Migranti e moda
Marzo 26, 2019
Nel 1976 ben trenta donne di un quartiere di Milano (quasi tutte casalinghe), hanno rivendicato il diritto di poter accedere anche loro ai corsi di formazione per la licenza media: certamente una faticosa conquista, ottenuta dalla lotta operaia di quegli anni. Moglie, madri, quasi tutte arrivate dal Sud Italia, le immigrate di una volta. Il loro lavoro a tempo pieno per la famiglia è stato spesso dato per scontato. Nel momento in cui, quindi, hanno trovato uno spazio per riunirsi, studiare e raccontarsi, per loro si é aperto un sipario che non sarebbe mai più calato.
Qualche tempo fa, dopo oltre 40 anni, sempre a Milano, presso il centro di produzione artistica Mare Culturale Urbano (gruppo di professionisti mossi dall’ambizione di creare un qualcosa che non esiste, con competenze nei campi dell’arte, della progettazione sociale, della ricerca e sviluppo, della comunicazione), venticinque donne immigrate hanno realizzato un workshop di sartoria che é stato presentato, nel 2017, alla nota settimana della “fashion week” milanese. L’etichetta di moda nata da quell’esperienza ha portato il nome “Senza peli sulla lingua”.
Non vi è dubbio che quelle donne migranti – spesso represse a causa del loro trascorso – abbiano potuto esprimersi liberamente sui capi d’abbigliamento, che, invero, hanno riportato graffianti espressioni: “Comprati un paio di mani”, “Amare non è un lavoro”, “Ho altro da fare” (in arabo e in italiano, sulle magliette). Hanno avuto, per meglio dire, in Italia, una possibilità: un corso nato per insegnare alle partecipanti a creare nuove possibilità di reddito attraverso alcune tecniche per reinventarsi nel mondo del lavoro.
Di contro agli uomini occupati nei campi o in fabbrica, invero, le mogli migranti (con molti figli a cui badare, prive di aiuto, con la fatica a trovare lavoro, spesso a causa del razzismo, senza tempo per dedicarsi a sé stesse), sono state certamente le protagoniste di un progetto di grande rilievo, atto a porre le basi per costruire un nuovo modello di comunità, alternativo a quello razzista, classista e individualista.
Appare, allora, di palmare evidenza come il fenomeno immigratorio costituisca una realtà incisiva e imprescindibile, che si sia andata sempre più sviluppando negli ultimi anni, fino ad oggi. Basti pensare che archiviata la settimana della moda, cioè la celeberrima e “chicchissima” MFW, Milano fashion week, la sfilata-corteo dello scorso 2 marzo 2019 ha dato luogo alla MRCW, vale a dire alla Milano radical chic week, nella Milano dei salotti bene. Così sotto l’hashtag “primalepersone” è sfilata la passerella di coloro che, almeno in apparenza, stanno dalla parte degli ultimi perché pensano di essere i migliori e quindi manifestare per i poveri è un capriccio irrinunciabile. Queste persone vedono l’immigrazione in un altro modo, con altri occhi, senza percepire realmente l’importanza della questione migratoria ed eludendo un pensiero fondamentale: al di là dei numeri, dei colori, delle nazionalità e delle bandiere vi sono degli esseri umani, con un vissuto alle spalle permeato da dolore e sofferenze, tribolazioni e stenti, amarezza e sacrifici, disagio e fatiche.
Avvocato Jacopo Pitorri