Migranti, la musica come modello di integrazione

Migranti, la musica come modello di integrazione

By redazione

Uomini e culture diverse, immersi nei magici ritmi della musica, nata dalle note di una singolare orchestra di diciotto elementi, capace di passare dalle canzoni del mezzogiorno alla musica africana, dai toni giamaicani, al rap metropolitano, hanno, di recente, fatto notizia. Si tratta di musicisti professionisti e braccianti stranieri, che suonano insieme, coinvolti nel progetto dell’associazione ambientalista Terra (che si batte contro il caporalato), in apertura della quindicesima settimana d’azione dell’UNAR – l’Ufficio nazionale anti-discriminazioni razziali.

Un cantante nigeriano, un percussionista indiano, un chitarrista pugliese, un percussionista tunisino, un sassofonista lucano, un trombettista statunitense, un cantastorie francese hanno dato vita a straordinarie canzoni del mezzogiorno, a musica africana o giamaicana. Un laboratorio di integrazione, un modello di riscatto, una denuncia in musica della piaga che affligge tante campagne meridionali. “L’orchestra dei braccianti” ha portato tutta la sua carica di energia negli sfarzosi palazzi della politica, con un concerto trascinante nella sala polifunzionale della Presidenza del Consiglio, in occasione dei progetti e delle iniziative relative alla quindicesima Settimana d’azione contro il razzismo (svoltasi fino al 24 marzo scorso), dal tema “Diversi perché unici”.

Le discriminazioni non sono ancora superate. Razzismi di ogni genere permangono ancora oggi, denuncia, con la musica, l’Orchestra dei braccianti, che è stata capace di realizzare una profonda fusione tra le differenti culture.Così scorrono la canzone napoletana Cicirinella, riarrangiata dal polistrumentista tunisino Marzouk Mejri (che nel suo paese promuove tra i contadini di Tebourba la coltivazione di antichi cereali biologici). O una ballata d’amore del Punjab, scritta da Poppi Alaudipuria (magazziniere indiano in un’impresa agricola in Puglia, dopo anni di lavoro a ore). Poi Kingston, pezzo jamaicano del cantautore franco-italiano Sandro Joyeux (che dopo anni a studiare musica etnica in Africa, è accolto come una star ogni volta che suona nelle baraccopoli o nei Cara d’Italia). O una ballata pugliese come: “U’ suprastante”, antica storia di caporali, riscoperta e suonata dall’etnomusicologo pugliese Salvatore Villani. E il rap di Adams, bracciante dal Gambia che vive nel ghetto di Borgo Mezzanone. O Il soul di Joshua Ojomon, nigeriano albino. Il coordinatore artistico dell’Orchestra, Alessandro Nosenzo, è un cantautore pescarese, che, incontrando Joyeux, ha avuto l’idea di questo originalissimo progetto.

La particolare orchestra nasce dal bisogno di testimoniare anche il presente, vale a dire ciò che accade tutti i giorni sui nostri territori, attraverso lo sfruttamento selvaggio del caporalato. È inconcepibile, invero, che nel 2019 ci siano ancora persone “schiavizzate” per raccogliere i prodotti che arrivano sulle nostre tavole. Questa orchestra ha restituito dignità a persone cui era stata negata, e riesce a comunicare dove non arrivano discorsi e lezioni. Basti pensare che a Cerignola, quando ha suonato per i ragazzi delle scuole, dopo il concerto gli alunni hanno fatto a gara per farsi i selfie con i braccianti-musicisti.

Avv. Iacopo Pitorri