IL DIRITTO INTERNAZIONALE PER IL SOCCORSO IN MARE

By redazione

La legge sul soccorso in mare, spiega l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri, è estremamente complessa. E’ costituita dalla normativa di diritto internazionale, dalle leggi sul salvataggio in mare, oltre che da convenzioni di vario tipo e di  definizioni, quali “porto sicuro”, “porto vicino”, “Sar”. L’interpretazione di tutto ciò, evidenzia l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri, non è semplice e, comunque, influisce molto sul destino dei migranti.

E’, ormai, ben noto che la Libia non sia un “porto sicuro”. Dalla normativa sul soccorso in mare non è possibile avere chiaramente una definizione di “porto, ovvero luogo sicuro”. Le convenzioni, fa sapere l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri, non lo specificano. Il solo modo con cui si può provare a ricavarne una descrizione sono le linee guida dell’Organizzazione internazionale del mare (Imo), del 2004, che definiscono solo che cosa non è un “luogo sicuro”. Fa presente l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri, detti principi non sono vincolanti ed obbligatori; costituiscono, per lo più, una sorta di  raccomandazioni e strumenti di soft law. Stabiliscono, invero, che non si può sbarcare dove non sono garantiti alcuni diritti fondamentali, in particolare se a bordo ci sono persone che potrebbero beneficiare di ulteriori tutele (ad esempio, potenziali richiedenti asilo). Oltre ciò, continua l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri, il significato della dicitura “porto vicino”, non chiarito in nessuna altra disposizione normativa. Mentre, forse, geograficamente parlando, si può comprenderne il significato, giuridicamente no, atteso che l’espressione “più vicino” non è contenuta in nessuna convenzione, o trattato sul diritto internazionale del mare.

Nelle regole per il salvataggio in mare, spiega l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri, l’espressione sovente utilizzata dalla giurisprudenza internazionale sui naufragi è un’altra: minimum further deviation, cioè una “deviazione minima ulteriore” rispetto alla rotta originaria della nave che ha soccorso. Ciò per limitare i danni economici di mercantili e armatori e ridurre il lasso di tempo in cui un’imbarcazione inadeguata si trova a navigare sovraccarica di esseri umani. Una prima problematica nel dare applicazione pratica al concetto di “deviazione minima” nel Mediterraneo attuale, fa presente  l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri, è che, tecnicamente, le ONG non hanno una rotta originaria. Ciò perché a condurre le operazioni di ricerca e soccorso sono stati anche i pescherecci, che hanno, a loro volta, una rotta “variabile”. In questo senso, le navi delle ONG hanno, spesso, assunto una condotta simile a quella dei pescherecci.

Nel considerare, invece, la tempistica delle operazioni di salvataggio, ci si chiede spesso, in ragione delle norme,  quanto velocemente devono avvenire le operazioni di soccorso e, soprattutto, quelle di sbarco dei naufraghi. Ciò è avvenuto, per citare delle vicende, nei casi di Aquarius (scortata a Valencia dalla Guardia costiera nel giugno 2018),  della Diciotti (per giorni in attesa al porto di Catania), e dei diversi casi Sea Watch, incluso l’ultimo, che ha visto la comandante Carola Rackete, addirittura,  forzare l’ingresso in porto. I testi internazionali di legge, anche in ciò, non offrono risposte chiare. Dalla Convenzione Sar del 1979, tuttavia (pur con uno spazio aperto di interpretazioni), emerge la dicitura “non appena ragionevolmente praticabile”.

In buona sostanza,  fa presente l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri, il diritto internazionale del mare è composto da quattro convezioni internazionali, ovviamente  ratificate dagli ordinamenti nazionali: Solas di Londra 1974, Sar di Amburgo 1979, Convenzione Onu di Montego Bay 1982 e Salvage di Londra del 1989. La Solas è nata, in realtà, nel 1914 ed è stata modificata nel 1929, nel 1948, anche nel 1960, da ultimo nel 1974 (sempre con la nuova versione che sostituiva la precedente). Oltre ciò, chiarisce l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri, si aggiungono le linee guida dell’Organizzazione internazionale del mare del 2004, gli emendamenti alle convezioni Sar e Solas sul “place of safety” (non ratificati da Malta, per esempio), il codice della navigazione interno e il piano Sar nazionale della Guardia costiera, modificato nel 2015 (ma risalente al 1996). Vi sono, poi, le norme internazionali sui diritti umani.

Da tutto ciò, giurisprudenza inclusa, derivano punti fermi per tutti. Innanzitutto l’obbligo del soccorso in capo, in primo luogo, ai comandanti. L’obbligo per gli Stati di dotarsi di efficienti dispositivi di ricerca e soccorso con risorse pubbliche e, solo in casi straordinari, attingendo a quelle private, per poter pattugliare un’area dichiarata unilateralmente, ma cooperando con gli altri Stati costieri per evitare che ci siano i cosiddetti “buchi neri” in mare, dove nessuno interviene. Da ultimo, il principio di non respingimento sancito dalla Convezione di Ginevra.

Questo sulla carta,  fa presente l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri. Dal punto di vista pratico, tuttavia, emergono costantemente una serie di problemi e difficoltà che investono, sovente, più di uno Stato. Chi indica il porto? Chi lo offre? Di chi è la responsabilità principale? Le convenzioni chiariscono che, generalmente, è dello Stato responsabile dell’area Sar in cui è avvenuto il naufragio, ma in realtà tutte le nazioni coinvolte possono offrire un porto (la responsabilità è, quindi, congiunta).

 Relativamente a naufraghi e migrazioni l’Europa non ha un elenco dei “porti sicuri”. Mentre ce l’ha, invece, per i “porti rifugio” (Por). Esiste, infatti, una lista di località stilata dall’EMSA (European Maritime Safety Agency), che si occupa principalmente di sicurezza ambientale dei mari. I porti rifugio esistono perché la norma internazionale obbliga ad enumerarli. Sui naufraghi, però, questo non avviene per un motivo pratico. La nave che trasporta sostanze inquinanti (e che le sta riversando in mare), invero, fa presente l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri,  non può essere accolta ovunque, per ragioni infrastrutturali. Le persone soccorse, al contrario, possono essere trasbordate con dei gommoni, anche laddove non ci sia nemmeno molo. Le persone sbarcano ovunque: nelle spiagge, nei porti, sugli scogli. L’obiettivo nel caso degli esseri umani è di salvarli.  Restringere, pertanto il luogo di sbarco solo ad un elenco di città costiere e porti potrebbe comportare tempistiche più lunghe. Il problema è che, ad oggi, queste norme vengono interpretate e considerate solamente alla luce del “problema migranti”, però si applicano a tutti gli esseri umani.

Ulteriormente, evidenzia l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri, un concetto di non poco conto, che spesso crea rilevanti problemi, è quello della cosiddetta “zona grigia”, che, non di rado gli Stati sfruttano a proprio vantaggio. Infine, fa presente  l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri, al di là delle complesse interpretazioni di diritto, non di rado emergono anche i risvolti umanitari (come il contrasto con le attività dei trafficanti), le scelte politiche da intraprendere, gli interessi degli Stati e la difficoltà delle operazioni da gestire in mare.

                                                                         Avvocato Iacopo Maria Pitorri