oltre dodicimila metri quadrati (è il secondo centro più grande d’Italia) si intersecavano diverse, tristi, dolorose vicende umane.

Un evento del genere, purtroppo, emerge in un momento che è già particolarmente drammatico per la condizione dei migranti in Italia. Pur non essendo chiare, invero, le ragioni di una chiusura così inaspettata – le notizie sono estremamente frammentate – con l’intervento dell’esercito, le circa cinquecento persone ospitate nel centro sono destinate ad essere  trasferite in  altri luoghi.

Da circa una settimana, ogni giorno ci sono pullman che partono dal centro, un  edificio che si trova fuori dal paese, in campagna.

I trasferimenti sono ancora in corso e molte persone si  rifiutano di partire, rischiando così di perdere il diritto all’accoglienza.

L’operazione è stata, tuttavia, permeata dalle molteplici proteste di amministratori, cittadini e attivisti che non hanno esitato a denunciare la vicenda, investendo della stessa anche i media.

E’ importante tenere in  considerazione la progettualità di vita delle persone ospitate dal C.A.R.A.: di essere  interpellate, per chiedere se hanno punti di riferimento a Roma, sullo stato della loro richiesta di protezione internazionale o se, per citare un esempio, abbiano già visto la commissione.

La situazione è talmente caotica che diversi avvocati si sono recati presso il centro, fin da subito, allo scopo di dare un sostegno legale e morale  ai numerosi migranti.

Tutto ciò ha inevitabilmente suscitato lo sconcerto e la indignazione di molte persone. Alcuni esponenti politici dell’opposizione, tuttavia, dinanzi alle rimostranze manifestate sulle modalità della chiusura, non hanno esitato ad esprimere giudizi positivi sul centro di Castelnuovo di Porto, descrivendolo come un “un modello positivo di accoglienza”.

Anche se in passato vi sono state molte proteste perché ritenuto il C.A.R.A. un centro di accoglienza  fatiscente, con quasi seicento persone all’interno, un luogo eccessivamente sovraffollato. Migranti…invisibili.

Grande per mole ed impegno professionale ed umano il lavoro delicato  degli operatori chiamati a svolgere continui adempimenti rispetto ad un numero considerevole di persone ospitate.

Invaso da dubbi, inevitabili domande e perplessità di ogni sorta, il caso che riguarda la chiusura del centro, per il sindaco di Castelnuovo di Porto, Riccardo Travaglini, sarebbe legato al ridimensionamento del sistema di accoglienza dopo l’approvazione del cosiddetto decreto sicurezza: “Ora è cambiato un po’ tutto perché i C.A.R.A. vengono chiusi e i migranti con protezione umanitaria vengono sbattuti per strada e quindi non c’è alcuna soluzione”, ha riferito. Ed ancora “con questa operazione abbiamo già i primi migranti che non sanno dove andare. Si tratta di titolari di protezione umanitaria, ormai senza più diritto all’integrazione prevista dalla seconda accoglienza con l’entrata in vigore del decreto sicurezza…Quello che lascia senza parole è che le persone siano state trasferite senza preavviso e senza che si sia tenuto conto delle loro diverse situazioni personali: qui ci sono persone che hanno fatto domanda di asilo, persone che sono in attesa, persone che sono in fase di ricorso e anche chi ha già il permesso di soggiorno”.

Ciò che ha colpito l’opinione pubblica, e non solo, è stata la solidarietà degli abitanti di Castelnuovo di Porto, che a centinaia si sono uniti al sindaco per protestare contro la chiusura del C.A.R.A., che accoglieva oltre cinquecento rifugiati, tra cui 40 nuclei familiari, donne e bambini che avevano iniziato percorsi di inserimento sociale. Hanno marciato silenziosamente, in un corteo presieduto dal sindaco, manifestanti quali il vescovo Gino Reali e il parroco di Santa Lucia, oltre ai bambini delle scuole e ai gruppi parrocchiali, a suore, sindacalisti, a lavoratori del C.A.R.A. gestito dalla cooperativa Auxilium a rischio licenziamento, a volontari, a giovani e ad anziani.

Non vi è chi non veda emergere, in questa storia, le contraddizioni e l’inadeguatezza delle misure adottate nella gestione dell’accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati, senza tenere in alcun modo conto dell’interesse delle persone e delle comunità coinvolte: una pagina davvero triste per la democrazia del nostro Paese.

Avv. Iacopo Maria Pitorri