Il global compact e l’Italia

Il “Global compact for safe, orderly and regular migration”, più semplicemente detto Global compact sull’immigrazione, è un documento sottoscritto da diversi Stati e promosso dalle Nazioni Unite. Prevede la condivisione di alcune linee guida generali sulle politiche migratorie, nel tentativo di dare una risposta coordinata e globale a tale fenomeno.

Il “Global compact for safe, orderly and regular migration”, più semplicemente detto Global compact sull’immigrazione, è un documento sottoscritto da diversi Stati e promosso dalle Nazioni Unite. Prevede la condivisione di alcune linee guida generali sulle politiche migratorie, nel tentativo di dare una risposta coordinata e globale a tale fenomeno.

L’iniziativa è nata a New York, nel settembre del 2016, quando tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite (193 Stati) hanno firmato la cosiddetta Dichiarazione di New York sui migranti e i rifugiati, dando il via a ben due anni di negoziati.

Pur non essendo il documento in questione vincolante (indica, infatti, soltanto la volontà degli stati di seguire alcuni princìpi comuni, ispirati a norme internazionali), diversi governi (tra cui quello italiano) non hanno partecipato al vertice di Marrakech del dicembre scorso, che ha avuto per fondamento l’adesione o meno all’accordo.

L’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato la risoluzione che fa proprio il Patto globale per una sicura ordinata e regolare migrazione (Global Compact for Migration), con 152 voti a favore, 5 contro, 12 astenuti. L’accordo è stato adottato il 12 dicembre dalla Conferenza Intergovernativa di Marrakech (in Marocco) con il “sì” di 164 paesi. L’Italia, che ha partecipato a tutte le fasi del negoziato nel corso degli ultimi due anni, è stata  assente a Marrakech.

Ovviamente il Global compact è stato protagonista in tutto il mondo di una campagna di comunicazione politica estremamente incisiva, posto che alcuni Stati hanno sempre visto (e tuttora vedono) l’accordo come uno strumento volto a  favorire una sorta di invasione e immigrazione incontrollata.

Il Global compact, però, null’altro è che una sorta di piattaforma non vincolante, basata sul presupposto che la migrazione fa parte dell’esperienza umana; tra l’altro il suo impatto può essere migliorato, rendendo più efficaci le politiche sull’immigrazione. Tant’è vero che nel preambolo del testo si definisce “cruciale” la cooperazione tra i diversi Stati.

Il Global compact, in buona sostanza, pone le basi per una comprensione comune del fenomeno migratorio, la condivisione delle responsabilità e l’unità degli obiettivi. Le linee guida del documento  vertono sulla centralità delle persone, sulla cooperazione internazionale, sul rispetto della sovranità di ogni stato, sul rispetto delle norme internazionali e  dei diritti umani, sulle differenze di genere e su i  diritti dei minori.

Diversi sono gli obiettivi indicati nell’accordo. Per citarne alcuni:  la riduzione delle cause negative e i fattori strutturali che costringono le persone a lasciare il loro paese di origine;  fornire informazioni accurate e tempestive lungo tutte le fasi del percorso migratorio; garantire che tutti i migranti abbiano una prova della loro identità e una documentazione idonea; agevolare condizioni di assunzione e tutele giuste ed etiche per assicurare un lavoro decente; salvare vite e stabilire degli sforzi internazionali coordinati per i migranti dispersi; prevenire, combattere ed eliminare il traffico di esseri umani nel contesto della migrazione internazionale; gestire le frontiere in un modo integrato, sicuro e coordinato; migliorare la protezione, l’assistenza e la cooperazione durante il percorso migratorio; consentire ai migranti e alle società di realizzare la piena inclusione e la coesione sociale; eliminare tutte le forme di discriminazione; cooperare per facilitare rimpatri e riammissioni sicuri e dignitosi e un reinserimento sostenibile; rafforzare la cooperazione internazionale e le partnership globali per una migrazione sicura, ordinata e legale.

In ogni caso, va specificato, il Global compact ha soprattutto un valore morale, non vincola a fare nulla, non è un trattato, non può cambiare le leggi internazionali, reclama solo maggiore cooperazione nella gestione delle migrazioni. Il paese che non sottoscrive il documento verosimilmente  rischia di rimanere isolato rispetto alla gestione di un evento globale, che riguarda tutti. Eppure la Camera, con soli 112 voti favorevoli ( di contro a 102 contrari e l’astensione di 262 deputati ) ha approvato oggi parti di una mozione che impegna  il governo a non sottoscrivere il Global Compact sui rifugiati ed a non contribuire in alcun modo al finanziamento del relativo trust fund (Fondo Fiduciario Europeo di Emergenza per l’Africa, anche chiamato “Trust Fund”,  per finanziare con rapidità iniziative per affrontare le cause profonde delle migrazioni irregolari).

A livello europeo, sarebbe riduttivo dire che il Global compact ha diviso l’Europa, posto che sono svariati anni che l’Unione europea è spaccata sulla questione migratoria o, meglio, che ogni Stato membro – con più o meno considerazione per i diritti fondamentali dei migranti – cerca di mantenere come può il controllo delle sue politiche migratorie. In ogni modo, contrariamente a quanto sostenuto dagli avversari del Global compact, vi sono anche coloro che ritengono che l’accordo non favorisce affatto l’immigrazione selvaggia.

Il “Global compact for safe, orderly and regular migration”, più semplicemente detto Global compact sull’immigrazione, è un documento sottoscritto da diversi Stati e promosso dalle Nazioni Unite. Prevede la condivisione di alcune linee guida generali sulle politiche migratorie, nel tentativo di dare una risposta coordinata e globale a tale fenomeno.

L’iniziativa è nata a New York, nel settembre del 2016, quando tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite (193 Stati) hanno firmato la cosiddetta Dichiarazione di New York sui migranti e i rifugiati, dando il via a ben due anni di negoziati.

Pur non essendo il documento in questione vincolante (indica, infatti, soltanto la volontà degli stati di seguire alcuni princìpi comuni, ispirati a norme internazionali), diversi governi (tra cui quello italiano) non hanno partecipato al vertice di Marrakech del dicembre scorso, che ha avuto per fondamento l’adesione o meno all’accordo.

L’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato la risoluzione che fa proprio il Patto globale per una sicura ordinata e regolare migrazione (Global Compact for Migration), con 152 voti a favore, 5 contro, 12 astenuti. L’accordo è stato adottato il 12 dicembre dalla Conferenza Intergovernativa di Marrakech (in Marocco) con il “sì” di 164 paesi. L’Italia, che ha partecipato a tutte le fasi del negoziato nel corso degli ultimi due anni, è stata assente a Marrakech.

Ovviamente il Global compact è stato protagonista in tutto il mondo di una campagna di comunicazione politica estremamente incisiva, posto che alcuni Stati hanno sempre visto (e tuttora vedono) l’accordo come uno strumento volto a  favorire una sorta di invasione e immigrazione incontrollata.

Il Global compact, però, null’altro è che una sorta di piattaforma non vincolante, basata sul presupposto che la migrazione fa parte dell’esperienza umana; tra l’altro il suo impatto può essere migliorato, rendendo più efficaci le politiche sull’immigrazione. Tant’è vero che nel preambolo del testo si definisce “cruciale” la cooperazione tra i diversi Stati.

Il Global compact, in buona sostanza, pone le basi per una comprensione comune del fenomeno migratorio, la condivisione delle responsabilità e l’unità degli obiettivi. Le linee guida del documento vertono sulla centralità delle persone, sulla cooperazione internazionale, sul rispetto della sovranità di ogni stato, sul rispetto delle norme internazionali e  dei diritti umani, sulle differenze di genere e su i  diritti dei minori.

Diversi sono gli obiettivi indicati nell’accordo. Per citarne alcuni:  la riduzione delle cause negative e i fattori strutturali che costringono le persone a lasciare il loro paese di origine;  fornire informazioni accurate e tempestive lungo tutte le fasi del percorso migratorio; garantire che tutti i migranti abbiano una prova della loro identità e una documentazione idonea; agevolare condizioni di assunzione e tutele giuste ed etiche per assicurare un lavoro decente; salvare vite e stabilire degli sforzi internazionali coordinati per i migranti dispersi; prevenire, combattere ed eliminare il traffico di esseri umani nel contesto della migrazione internazionale; gestire le frontiere in un modo integrato, sicuro e coordinato; migliorare la protezione, l’assistenza e la cooperazione durante il percorso migratorio; consentire ai migranti e alle società di realizzare la piena inclusione e la coesione sociale; eliminare tutte le forme di discriminazione; cooperare per facilitare rimpatri e riammissioni sicuri e dignitosi e un reinserimento sostenibile; rafforzare la cooperazione internazionale e le partnership globali per una migrazione sicura, ordinata e legale.

In ogni caso, va specificato, il Global compact ha soprattutto un valore morale, non vincola a fare nulla, non è un trattato, non può cambiare le leggi internazionali, reclama solo maggiore cooperazione nella gestione delle migrazioni. Il paese che non sottoscrive il documento verosimilmente rischia di rimanere isolato rispetto alla gestione di un evento globale, che riguarda tutti. Eppure la Camera, con soli 112 voti favorevoli ( di contro a 102 contrari e l’astensione di 262 deputati ) ha approvato oggi parti di una mozione che impegna  il governo a non sottoscrivere il Global Compact sui rifugiati ed a non contribuire in alcun modo al finanziamento del relativo trust fund (Fondo Fiduciario Europeo di Emergenza per l’Africa, anche chiamato “Trust Fund”,  per finanziare con rapidità iniziative per affrontare le cause profonde delle migrazioni irregolari).

A livello europeo, sarebbe riduttivo dire che il Global compact ha diviso l’Europa, posto che sono svariati anni che l’Unione europea è spaccata sulla questione migratoria o, meglio, che ogni Stato membro – con più o meno considerazione per i diritti fondamentali dei migranti – cerca di mantenere come può il controllo delle sue politiche migratorie. In ogni modo, contrariamente a quanto sostenuto dagli avversari del Global compact, vi sono anche coloro che ritengono che l’accordo non favorisce affatto l’immigrazione selvaggia.

Avvocato Jacopo Maria Pitorri

Lo stato non paga l’albergatore che ha ospitato i migranti

Un notissimo hotel di Villa San Giovanni, in provincia di Reggio Calabria, famoso per essere stato la sede di importanti, prestigiosi eventi culturali, ha dovuto -purtroppo – chiudere per sempre le sue porte.

Un notissimo hotel di Villa San Giovanni, in provincia di Reggio Calabria, famoso per essere stato la sede di importanti, prestigiosi eventi culturali, ha dovuto -purtroppo –  chiudere per sempre le sue porte.

L’albergatore dell’hotel Plaza ha cessato la sua attività, atteso che non gli sono stati pagati  dallo Stato le dovute somme connesse all’accoglienza degli immigrati.

La vicenda ha avuto inizio nel 2016. La Prefettura si é rivolta al gestore dell’hotel Plaza, chiedendogli di ospitare un gruppo di migranti. L’albergatore non si é potuto rifiutare, per cui, per un anno e mezzo, le camere del Plaza sono state messe a disposizione di decine di richiedenti asilo. Sicuramente un gesto nobile, meritevole di apprezzamento, posto che nel considerare indispensabili li la dignità della persona umana e la solidarietà, l’accoglienza data dall’albergatore agli immigrati, non può che corrispondere alla giusta, adeguata risposta, dettata da spirito di fratellanza e  disponibilità nei riguardi di persone in difficoltà, con un vissuto alle spalle permeato per lo più da dolore e sofferenze.

Quando, successivamente, i migranti hanno lasciato l’albergo, al proprietario dello stesso avrebbe dovuto essere erogata dallo Stato una determinata somma, corrispondente ad Euro 35,00 al giorno per ciascun migrante.

Nulla di quanto stabilito é avvenuto e l’albergatore, ovviamente, si é venuto inaspettatamente a trovare in condizioni di disagio e difficoltà, a causa di quel mancato pagamento.

A fronte di ciò, trovandosi nell’impossibilità di sostenere le spese, il titolare dell’albergo si è visto costretto a chiudere i battenti.

L’importo di Euro 35,00 giornalieri, per ogni migrante, avrebbe dovuto coprire i costi del servizio di accoglienza, e dei servizi connessi ai cittadini stranieri richiedenti asilo erogati presso l’Hotel Plaza, fino al 31 dicembre 2017. Ne deriva che senza quei soldi, il  proprietario non abbia avuto la possibilità di finanziare la sistemazione della struttura, con relativa manutenzione ed opere di miglioria.

L’hotel, perciò, ha dovuto chiudere per sempre a metà del 2018.

Il Plaza di Villa San Giovanni, ad oggi, non esiste più.

A due anni di distanza dall’accaduto, al gestore del famoso hotel non resta che il credito di Euro 909mila euro (oltre all’amarezza per la chiusura delle porte del Plaza).

Un notissimo hotel di Villa San Giovanni, in provincia di Reggio Calabria, famoso per essere stato la sede di importanti, prestigiosi eventi culturali, ha dovuto -purtroppo – chiudere per sempre le sue porte.

L’albergatore dell’hotel Plaza ha cessato la sua attività, atteso che non gli sono stati pagati dallo Stato le dovute somme connesse all’accoglienza degli immigrati.

La vicenda ha avuto inizio nel 2016. La Prefettura si é rivolta al gestore dell’hotel Plaza, chiedendogli di ospitare un gruppo di migranti. L’albergatore non si é potuto rifiutare, per cui, per un anno e mezzo, le camere del Plaza sono state messe a disposizione di decine di richiedenti asilo. Sicuramente un gesto nobile, meritevole di apprezzamento, posto che nel considerare indispensabili li la dignità della persona umana e la solidarietà, l’accoglienza data dall’albergatore agli immigrati, non può che corrispondere alla giusta, adeguata risposta, dettata da spirito di fratellanza e disponibilità nei riguardi di persone in difficoltà, con un vissuto alle spalle permeato per lo più da dolore e sofferenze.

Quando, successivamente, i migranti hanno lasciato l’albergo, al proprietario dello stesso avrebbe dovuto essere erogata dallo Stato una determinata somma, corrispondente ad euro 35,00 al giorno per ciascun migrante.

Nulla di quanto stabilito é avvenuto e l’albergatore, ovviamente, si é venuto inaspettatamente a trovare in condizioni di disagio e difficoltà, a causa di quel mancato pagamento.

A fronte di ciò, trovandosi nell’impossibilità di sostenere le spese, il titolare dell’albergo si è visto costretto a chiudere i battenti.

L’importo di euro 35,00 giornalieri, per ogni migrante, avrebbe dovuto coprire i costi del servizio di accoglienza, e dei servizi connessi ai cittadini stranieri richiedenti asilo erogati presso l’Hotel Plaza, fino al 31 dicembre 2017. Ne deriva che senza quei soldi, il proprietario non abbia avuto la possibilità di finanziare la sistemazione della struttura, con relativa manutenzione ed opere di miglioria.

L’hotel, perciò, ha dovuto chiudere per sempre a metà del 2018.

Il Plaza di Villa San Giovanni, ad oggi, non esiste più.

A due anni di distanza dall’accaduto, al gestore del famoso hotel non resta che il credito di 909.000 euro (oltre all’amarezza per la chiusura delle porte del Plaza).

Avvocato Jacopo Maria Pitorri

Migranti discriminati: condannati due Comune lombardi

[et_pb_section admin_label=”section”] [et_pb_row admin_label=”row”] [et_pb_column type=”4_4″][et_pb_text admin_label=”Text”]

In Lombardia, la Corte d’Appello di Brescia ha confermato la sentenza del 2016 relativa ad una vicenda del 2015, condannando i Comuni di Rovato e Pontoglio.

L’esito di primo grado era giunto a seguito di un ricorso presentato dall’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (ASGI) e da una Fondazione per i diritti dell’uomo (sostenuta dalla Cgil di Brescia).

Più segnatamente, le pratiche relative ai certificati da rilasciare ai migranti, avevano avuto un rincaro del 600% in “diritti di segreteria”, arrivando perfino ad un aumento del 624% nel Comune di Rovato.

Nello statuire di aumentare in modo così sproporzionato il costo del rilascio del certificato di idoneità alloggiativa, indispensabile per gli stranieri, essenzialmente, per le pratiche di ricongiungimento familiare e per i permessi di soggiorno, é inconfutabile pensare che sia stata posta in essere una sorta di discriminazione indiretta nei confronti degli immigrati residenti in quei territori.

Ad avviso della prima sezione civile della Corte d’Appello bresciana, invero, le delibere con cui le due amministrazioni comunali hanno aumentato i costi dei certificati, “apparentemente neutre, hanno l’effetto di compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio in condizioni di parità dei diritti umani e delle libertà fondamentali dei cittadini“.

La Corte ha altresì precisato che pur considerando che quei certificati di idoneità “alloggiativa” sono richiesti in alcuni casi anche agli italiani, “l’interesse prevalente al rilascio è sussistente in capo agli stranieri“. Ed è di “immediata evidenza – precisa la sentenza – che l’importo del diritto di segreteria richiesto per l’ottenimento del certificato di idoneità alloggiativa“, che è solo uno dei passaggi per ottenere, ad esempio, il ricongiungimento familiare, “non deve avere né lo scopo ma neppure l’effetto di creare un ostacolo al conseguimento dello status richiesto“.

Tra l’altro già in primo grado il Tribunale aveva ordinato ai Comuni coinvolti di “ripristinare l’importo precedente”, nonché di restituire agli stranieri che avevano richiesto i certificati quel quid che avevano pagato in più, a causa di una maggiorazione dei costi per i “diritti di segreteria”.

Alla luce del caso narrato, si auspica, pertanto, che la pronuncia della Corte di Appello lombarda possa essere da esempio per porre fine ad un uso inopportuno e distorto dell’azione amministrativa.

Avvocato Jacopo Pitorri

[/et_pb_text][/et_pb_column] [/et_pb_row] [/et_pb_section]

Falsi domicili per dare la residenza agli immigrati

Qualche tempo fa, precisamente nel 2017, a Brusciano, in provincia di Napoli, la magistratura aveva scoperto un giro di false cittadinanze (che aveva coinvolto perfino l’Ufficio anagrafe). Gli extracomunitari, per lo più cubani, in buona sostanza erano stati collocati a casa di cittadini bruscianesi, che erano totalmente all’oscuro di tutto e che si vedevano recapitare corrispondenza indirizzata a persone sconosciute.

Qualche tempo fa, precisamente nel 2017, a Brusciano, in provincia di Napoli, la magistratura  aveva scoperto  un giro di false cittadinanze (che aveva coinvolto perfino l’Ufficio anagrafe). Gli extracomunitari, per lo più cubani, in buona sostanza erano stati collocati a casa di cittadini bruscianesi, che erano totalmente all’oscuro di tutto e che si vedevano recapitare corrispondenza indirizzata a persone sconosciute.

A distanza di un paio di anni da questa vicenda, tuttavia,  pochi giorni fa a Marigliano, sempre in provincia di Napoli, è emerso un fatto di non poca rilevanza. Il comandante dei vigili urbani ha ritenuto di aprire un’indagine, cui sono seguite delle visite domiciliari, da cui è emerso che presso le abitazioni di alcuni mariglianesi non vi era alcuna traccia degli extracomunitari entrati a far parte del nucleo familiare in qualità di ospiti, così come dichiarato.

Nonostante le richieste al Comune arrivavano numerose (e, sembravano, regolari), dalle ispezioni è sorto chiaramente che gli extracomunitari passavano con facilità dal semplice domicilio alla residenza, senza mai arrivare a Marigliano. Con una dichiarazione di domicilio presso un italiano, invero, dopo sei mesi avrebbero potuto chiedere la residenza ed è ciò che  – di fatto  – è avvenuto in diversi casi.

La corrente investigativa è rivolta a tutte le domande presentate dai cittadini che si sono dichiarati formalmente disposti ad ospitare extracomunitari, regolarizzando le posizioni al Comune.  Coloro che avrebbero dovuto essere ospitati a Marigliano sono, per la maggior parte, immigrati provenienti dall’India, dal Bangladesh e dall’Ucraina.

La Polizia locale di Marigliano ha scoperto un giro di falsi domicili destinati ad immigrati, gestito e organizzato da cinque persone di Marigliano, su cui grava l’accusa di falso ideologico e favoreggiamento all’immigrazione clandestina.

A seguito di ciò,  i vigili urbani stanno passando al setaccio tutte le pratiche, tant’è vero che la Polizia locale sta vagliando attentamente tutte le richieste di ospitalità arrivate nel 2018, e nell’anno in corso, e parallelamente sta proseguendo le indagini sulla vicenda per chiarire alcuni aspetti fondamentali, individuare i responsabili della raccolta dei clandestini e, soprattutto, comprendere quali vantaggi e ricompense economiche ricava chi si presta ad ospitarli fittiziamente.

 Il sospetto degli agenti è che dietro il giro di falsi domicili ci siano delle agenzie che procacciano migranti a famiglie italiane che dovrebbero ospitarli, dando loro una grossa somma di denaro.

In conclusione, nelle vicinanze di Napoli in città ci sarebbe un giro che favoreggia l’immigrazione clandestina. I controlli sono solo all’inizio e hanno già  portato a scovare i falsi domicili. L’indagine porterà sicuramente a far luce e chiarezza su questa incresciosa vicenda, ponendo fine al tutto.

Qualche tempo fa, precisamente nel 2017, a Brusciano, in provincia di Napoli, la magistratura aveva scoperto un giro di false cittadinanze (che aveva coinvolto perfino l’Ufficio anagrafe). Gli extracomunitari, per lo più cubani, in buona sostanza erano stati collocati a casa di cittadini bruscianesi, che erano totalmente all’oscuro di tutto e che si vedevano recapitare corrispondenza indirizzata a persone sconosciute.

A distanza di un paio di anni da questa vicenda, tuttavia, pochi giorni fa a Marigliano, sempre in provincia di Napoli, è emerso un fatto di non poca rilevanza. Il comandante dei vigili urbani ha ritenuto di aprire un’indagine, cui sono seguite delle visite domiciliari, da cui è emerso che presso le abitazioni di alcuni mariglianesi non vi era alcuna traccia degli extracomunitari entrati a far parte del nucleo familiare in qualità di ospiti, così come dichiarato.

Nonostante le richieste al Comune arrivavano numerose (e, sembravano, regolari), dalle ispezioni è sorto chiaramente che gli extracomunitari passavano con facilità dal semplice domicilio alla residenza, senza mai arrivare a Marigliano. Con una dichiarazione di domicilio presso un italiano, invero, dopo sei mesi avrebbero potuto chiedere la residenza ed è ciò che – di fatto – è avvenuto in diversi casi.

La corrente investigativa è rivolta a tutte le domande presentate dai cittadini che si sono dichiarati formalmente disposti ad ospitare extracomunitari, regolarizzando le posizioni al Comune.  Coloro che avrebbero dovuto essere ospitati a Marigliano sono, per la maggior parte, immigrati provenienti dall’India, dal Bangladesh e dall’Ucraina.

La Polizia locale di Marigliano ha scoperto un giro di falsi domicili destinati ad immigrati, gestito e organizzato da cinque persone di Marigliano, su cui grava l’accusa di falso ideologico e favoreggiamento all’immigrazione clandestina.

A seguito di ciò, i vigili urbani stanno passando al setaccio tutte le pratiche, tant’è vero che la Polizia locale sta vagliando attentamente tutte le richieste di ospitalità arrivate nel 2018, e nell’anno in corso, e parallelamente sta proseguendo le indagini sulla vicenda per chiarire alcuni aspetti fondamentali, individuare i responsabili della raccolta dei clandestini e, soprattutto, comprendere quali vantaggi e ricompense economiche ricava chi si presta ad ospitarli fittiziamente.

 Il sospetto degli agenti è che dietro il giro di falsi domicili ci siano delle agenzie che procacciano migranti a famiglie italiane che dovrebbero ospitarli, dando loro una grossa somma di denaro.

In conclusione, nelle vicinanze di Napoli in città ci sarebbe un giro che favoreggia l’immigrazione clandestina. I controlli sono solo all’inizio e hanno già portato a scovare i falsi domicili. L’indagine porterà sicuramente a far luce e chiarezza su questa incresciosa vicenda, ponendo fine al tutto.

Avvocato Jacopo Maria Pitorri

L’Italia presente al vertice in Libia sul traffico migranti

Qualche giorno fa, a Tripoli, si è svolta la prima riunione tecnica alla presenza dei rappresentanti del Dipartimento pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno, del Comando Generale della Guardia di finanza, del Comando generale delle Capitanerie di porto, della Marina militare italiana e dei   vertici della Marina e della Guardia Costiera libica.

Qualche giorno fa, a Tripoli, si è svolta la prima riunione tecnica alla presenza dei rappresentanti del Dipartimento pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno, del Comando Generale della Guardia di finanza, del Comando generale delle Capitanerie di porto, della Marina militare italiana e dei   vertici della Marina e della Guardia Costiera libica.

Più specificamente si è realizzato una sorta di summit fondato sullo sviluppo del progetto italiano per la gestione delle frontiere e dell’immigrazione, il cui obiettivo consiste nel graduale rafforzamento delle capacità delle competenti autorità libiche in questi settori (inclusa la lotta al traffico di migranti, nonché la ricerca e soccorso in mare).

Va specificato che una prima fase di attuazione del piano si è avuta nel dicembre del 2017, con il co-finanziamento della Unione Europea per un importo complessivo di 46,3 milioni di euro. L’anno successivo, il 13 dicembre 2018, è stata approvata e finanziata  una seconda fase, in cui sono stati messi a disposizione 45 milioni di euro, fondi versati nel Trust Fund dai paesi del gruppo di Visegrad (Polonia Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) per 35 milioni e dalla Commissione europea per 10 milioni. 

Le finalità del progetto sono diverse. Riguardano un  maggiore addestramento delle forze libiche  in campo  e per ottenere lo sviluppo delle riforme istituzionali , responsabili della gestione delle frontiere (incluse le operazioni di ricerca e soccorso). Altro fine è il  potenziamento delle capacità operative delle autorità marittime libiche, mediante la fornitura di quattro imbarcazioni per attività di search and rescue in alto mare. Oltre ciò, un importante obiettivo consiste nella realizzazione dell’Mrcc (Maritime rescue Coordination centre) nella capitale libica, con graduale attivazione di sistemi di comunicazione e controllo lungo la fascia costiera; ciò andrebbe a rendere più concreta l’attività della Guardia costiera libica nella parte di mare che le compete. E’, infine, ritenuto  fondamentale che si giunga al più presto alla realizzazione di un cantiere nautico a Tripoli, per la manutenzione delle imbarcazioni già donate dal Governo italiano alla guardia costiera libica, nonché di quelle che saranno fornite nell’ambito del progetto.

E’ ormai noto che nel 2018  la rotta libica ha subito un drastico crollo di partenze dalle coste tripoline e l’attività delle navi Ong (organizzazioni senza fini di lucro, impegnate nel salvataggio dei migranti in mare) viene messa in discussione. Una rotta, quindi, in cui i numeri svelano  un netto ridimensionamento, ma non una totale chiusura.

Verosimilmente servono maggiori fondi e nuovi impegni da parte dell’Europa, per fronteggiare l’emergenza che parte al sud del paese. Non è facile, tuttavia, arginare un costante problema: il rischio che il denaro, in realtà, finisca in mani sbagliate. La destabilizzazione della Libia non permette – al momento – di procedere verso pianificati piani e precisi programmi a lungo termine. Nel sud in particolar modo, poi, la situazione è totalmente fuori controllo: intere lande del deserto sono preda di bande di criminali.

L’Italia, comunque, continua a cercare una soluzione di pace per il paese nord africano. Mentre, invero, prosegue  l’impegno italiano riguardo all’attività di formazione specifica in ogni settore del personale delle amministrazioni libiche,  è già in programma il vertice finale, che  dovrebbe svolgersi a fine marzo a Roma, con l’obiettivo di riuscire ad attuare l’intero piano europeo per il graduale rafforzamento delle capacità delle autorità libiche.

Sono molte, dunque, le buone intenzioni. Fino a che, tuttavia, la Libia resterà con il suo quadro fortemente frastagliato, sarà del tutto prematuro e molto complesso affrontare tematiche delicate come quelle dell’immigrazione.

Qualche giorno fa, a Tripoli, si è svolta la prima riunione tecnica alla presenza dei rappresentanti del Dipartimento pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno, del Comando Generale della Guardia di finanza, del Comando generale delle Capitanerie di porto, della Marina militare italiana e dei   vertici della Marina e della Guardia Costiera libica.

Più specificamente si è realizzato una sorta di summit fondato sullo sviluppo del progetto italiano per la gestione delle frontiere e dell’immigrazione, il cui obiettivo consiste nel graduale rafforzamento delle capacità delle competenti autorità libiche in questi settori (inclusa la lotta al traffico di migranti, nonché la ricerca e soccorso in mare).

Va specificato che una prima fase di attuazione del piano si è avuta nel dicembre del 2017, con il co-finanziamento della Unione Europea per un importo complessivo di 46,3 milioni di euro. L’anno successivo, il 13 dicembre 2018, è stata approvata e finanziata  una seconda fase, in cui sono stati messi a disposizione 45 milioni di euro, fondi versati nel Trust Fund dai paesi del gruppo di Visegrad (Polonia Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) per 35 milioni e dalla Commissione europea per 10 milioni. 

Le finalità del progetto sono diverse. Riguardano un  maggiore addestramento delle forze libiche  in campo  e per ottenere lo sviluppo delle riforme istituzionali , responsabili della gestione delle frontiere (incluse le operazioni di ricerca e soccorso). Altro fine è il  potenziamento delle capacità operative delle autorità marittime libiche, mediante la fornitura di quattro imbarcazioni per attività di search and rescue in alto mare. Oltre ciò, un importante obiettivo consiste nella realizzazione dell’Mrcc (Maritime rescue Coordination centre) nella capitale libica, con graduale attivazione di sistemi di comunicazione e controllo lungo la fascia costiera; ciò andrebbe a rendere più concreta l’attività della Guardia costiera libica nella parte di mare che le compete. E’, infine, ritenuto  fondamentale che si giunga al più presto alla realizzazione di un cantiere nautico a Tripoli, per la manutenzione delle imbarcazioni già donate dal Governo italiano alla guardia costiera libica, nonché di quelle che saranno fornite nell’ambito del progetto.

E’ ormai noto che nel 2018  la rotta libica ha subito un drastico crollo di partenze dalle coste tripoline e l’attività delle navi Ong (organizzazioni senza fini di lucro, impegnate nel salvataggio dei migranti in mare) viene messa in discussione. Una rotta, quindi, in cui i numeri svelano  un netto ridimensionamento, ma non una totale chiusura.

Verosimilmente servono maggiori fondi e nuovi impegni da parte dell’Europa, per fronteggiare l’emergenza che parte al sud del paese. Non è facile, tuttavia, arginare un costante problema: il rischio che il denaro, in realtà, finisca in mani sbagliate. La destabilizzazione della Libia non permette – al momento – di procedere verso pianificati piani e precisi programmi a lungo termine. Nel sud in particolar modo, poi, la situazione è totalmente fuori controllo: intere lande del deserto sono preda di bande di criminali.

L’Italia, comunque, continua a cercare una soluzione di pace per il paese nord africano. Mentre, invero, prosegue  l’impegno italiano riguardo all’attività di formazione specifica in ogni settore del personale delle amministrazioni libiche,  è già in programma il vertice finale, che  dovrebbe svolgersi a fine marzo a Roma, con l’obiettivo di riuscire ad attuare l’intero piano europeo per il graduale rafforzamento delle capacità delle autorità libiche.

Sono molte, dunque, le buone intenzioni. Fino a che, tuttavia, la Libia resterà con il suo quadro fortemente frastagliato, sarà del tutto prematuro e molto complesso affrontare tematiche delicate come quelle dell’immigrazione.

Avvocato Jacopo Maria Pitorri

Il razzismo a scuola

Il problema del razzismo nel mondo, oggi, al di là delle intolleranze nei confronti delle minoranze religiose e sessuali, è soprattutto strettamente legato all’aumento delle discriminazioni a seguito dei flussi migratori. Anche in Europa vi sono preoccupanti casi di carattere razzista e xenofobo, specie nei confronti dei migranti. E diventata particolarmente preoccupante la situazione in Italia: l’ultimo rapporto di Amnesty International, invero, nonostante le diverse iniziative promosse dalle associazioni della società civile, che cercano costantemente di contrastare le campagne di criminalizzazione degli immigrati e dei rom, ha rilevato una situazione difficile per i migranti.

Il problema del razzismo nel mondo, oggi, al di là delle intolleranze nei confronti delle minoranze religiose e sessuali, è soprattutto strettamente legato all’aumento delle discriminazioni a seguito dei flussi migratori. Anche in Europa vi sono preoccupanti  casi di carattere razzista e xenofobo, specie nei confronti dei migranti. E  diventata particolarmente preoccupante la situazione in Italia: l’ultimo rapporto di Amnesty International, invero, nonostante le diverse iniziative promosse dalle associazioni della società civile, che cercano costantemente di contrastare le campagne di criminalizzazione degli immigrati e dei rom, ha rilevato una situazione difficile per i migranti.

Bisogna, però, pensare che dinanzi alle numerose e crescenti miserie, ingiustizie economiche, guerre e corruzione, migrare rappresenta spesso per milioni di uomini, donne e bambini l’unica strada per cercare di costruirsi un futuro di speranza, pace e dignità. La crescita della presenza di stranieri, tuttavia, è vissuta, percepita da molti come una minaccia.

A fronte di una crescente e progressiva globalizzazione economica,  si è assistito al ritorno di orientamenti nazionalisti e xenofobi e al verificarsi di episodi di violenza e di intolleranza verso gli immigrati. Alcuni governi e parlamenti degli stati europei hanno varato leggi sull’immigrazione, che alcune volte non sono vicine con le loro costituzioni, o con le carte dei diritti umani delle Nazioni. Vale la pena rammentare che la nostra Costituzione condanna ogni forma di razzismo all’articolo 3: ”Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

Il sistema giuridico italiano, inoltre, prevede pene molto severe per i colpevoli di razzismo e discriminazione. 

Per quanto riguarda l’Unione europea, il trattato di Amsterdam (2 ottobre 1997) all’articolo 13, combatte le discriminazioni fondate su sesso, razza ed origine etnica, religione, convinzioni personali, handicap, età o tendenze sessuali. Nel giugno del 2000, sulla base di quello stesso articolo, il Consiglio ha adottato una direttiva per l’attuazione del principio della parità di trattamento fra le persone a prescindere dalle differenze e dall’origine etnica. Contestualmente il Consiglio ha varato un programma attuativo comunitario per combattere la discriminazione.

Il trattato sull’Unione europea, introdotto dal trattato di Amsterdam, con l’articolo 29 ha, inoltre, costituito una base giuridica per la lotta contro il razzismo e la xenofobia nell’ambito della cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale.

Con il Protocollo n.12 alla Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo del 4 novembre 2000 si è stabilito che è  illegale ogni forma di discriminazione attuata da enti pubblici e determinata da una motivazione qualsiasi. La discriminazione razziale è una violazione dei diritti umani, per questo è la Corte europea dei Diritti dell’Uomo che si occupa della realizzazione di tutte le disposizioni previste dal Protocollo n.12.

Indiscutibilmente, oggi, direttive e normative non mancano per contrastare questo gravissimo fenomeno della società, in Italia, come in Europa.

Nonostante ciò, ad oggi si verificano ancora incresciosi episodi di razzismo, che coinvolgono perfino minori. A Foligno, infatti, qualche giorno fa, è stato segnalato da alcuni genitori dei compagni di classe di due bambini originari dalla Nigeria (il cui papà risiede in Italia da ben diciassette anni), un grave fatto. Il maestro della scuola elementare del comune umbro avrebbe punito i  due bambini neri (fratello e sorella) perché, a suo dire, “troppo brutti per guardarli in volto”.

Il docente in questione si è scusato per l’accaduto, sostenendo, che  si è trattato di “un esperimento sociale”,  di “un’attività per l’integrazione finalizzata a far prendere coscienza agli studenti del concetto di differenza razziale e di discriminazione”. Un “malinteso” per il quale l’insegnante ha rivolto le sue scuse ai genitori degli alunni coinvolti e, in generale, alla classe.

I  bambini erano terrorizzati all’idea di essere di nuovo offesi dal maestro. Per il padre, infatti, più che di “esperimento sociale”, si è trattato di un vero e proprio episodio di razzismo, per cui i figli sono stati – e stanno – molto male. Tra l’altro, ha spiegato il genitore, una cosa del genere non si era mai verificata, da quando sono arrivati in Italia.

 L’insegnante supplente è stato immediatamente sospeso in via cautelare. Sulla vicenda è intervenuto anche il Ministro dell’Istruzione, che ha definito “gravissimo e da condannare” l’episodio di Foligno.

Questo gravissimo episodio avvenuto nella scuola elementare di Foligno sembra rivelare il clima che si sta diffondendo sempre di più anche nel nostro Paese, posto che c’é un crescendo preoccupante di episodi di razzismo in Italia.

E’, invece, necessaria umanità, accoglienza, tutela dei più deboli, aiuto a chi è in difficoltà, tra sofferenze e dolore.

Per  questa inquietante  storia, comunque, dove al centro vi sono dei bimbi vittime di una inspiegabile discriminazione, i genitori, col proprio legale, si sono recati presso la Procura di Spoleto, al fine di formalizzare una denuncia. La Procura, quindi, ha ordinato per conto proprio al Commissariato di Foligno di avviare un’indagine sulla vicenda “per valutare se abbia rilevanza penale, oltre a quella disciplinare per cui procedono le Istituzioni scolastiche”.

Al momento sono in corso indagini e si attende una dichiarazione ufficiale della scuola.

Il problema del razzismo nel mondo, oggi, al di là delle intolleranze nei confronti delle minoranze religiose e sessuali, è soprattutto strettamente legato all’aumento delle discriminazioni a seguito dei flussi migratori. Anche in Europa vi sono preoccupanti casi di carattere razzista e xenofobo, specie nei confronti dei migranti. E diventata particolarmente preoccupante la situazione in Italia: l’ultimo rapporto di Amnesty International, invero, nonostante le diverse iniziative promosse dalle associazioni della società civile, che cercano costantemente di contrastare le campagne di criminalizzazione degli immigrati e dei rom, ha rilevato una situazione difficile per i migranti.

Bisogna, però, pensare che dinanzi alle numerose e crescenti miserie, ingiustizie economiche, guerre e corruzione, migrare rappresenta spesso per milioni di uomini, donne e bambini l’unica strada per cercare di costruirsi un futuro di speranza, pace e dignità. La crescita della presenza di stranieri, tuttavia, è vissuta, percepita da molti come una minaccia.

A fronte di una crescente e progressiva globalizzazione economica, si è assistito al ritorno di orientamenti nazionalisti e xenofobi e al verificarsi di episodi di violenza e di intolleranza verso gli immigrati. Alcuni governi e parlamenti degli stati europei hanno varato leggi sull’immigrazione, che alcune volte non sono vicine con le loro costituzioni, o con le carte dei diritti umani delle Nazioni. Vale la pena rammentare che la nostra Costituzione condanna ogni forma di razzismo all’articolo 3:” Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

Il sistema giuridico italiano, inoltre, prevede pene molto severe per i colpevoli di razzismo e discriminazione. 

Per quanto riguarda l’Unione europea, il trattato di Amsterdam (2 ottobre 1997) all’articolo 13, combatte le discriminazioni fondate su sesso, razza ed origine etnica, religione, convinzioni personali, handicap, età o tendenze sessuali. Nel giugno del 2000, sulla base di quello stesso articolo, il Consiglio ha adottato una direttiva per l’attuazione del principio della parità di trattamento fra le persone a prescindere dalle differenze e dall’origine etnica. Contestualmente il Consiglio ha varato un programma attuativo comunitario per combattere la discriminazione.

Il trattato sull’Unione europea, introdotto dal trattato di Amsterdam, con l’articolo 29 ha, inoltre, costituito una base giuridica per la lotta contro il razzismo e la xenofobia nell’ambito della cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale.

Con il Protocollo n.12 alla Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo del 4 novembre 2000 si è stabilito che è  illegale ogni forma di discriminazione attuata da enti pubblici e determinata da una motivazione qualsiasi. La discriminazione razziale è una violazione dei diritti umani, per questo è la Corte europea dei Diritti dell’Uomo che si occupa della realizzazione di tutte le disposizioni previste dal Protocollo n.12.

Indiscutibilmente, oggi, direttive e normative non mancano per contrastare questo gravissimo fenomeno della società, in Italia, come in Europa.

Nonostante ciò, ad oggi si verificano ancora incresciosi episodi di razzismo, che coinvolgono perfino minori. A Foligno, infatti, qualche giorno fa, è stato segnalato da alcuni genitori dei compagni di classe di due bambini originari dalla Nigeria (il cui papà risiede in Italia da ben diciassette anni), un grave fatto. Il maestro della scuola elementare del comune umbro avrebbe punito i due bambini neri (fratello e sorella) perché, a suo dire, “troppo brutti per guardarli in volto”.

Il docente in questione si è scusato per l’accaduto, sostenendo, che si è trattato di “un esperimento sociale”, di “un’attività per l’integrazione finalizzata a far prendere coscienza agli studenti del concetto di differenza razziale e di discriminazione”. Un “malinteso” per il quale l’insegnante ha rivolto le sue scuse ai genitori degli alunni coinvolti e, in generale, alla classe.

I bambini erano terrorizzati all’idea di essere di nuovo offesi dal maestro. Per il padre, infatti, più che di “esperimento sociale”, si è trattato di un vero e proprio episodio di razzismo, per cui i figli sono stati – e stanno – molto male. Tra l’altro, ha spiegato il genitore, una cosa del genere non si era mai verificata, da quando sono arrivati in Italia.

 L’insegnante supplente è stato immediatamente sospeso in via cautelare. Sulla vicenda è intervenuto anche il Ministro dell’Istruzione, che ha definito “gravissimo e da condannare” l’episodio di Foligno.

Questo gravissimo episodio avvenuto nella scuola elementare di Foligno sembra rivelare il clima che si sta diffondendo sempre di più anche nel nostro Paese, posto che c’é un crescendo preoccupante di episodi di razzismo in Italia.

E’, invece, necessaria umanità, accoglienza, tutela dei più deboli, aiuto a chi è in difficoltà, tra sofferenze e dolore.

Per questa inquietante  storia, comunque, dove al centro vi sono dei bimbi vittime di una inspiegabile discriminazione, i genitori, col proprio legale, si sono recati presso la Procura di Spoleto, al fine di formalizzare una denuncia. La Procura, quindi, ha ordinato per conto proprio al Commissariato di Foligno di avviare un’indagine sulla vicenda “per valutare se abbia rilevanza penale, oltre a quella disciplinare per cui procedono le Istituzioni scolastiche”.

Al momento sono in corso indagini e si attende una dichiarazione ufficiale della scuola.

Avv. Jacopo Maria Pitorri