L’Avvocato Pitorri parla della necessità di una riforma della giustizia tributaria

L’Avvocato Iacopo Maria Pitorri fa presente di una esigenza, in ambito di legislazione, diventata ormai impellente: l’approvazione della riforma strutturale della giustizia tributaria. Da questa scaturirebbe, conseguentemente, l’azzeramento di tutto il contenzioso tributario oggi pendente di oltre cento miliardi di euro, che coinvolge circa ventuno milioni di contribuenti.

Secondo le ultime statistiche del Ministero dell’Economia e delle Finanze sul contenzioso, aggiornate al primo trimestre 2018, sottolinea l’Avvocato Pitorri, ci sono 461.741 cause pendenti tra le Commissioni tributarie provinciali, regionali e la Cassazione, cui corrisponde un controvalore stimabile in 75,4 miliardi.

La disciplina attuale del processo tributario continua a suscitare numerosi dubbi di legittimità costituzionale, specie in riferimento al principio di indipendenza ed imparzialità del giudice. Sono molti, infatti, gli aspetti della normativa che ad oggi non consentono ancora di riconoscere ai giudici tributari quella perfetta autonomia dai pubblici poteri, che è garanzia di un giudizio libero da pressioni e da condizionamenti esterni, che sia espressione solo della corretta applicazione della legge. L’inquadramento dei giudici e del personale delle Commissioni Tributarie nell’ambito del Ministero dell’Economia e delle Finanze (parte del processo), i meccanismi di reclutamento dei giudici (nominati tramite un concorso per titoli e non per esami), lo svolgimento spesso non a tempo pieno dell’attività giurisdizionale, sono tutti elementi che limitano (solo in apparenza secondo il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria) l’indipendenza, la terzietà e l’imparzialità dei giudici.
Un complesso processo come quello tributario è affidato, oggi, a giudici che, purtroppo, si scontrano sovente con questioni che divengono sempre più complicate anche in virtù di una legislazione fiscale, sempre più frastagliata ed alle prese con cifre rilevanti e materie complesse, oggetto di continue evoluzioni giurisprudenziali e aggiornamenti normativi. Ne deriva che una riforma del processo tributario appare, sicuramente, indispensabile per poter affrontare le delicate e difficili questioni tributarie, che in caso di errori, anche involontari, possono portare al fallimento delle aziende e alla rovina dei contribuenti.

Occorre, più che mai, garantire tempestività, trasparenza ed efficienza nel rendere giustizia su temi che incidono così in profondità sui diritti dei cittadini e sui rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione. L’attuale strutturazione della giustizia tributaria non appare più adeguata. È necessaria e urgente una totale e radicale riforma della giustizia tributaria. Questa dovrà caratterizzarsi con giudici professionali, specializzati, a tempo pieno, ben retribuiti e, soprattutto, terzi ed imparziali nel rispetto dell’art. 111, comma 2, della Costituzione.


Come più volte chiarito dalla Corte Costituzionale (cfr. Ordinanza n.227/2016; sentenza n. 154/1984; sentenza n. 212/1986; ordinanza n. 144/1998) e dalla Corte di Cassazione, a Sezioni Unite (cfr. sentenze nn. 13902/2007 e 8053/2014) è tramite il legislatore ordinario che si può sopprimere e ristrutturare il sistema delle Commissioni Tributarie, creando una sorta di quarta magistratura, in aggiunta a quella ordinaria, amministrativa e contabile.

Soltanto una magistratura tributaria autonoma, indipendente e professionale può, infatti, garantire un sistema tributario equo ed efficiente.

Avvocato Iacopo Maria Pitorri

L’Avvocato Pitorri racconta dei migranti in Libia

In molti lo sanno, in tanti lo dicono, lo testimoniano, lo raccontano. La Libia, ad oggi, è un vero inferno. Un luogo che non si può descrivere, posto che va vissuto sulla propria pelle. Solo in questo modo, forse, ci si può rendere conto di ciò che accade, in un Paese non lontano dal nostro.

Dal nuovo rapporto diffuso nei giorni scorsi da Oxfam Italia (organizzazione non profit, volta alla riduzione della povertà globale, attraverso aiuti umanitari e progetti di sviluppo), l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri fa presente che è emerso che l’84% delle persone intervistate ha dichiarato di avere subito trattamenti inumani, tra cui violenze brutali e torture. Oltre ciò, il 74% ha raccontato di aver assistito all’omicidio, ovvero alla tortura di un compagno di viaggio. L’80% ha subito la privazione di acqua e cibo, mentre il 70% è stato imprigionato in luoghi di detenzione ufficiali o non ufficiali. Dal report “L’inferno al di là del mare”, pertanto, emerge chiaramente come, in Libia, più di quattro profughi su cinque subiscano violenze di ogni genere, detenzioni illegali, stupri e torture. 

Le squadre di MSF (Medici senza Frontiere), inoltre, hanno comunicato che ci sono diversi civili intrappolati nei combattimenti che si stanno svolgendo a Tripoli. Tra questi sono inclusi centinaia di migranti e rifugiati, bloccati, purtroppo, nei centri di detenzione. Attualmente sono, ormai, moltissime le persone che abitano nelle aree del conflitto, costrette alla fuga in altre zone della città. I migranti, in questa drammatica situazione, non hanno alcuna possibilità di fuga. Sono costretti a condizioni pericolose e degradanti; vivono in condizioni disperate e di sofferenza; la loro salute fisica e mentale è estremamente instabile.  Molte delle persone trattenute nei centri sono lì a causa del fatto che la guardia costiera libica  intercetta migranti e rifugiati in mare e  li riporta in Libia. Il conflitto attuale evidenzia che la Libia non è un porto sicuro, dove la protezione di migranti e rifugiati possa essere garantita.

Considerato che nella capitale libica la violenza si è oltremodo intensificata, la situazione per i minori è divenuta a dir poco drammatica. Basti pensare, evidenzia l’Avvocato Pitorri che circa mezzo milione di bambini, a Tripoli, e decine di migliaia nelle aree occidentali, sono a rischio diretto a causa dell’aumentare dei combattimenti. L’Unicef, al riguardo, chiede a tutte le parti in conflitto di proteggere i più piccoli e di astenersi dal commettere violazioni contro i bambini.

Nel campo di concentramento di Tajoura, in Libia, recentemente (per citare un esempio), è stato torturato  con la corrente elettrica  un rifugiato e gli hanno spezzato le gambe. Di lui non si sa più nulla. Non è dato sapere se sia, cioè vivo, o morto. All’interno di questo campo sono attivi dei progetti finanziati dal governo italiano. Nei  centri libici per migranti, tra cui quelli di Triq Al Sika e Triq Al Matar a Tripoli, le ONG, finanziate con soldi pubblici italiani, avrebbero dovuto migliorare le  condizioni di vita dei migranti, fornendo caldaie, kit igienici, assistenza psico-sociale e una clinica mobile. Testimoniano, invece, alcuni migranti, che negli ambienti dove si trovano queste persone si sta al buio, al caldo, in mancanza di cibo. Si è costretti a stare in piedi, per il poco spazio. Non c’è un posto dove dormire. Un vero e proprio incubo. A Triq al Matar pare ci sia un grande capannone con millequattrocento persone. I bagni funzionanti, tuttavia, sono solo due. Avvengono torture continue, che provocano dolore, fino a perdere i sensi, le mani e i piedi vengono legati, si usano catene di ferro per picchiare i rifugiati, oppure i cavi elettrici per far arrivare la corrente direttamente alle caviglie. Racconti incredibili, permeati da tragicità ed orrore, che nessuno di noi vorrebbe più sentire. Ne deriva che, a lungo andare, una tale situazione non possa che degenerare ulteriormente. E’, perciò, necessario che qualcuno ascolti queste persone e si dia da attivi al più presto per far luce sull’attività dei campi libici, al di là delle polemiche e dei contrasti politici, superando le difficoltà, con assunzione cosciente di responsabilità, per cambiare davvero le cose.

                                                                                                                                                                                 Avvocato Iacopo Maria Pitorri

L’Avvocato Pitorri racconta dei migranti, a Tangeri, sognano la Spagna.

Quando, nel 2016, Bruxelles ha sottoscritto un accordo col presidente turco Erdogan, dal valore di sei miliardi di euro, si è dato il via ad una intensa collaborazione di interesse sul fronte dei flussi migratori. Il problema, a quei tempi, riguardava una sorta di invasione di siriani e iracheni, uniti ad afghani, pakistani e bengalesi, riversati sulla costa occidentale della Turchia tra Bodrum, Cesme e Ayvalik, nella provincia di Smirne (pronti a rischiare la vita per superare il tratto di mare che li separava dalle isole greche, da Lesvos a Chios). Ebbene, grazie a quel denaro, l’emergenza in Turchia è rientrata e si è bloccato il flusso di gommoni e natanti, anche grazie alla costruzione di ventisei campi profughi sul confine meridionale, dove sono stati accolti milioni di siriani.

Oggi, tuttavia, il problema si è spostato anche in Marocco, che è stato destinatario da parte di Bruxelles di un investimento di gran lunga inferiore: soli centoquaranta milioni di euro per la gestione dei flussi. Di questi, già trenta sono stati riposti nelle casse del governo di Rabat (all’inizio del 2019), con l’obiettivo di rallentare il passaggio di migranti subsahariani e maghrebini in Spagna, la frontiera sud-occidentale del continente Europa. Conseguentemente a ciò, nei primi quattro mesi di quest’anno, ben oltre settemiladuecento persone hanno compiuto il passaggio in Spagna (duemila in più rispetto allo stesso periodo del 2018, concentrati soprattutto proprio nel mese di gennaio). Da quel momento il flusso si è placato, limitandosi a poche centinaia di migranti. Il governo marocchino, inoltre, ha annunciato di aver respinto venticinquemila persone, e smantellato una cinquantina di reti di trafficanti, che operano nella zona di confine marittimo attorno a Tangeri. Qui vive una comunità, seppur ridotta, di cristiani cattolici e si trova l’arcidiocesi guidata dal vescovo spagnolo Santiago Agrelo Martinez. Un prete, ancor prima che un arcivescovo, in linea con il pensiero di Papa Bergoglio, sul fronte dei migranti.

Costantemente attaccato con duri attacchi, specie sui social, pesanti insulti, minacce di ogni tipo, il prelato prosegue irremovibile la sua opera a favore dei migranti, invitando l’Europa a seguire a seguire il suo esempio.

In un’intervista rilasciata qualche tempo fa ad un portale di notizie spagnolo, Monsignor Santiago Agrelo Martinez ha dichiarato che: “La mia è una strenua difesa, senza se e senza ma, nei confronti dei migranti. Frotte di ragazzi africani in cerca di una speranza, maltrattati e, adesso, pure deportati su ordine del governo spagnolo, con placet dell’Unione europea. Loro sono le vittime, i veri responsabili sono le mafie che lucrano sulla loro disperazione, organizzazioni figlie delle politiche dei governi comunitari. Nei loro confronti si sta commettendo un crimine disumano”.

In Spagna, stante il boom di arrivi nel 2018, anche il governo socialista di Pedro Sanchez ha applicato misure repressive verso i migranti. A migliaia sono stati rimpatriati, senza la possibilità di richiedere la protezione internazionale nell’ottica dei Trattati di Dublino. Col canale libico “messo fuori gioco” dagli accordi tra il nostro governo e quello della Tripolitania di Fayez al-Serraj, i migranti si sono, in parte, spostati lungo l’altra rotta disponibile in Africa.

Solo ad analizzare i numeri, riscontriamo nel concreto tutto questo.  Nel 2018 in Italia sono sbarcati circa ventitremila richiedenti asilo (nel 2016 erano stati centottantamila e centoventimila, l’anno successivo, grazie alle misure dell’allora Ministro degli Interni), un terzo in meno rispetto alla Spagna che ne ha accolti oltre sessantamila.

Il denaro elargito da Bruxelles a Rabat servirà per respingere i circa duecentomila africani che si riversano ad ovest dell’Europa. Al riguardo, il capo del Dipartimento per il controllo dei confini e della migrazione del Marocco ha annunciato che i fondi ricevuti dall’Unione Europea hanno consentito di bloccare gli assalti alle recinzioni delle due barriere di separazione in terra marocchina, Ceuta e Melilla. 

Tuttavia, qualche giorno fa, in cinquantadue sono riusciti a scavalcare quelle di Melilla e, dunque, ad entrare in Europa. A Ceuta, una manciata di chilometri da Tangeri, le cose hanno iniziato a cambiare dopo il maxi-assalto del luglio 2018, con oltre seicento migranti (provenienti, soprattutto, dalla Guinea), accolti poi nel centro di transito della città-porto franco.

Certo è che a Tangeri, sotto i portali della cattedrale, con a capo Monsignor Agrelo, una quarantina di migranti indifesi, a turno, trovano accoglienza in questo sacerdote, che regala solidarietà, giustizia, libertà, unite all’uso di bagno e docce e di un pasto al giorno. Un’alternativa di non poco conto, rispetto a quella di vivere in strada, sulle panchine delle piazze, in mezzo ai cespugli.

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L’avvocato Iacopo Maria Pitorri, specializzato in materia di immigrazione, opera all’interno dello Studio Legale Pitorri, sito in Roma in Via Giovanni Amendola 95, zona Termini. Tra le competenze sviluppate grazie ad un’esperienza pluriennale nel settore citiamo: consulenza per i permessi di soggiorno, Carta Blu UE, ricongiungimento familiare, permesso di soggiorno per motivi di studio o di lavoro e molto altro ancora.

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L’Avvocato Pitorri racconta delle elezioni europee: eletto il medico dei migranti

Domenica 26 maggio, in Italia vi sono state le elezioni dei membri del Parlamento Europeo, un’istituzione che rappresenta i popoli dell’Unione europea; l’unica ad essere eletta direttamente dai cittadini dell’Unione.

Sull’isola di Lampedusa, che tutti conosciamo, oltre che per le meraviglie del suo mare, la posizione geografica, anche per essere sovente protagonista di vicende legate ai migranti, è accaduto un evento che merita grande attenzione.  Pietro Bartolo medico e politico italiano, noto per essere, dal 1992, il responsabile delle prime visite a tutti i migranti che sbarcano a Lampedusa, è stato eletto con i voti assegnati alle liste del Partito Democratico, conquistando il seggio nell’europarlamento.

Di contro al propagarsi delle discriminazioni e della xenofobia, pertanto, dall’Italia giunge un grido di speranza: Pietro Bartolo è pronto per trasformare la sua testimonianza nell’isola di Lampedusa in attività politica nel Parlamento di Strasburgo.

Un anno fa il medico ha declinato la proposta di candidarsi in politico, scegliendo di restare a lavorare nel poliambulatorio di Lampedusa per i migranti, a contatto con le persone che soffrono. Per questo ha anche girato l’Italia, al fine di sensibilizzare soprattutto i giovani in merito alle tematiche ad essi connessi.

Bartolo è diventato un personaggio simbolo dell’Italia “che accoglie il prossimo”, in virtù di un film-documento, dal titolo “Fuocoammare”, che è stato vincitore dell’Orso d’oro al Festival di Berlino e candidato all’Oscar come migliore documentario straniero; la sua storia è raccontata nel libro “Lacrime di sale”.

Cresciuto in una famiglia di pescatori, si è duramente battuto per cambiare il proprio destino e quello della sua isola. Successivamente, nel rispettare la sua missione di medico, ha deciso di vivere in prima persona la grande emergenza umanitaria. E’, invero, da trent’anni che Bartolo cura i migranti che approdano sull’isola siciliana. Si è occupato di oltre trecento naufraghi ed ha ispezionato, purtroppo, centinaia di cadaveri diventando, appunto, il “medico dei migranti”. La sua storia si intreccia con quelle disperate dei migranti, sopravvissuti a terribili viaggi nel deserto, fra violenze e sopraffazioni inimmaginabili, persone che in mare hanno spesso visto morire i loro familiari e, nonostante ciò, non si sono arrese, determinate ad iniziare una nuova esistenza in Europa.

In una recente intervista ai media, Bartolo ha dichiarato: “La mia carriera di medico mi ha messo a contatto in questi trent’anni davanti ai crimini più grandi che si possano commettere contro l’umanità intera. Perché quando violenti una donna, stai violentando l’umanità intera, quando torturi un uomo, stai torturando l’umanità intera. Ecco, la mia “dote”, se così possiamo definirla, è che nessuno debba più vedere quel che sono stato costretto a vedere io. Che si aprano subito i corridoi umanitari. E il Mediterraneo torni ad essere un mare di vita, non di morte”.

Avvocato Iacopo Maria Pitorri

Solidarietà e mediazione

L’art. 2 della nostra Carta Costituzionale enuncia che “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.” Il termine “solidarietà”, che può essere inteso sotto molteplici sfaccettature, è stato più volte utilizzato anche dal nostro Presidente della Repubblica. Anche nell’ultima cerimonia di consegna degli attestati d’onore di Alfieri della Repubblica ai ragazzi minorenni, che si sono distinti come costruttori della comunità, il Capo dello Stato ha sostenuto che “la solidarietà è l’impalcatura della convivenza”.

Ebbene, fa emergere l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri, da questa semplice parola, che racchiude un grande significato, deriva la condivisione di idee e propositi, le responsabilità, gli intenti, i rapporti di fratellanza e di reciproco sostegno che collega i singoli componenti di una collettività, in ragione della loro appartenenza a una società medesima, con comunanza di interessi ed obiettivi.

Sotto il profilo umano, parlando di solidarietà, molto spesso, pensiamo ad un sentimento di comunione ei attenzione nei riguardi del prossimo. Se, per citare un esempio, prendiamo in considerazione una coppia, viene da sé che dalla unione della stessa deriva condivisione e solidarietà. Quando, tuttavia, finisce la storia, sorgono degli inevitabili scontri, che fanno dimenticare la solidarietà che fino a poco prima aveva permeato le due persone unite.

In politica, invece, con il termine solidarietà si vuole intendere la unione di più parti per il raggiungimento degli stessi obiettivi. Quando, tuttavia, emergono divergenze, ciò non è più possibile e quello che è il rispetto per i bisogni della collettività, lascia, purtroppo, spazio alle necessità individuali.

Dalla solidarietà non può che derivare rispetto e condivisione. Quando, tuttavia, non si è più in accordo, venendo a mancare, molto spesso, queste ultime due componenti, inevitabilmente viene soppressa anche la solidarietà. Al fine di ovviare a tale situazione, si fa spesso ricorso, oggi, alla mediazione. Si tratta di un utile strumento per gestire al meglio i conflitti (familiari, civili), donando nuovamente alle parti la capacità di riaprire i canali di comunicazione, ponendo al centro la persona, al di là di una sterile visione individualista, ricreando la possibilità di dare il giusto valore alle persone e facendo crescere il senso della solidarietà in modo spontaneo. La mediazione consiste nell’attività professionale, svolta da un terzo imparziale, finalizzata ad assistere due o più soggetti, sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa. Tramite l’attività del mediatore, in buona sostanza, le parti vengono aiutate per raggiungere un determinato obbiettivo.

L’Avvocato Pitorri specifica che il mediatore, generalmente, nel suo essere al di sopra delle parti, non esprime giudizio alcuno, non rivela a nessuno ciò di cui è a conoscenza, non giudica l’operato delle parti, atteso che il suo compito è accogliere e consigliare, non esprimere valutazioni. Lavora sul presente e sul futuro (che sono ancora da definire). Non impone soluzioni sue, posto che ha per obiettivo quello di ascoltare le parti ed aiutarle a trovare una soluzione personalizzata, giusta per le loro specifiche esigenze. Provvede a stimolare le parti, al fine di risolvere al meglio una data situazione. Svolge, cioè, un ruolo fondamentale nella società.

Avvocato Iacopo Maria Pitorri

Papa Francesco come Karol Wojtyla nella pastorale dei migranti

Nell’acquisire le notizie che ogni giorno forniscono i media, l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri è rimasto colpito non poco dal racconto dell’arcivescovo Vincenzo Paglia, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita. Il prelato, invero, ha dichiarato che “la predicazione di Jorge Mario Bergoglio sui migranti è strettamente collegata a quella dei suoi predecessori Karol Wojtyla e del Concilio Vaticano II, posto che è indiscutibilmente collegata alla sensibilità evangelica per i temi sociali”.

Il noto arcivescovo ha riportato alla memoria di tutti noi la fotografia di Giovanni Paolo II a Gorée, l’isolotto senegalese dove si trova la Casa degli schiavi. Nel 1992, infatti, durante l’ottavo dei suoi quattordici viaggi africani, il Pontefice polacco si è recato a Gorée, tra le sofferenze e gli spietati retaggi coloniali, delimitato da forti militari ed enormi boabab. Ha visto grandi ambienti bui, immense rocce per ammassare uomini, donne e bambini, portati qui dai mercanti schiavisti, da ogni terra e da ogni foresta africana, in attesa di essere caricati sulle navi per attraversare, purtroppo, l’oceano. Ebbene, da quest’isolotto, proprio guardando l’oceano, per circa sette minuti, Giovanni Paolo II ha fatto mea culpa davanti al Signore e agli uomini per i cristiani che, nei secoli passati, si sono macchiati del crimine enorme della tratta dei neri, rendendo omaggio alle vittime, senza nome, di questo scempio. Wojtyla ha fortemente condannato tutte le forme di moderne schiavitù, posto che anche nel ventesimo secolo si depreda il mondo dei poveri e ci sono, sfortunatamente, continue, nuove forme di schiavitù. Il pensiero del Santo Padre polacco non lo dimenticheremo mai: “Uomini, donne e bambini sono stati condotti in questo piccolo luogo, strappati dalla loro terra, separati dai loro congiunti, per esservi venduti come mercanzia. Essi venivano da tutti i Paesi e, in catene, partivano verso altri cieli, conservando come ultima immagine dell’Africa natia la massa della roccia basaltica di Gorée. Si può dire che quest’isola rimane nella memoria e nel cuore di tutta la diaspora nera”. E ancora: “Quegli uomini, quelle donne, quei bambini sono stati vittime di un vergognoso commercio, cui hanno preso parte persone battezzate, ma che non hanno vissuto la loro fede. Occorre che si confessi in tutta verità e umiltà questo peccato dell’uomo contro l’uomo, questo peccato dell’uomo contro Dio. Da questo santuario africano del dolore nero, imploriamo il perdono del Cielo”.

Ebbene, Francesco è come Wojtyla nella pastorale dei migranti e porta avanti la tradizione dei Padri della Chiesa nella sensibilità del Magistero verso le ingiustizie sociali all’origine delle migrazioni.

Non vi è nessuna discontinuità, evidenzia l’Avvocato Pitorri, pertanto nel magistero sociale ed economico di Papa Francesco rispetto a chi lo ha preceduto. È forte la convinzione di voler restituire ai poveri il primato nella vita pastorale della Chiesa e una conferma di ciò la troviamo nella scelta prioritaria per i poveri manifestata dall’intero episcopato latino-americano.

Avvicinarsi ai poveri, quindi, consente alla Chiesa di portare avanti, costantemente, la sua testimonianza. E Papa Francesco, indubbiamente, affronta il suo cammino pastorale rispettando questi principi, giorno dopo giorno.

Avvocato Iacopo Maria Pitorri