La maternità surrogata e la Corte Europea dei diritti dell’Uomo
Settembre 23, 2019
L’Avvocato Iacopo Maria Pitorri, che si occupa anche del ramo “famiglia”, nello svolgimento dell’attività forense, spiega che con le espressioni “surrogazione di maternità”, “utero in affitto”, o, più precisamente, “gestazione per altri”, si indica una gravidanza portata a termine da una donna che poi dona il figlio messo al mondo ad un’altra persona, ovvero ad una coppia, eterosessuale od omosessuale.
Esistono, oggi, delle agenzie atte a mettere in contatto le coppie e le donne che si prestano per una maternità surrogata. Dette agenzie si occupano della stipula del contratto tra le parti, specificando i diritti ed i doveri delle parti, stabilendo il compenso per la prestazione, che potrebbe essere rappresentato soltanto dalle spese sostenute dalla donna durante la gravidanza (visite, eventuali cure, vestiario), oppure consistere in una somma più consistente.
Su questa tematica si è espressa la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che è stata chiamata a pronunciarsi sulla fattispecie relativa a due bambine, nate in California attraverso la gestazione per altri. Le minori non hanno legami di nessun genere con la moglie del padre, che, però, negli Stati Uniti è riconosciuta come genitore a tutti gli effetti. All’inizio le autorità francesi hanno negato il riconoscimento di entrambi i genitori non biologici. Poi, in seguito ad una prima battaglia giudiziaria e una prima condanna da parte della Corte europea (con la sentenza del 26 giugno 2014), le hanno registrate come figlie solo del padre (con cui hanno un legame genetico), ma non della madre francese.
A seguito della richiesta di riconoscere entrambi i genitori, la Cassazione francese, nell’ottobre 2018, si è trovata costretta a chiedere un parere orientativo alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, volendo sapere se il mancato riconoscimento della madre non biologica violasse la convenzione europea dei diritti umani.
La Corte, specifica l’Avvocato Pitorri, ha deciso all’unanimità che un bambino nato all’estero, da madre surrogata, debba essere riconosciuto come figlio di entrambi i genitori, in virtù del suo diritto al rispetto della vita privata, che è da ritenersi preliminare rispetto alla salvaguardia dai rischi di abusi connessi alla maternità surrogata. Per “rispetto della vita privata del bambino” la Corte intende il suo diritto a godere di una famiglia. I giudici, tra l’altro, hanno evidenziato che la tutela dell’interesse del minore obbliga ad identificare le persone responsabili sul piano legale per la sua crescita e il suo benessere. Non riconoscere, pertanto, i “genitori intenzionali” (che hanno fatto ricorso alla “gestazione per altri”.) come madre e padre effettivi del bambino risulta del tutto incompatibile con la tutela del minore.
Dalla sentenza emerge la imprescindibile importanza del riconoscimento del legame di filiazione, purché la donna sia stata già riconosciuta come madre legale all’ufficio anagrafe dove è avvenuto il concepimento.
In buona sostanza, quindi, con il parere consultivo del 10/04/2019, reso dalla Grand Chambre, la Corte europea per i diritti dell’uomo, ha confermato che, in caso di ricorso a tecniche di maternità surrogata all’estero, in un Paese in cui la gestazione per altri, è legale, lo Stato di origine deve riconoscere il rapporto di filiazione, a tutela del superiore interesse dei minori, anche se tale tecnica è vietata dalle leggi nazionali.
In Italia, chiarisce l’Avvocato Pitorri, la legge vieta tassativamente questa pratica, considerata reato, in quanto contraria alle disposizioni in materia di adozione e tutela dei minori, atteso che, a seguito della nascita, il neonato viene consegnato alla coppia committente e la portatrice non acquista i diritti e i doveri connessi alla maternità (essendo sia legalmente che biologicamente estranea).
Ne deriva che coloro che, di nazionalità italiana, intendano praticare detta forma alternativa di procreazione, debbano necessariamente recarsi nei paesi in cui è legale. Conseguentemente, il bambino viene registrato dall’Ufficiale dello Stato civile estero, dove è avvenuta la nascita che rilascia ai genitori un atto in cui si attesta la genitorialità (che, poi, dovrà essere trascritto nello Stato di provenienza).
Negli ultimi anni la Corte di Cassazione si è espressa più volte sulla validità di questa procedura, adottando orientamenti talvolta contrastanti: inizialmente la Corte era orientata a non riconoscere la validità della trascrizione nei registri italiani (considerando la “inesistenza” della madre naturale). Negli ultimi anni, però, il pensiero della Suprema Corte ha subito dei cambiamenti, posto che non si ritiene più che la trascrizione integri il reato di contraffazione e di dichiarazione mendace.
Ultimamente, con la recentissima sentenza n. 2173/19 del 17 gennaio 2019, la sesta sezione penale della Cassazione si è espressa con un “no all’utero in affitto”, ribadendo la centralità e l’importanza della norma che regola la disciplina sulle adozioni, nel tutelare il diritto dei minori, al fine di reprimere ogni condotta volta a superare la centralità della sua figura, rispetto ai desideri degli adulti.
La ratio è la seguente: “chi affida illegittimamente il minore ,viola sempre l’interesse del minore ad un affidamento nel rispetto di tutte le condizioni poste a sua tutela (stabilità della coppia affidataria, maturità e capacità educativa della stessa, ecc.); chi lo riceve è punito, invece, solo se ha pagato, evidentemente perché non si è ritenuto meritevole di pena colui che lo riceva per appagare un desiderio naturale di genitorialità, senza ricorso a strumenti corruttivi”.
Ciò conferma che in Italia è prevista la completa tutela di ogni figlio a godere della propria madre (tant’è vero che è previsto un aggravamento della pena se a provvedere alla sua cessione sia stata la genitrice, anche in assenza di un corrispettivo economico).
Avvocato Iacopo Maria Pitorri