Da un’accurata analisi degli ultimi dati dell’ISPI (l’Istituto italiano per gli studi di politica internazionale, specializzato in analisi geopolitiche e delle tendenze politico-economiche globali), l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri ha rilevato che, a causa del (primo) “Decreto Sicurezza” (il dl n.113 del 2018, convertito nella legge n.132 del 2018) entrato in vigore lo scorso 5 ottobre, più che in riferimento ai migranti che sbarcano sulle nostre coste, trasportati sulle navi umanitarie, è sul territorio del nostro Stato che si avvertono effetti e problemi derivanti dalle disposizioni dello stesso decreto.
Dalle stime dell’ISPI, basate sui dati del Ministero
dell’Interno, infatti, emerge come tra giugno 2018 e aprile 2019 circa
cinquantunomila stranieri siano “diventati nuovi irregolari, in Italia”. Di
questi, tra gli undicimila e i tredicimila sarebbero conseguenza diretta del
decreto. Il nucleo focale del provvedimento
si sostanzia nella eliminazione della protezione umanitaria, quella alla
quale più frequentemente, negli anni, hanno fatto ricorso le commissioni
territoriali incaricate di valutare le richieste di asilo dei migranti.
All’aumento dei dinieghi corrisponde un aumento degli allontanamenti dai centri
di accoglienza cui, tuttavia, non corrisponde un eguale aumento di rimpatri. In
buona sostanza, al migrante che non ha più i requisiti per restare sul nostro
territorio viene, in genere, messo in mano un foglio di via con l’ingiunzione
di lasciare il Paese. Conseguentemente, in assenza di controlli, è solo una
piccola parte di stranieri che osserva l’obbligo impartitogli. La maggioranza
finisce per strada, allo sbando. In più i rimpatri sono complessi e costosi. Ulteriormente,
specifica l’Avvocato Pitorri, quelli non volontari presuppongono un accordo con
il Paese d’origine. Al momento per l’Italia ne sussistono soltanto quattro.
A dicembre 2020, probabilmente gli irregolari, in Italia, saranno 718 mila. Cosa estremamente preoccupante se si pensa che, molto spesso, da un “invisibile”, puo nascere un “criminale”.
Biagio Conte, il missionario laico diventato il simbolo della Palermo che grida la solidarietà verso il prossimo, per protestare contro il rimpatrio di Paul, il ghanese ospite da un decennio della Missione “Speranza e Carità” al quale era stato notificato un decreto di espulsione, ha praticato il digiuno per ben sedici giorni, sotto la sorveglianza di Padre Puglisi. Giorni che non sono trascorsi invano, fa sapere l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri, da sempre impegnato nei confronti dei migranti, atteso che il TAR ha sospeso il decreto di espulsione per Paul.
Anche la ex attrice Claudia Koll, fondatrice dell’associazione onlus “Le opere del padre”, ha voluto incontrare nella città siciliana, il famoso missionario laico, che non ha esitato, per solidarietà verso chi è meno fortunato di noi ad intraprendere uno sciopero della fame per contrastare il provvedimento di espulsione dall’Italia del cinquantunenne del Ghana, a Palermo dal 2010.
Si tratta, senza dubbio, spiega l’Avvocato Pitorri, di un
altro caso da prendere ad esempio, che fa accendere i riflettori sulle
problematiche che riguardano i migranti.
Il missionario laico Biagio Conte, tra l’altro, da tempo va
professando “una sanatoria per gli immigrati da tempo soggiornanti a Palermo e
che si sono comportati bene”. Propone la realizzazione di detto progetto
attraverso l’utilizzazione di tre principali canali: il lavoro messo in
regola nei settori, laddove vi è una grave carenza di personale sia italiano
che straniero; il servizio reso e garantito presso un’associazione di
volontariato, che operi in Italia per soggetti deboli; la partecipazione
resa e garantita insieme a una missione, ovvero un’associazione collegata a
progetti di aiuto e di crescita, preferibilmente da praticarsi negli stessi
paesi da cui vengono i migranti, facendo partecipare congiuntamente sia
italiani che migranti.
Persone dotate di un simile spirito di altruismo e solidarietà, evidenzia l’Avvocato Pitorri, andrebbero aiutate, ascoltate, sostenute. Già un anno fa Biagio Conte si è reso protagonista di una vicenda, meritevole di attenzione. Fondatore della Missione Speranza e Carità, ha presentato nella chiesa dei Decollati, a Palermo, nell’agosto del 2018, l’iniziativa “Siamo tutti sulla stessa barca”: il suo appello per l’accoglienza dei migranti, manifestatasi con una barca di cartone, appunto, che tiene uniti i bimbi di diversa nazionalità che sulla navata centrale raggiungono insieme l’altare, mentre rotola un grande mappamondo. Il missionario ha voluta fare propria l’affermazione di Papa Francesco: “Non muri ma porti”. Ed ancora: “Non chiudiamo il cuore a chi ci porge la mano e ci chiede aiuto. Ricordiamoci che siamo tutti stranieri in terra straniera”. I bambini hanno, quindi, intonato un canto dal titolo “Dieci, cento, mille voci” con il ritornello: “Africani, europei, americani, asiatici, come sarebbe bello essere tutti amici, vivere in armonia, giocare tutti insieme, ridere in compagnia; allora diamoci la mano cantiamo insieme e formiamo un coro di dieci, cento, mille voci”.
Ciò che ha colpito l’opinione pubblica, in quel contesto, è stato però lo striscione portato con fierezza da due bambini, con la scritta: “Insieme per costruire un mondo migliore”.
Qualche giorno fa, il sequestro della nave Sea Watch 3 (la nave battente bandiera dei Paesi Bassi, gestita dall’organizzazione non governativa SeaWatch, con sede a Berlino), a seguito dello sbarco a terra dei quarantasette naufraghi che, da giorni, si trovavano in navigazione a circa un miglio dall’isola di Lampedusa, ha dato luogo a diverse polemiche. L’Avvocato Iacopo Maria Pitorri, da sempre sensibile nei confronti dei migranti, fa presente che dalle stime dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, riportate anche in una nota del Viminale, emerge una discrepanza tra dispersi e numero di corpi ritrovati. Solo a considerare i dati del 2015, per esempio, evidenzia il Ministero dell’Interno che nel 2015 i cadaveri recuperati sono stati 296, a fronte di una stima di 3.771 scomparsi. Nel 2016 sono stati 390 (e 5.096 i dispersi stimati). Nel 2017 sono stati 210, a fronte di 3.139 e nel 2018 sono stati recuperati 23 corpi senza vita, di contro a 2.277 scomparsi in mare. Ulteriormente, i dati precedenti al 2019 sono riferiti a un anno intero, mentre quelli di quest’anno solo ai primi 4 mesi. I report statistici elaborati dall’Organizzazione mondiale delle migrazioni (OIM) riportano che da gennaio a oggi, le vittime sulla sola rotta del Mediterraneo centrale si stima siano state trecentosedici. A maggio ben cinquantasei. In un Mediterraneo che è stato ormai svuotato di testimoni, in assenza del necessario coordinamento dei soccorsi, è diventato ancora più difficile pattugliare, svolgere salvataggi e recuperare corpi senza vita per le uniche tre navi umanitarie (a dispetto delle oltre venti che operavano nel 2015 nel Mediterraneo) che provano ancora a soccorrere naufraghi nel Mediterraneo. Da ultimo, vi è poi alla pericolosità della rotta Libia-Italia. Non può omettersi di considerare, invero, che se le partenze sono diminuite e il numero di morti e dispersi, 316, è già vicino alla cifra 383 dei primi cinque mesi del 2018, significa che in realtà è cresciuto il tasso di mortalità sulla rotta del Mediterraneo centrale.
Analizzando i dati pubblicati recentemente dal
Viminale, l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri ha avuto modo di constatare che, al
di là degli sbarchi cosiddetti “ufficiali”, in Italia, da diversi mesi, vi è un aumento degli approdi illegali, che
avvengono con piccoli gommoni veloci, ovvero barchini in vetroresina, che
trasportano circa dieci, quindici persone alla volta. Questi piccoli natanti,
ovviamente, sfuggono ad ogni tipo
di controllo, approdando indisturbati sulle nostre spiagge, oppure nei tratti di costa non sorvegliati.
Mentre, quindi, il
Ministero dell’Interno persiste nella sua politica dei “porti chiusi”, è emerso
che ci sono altre migliaia di stranieri che giungono sulle nostre coste senza
alcun ostacolo. Sono i cosiddetti “sbarchi fantasma”, che aumentano in modo vertiginoso. Spiega
l’Avvocato Pitorri che a confermarlo
sono gli stessi dati del Viminale: al 31 dicembre 2018 risultano effettuati ben
341 sbarchi e arrivate 5.999 persone. Di queste, 2.331 sono state trovate
appena scese dai barchini e altre 3.668 sono state rintracciate a terra. Vi
sono, poi, anche quelle che sono riuscite a non farsi individuare e che,
verosimilmente, potrebbero essere almeno
altre 2.000.
Non vi è dubbio che attraversano il Mediterraneo, ma soltanto una
parte arriva dalla Libia. Altri sono gli Stati dove vengono organizzate le
partenze (pertanto è diverso anche l’approdo). Attraverso gli interrogatori di
chi è stato rintracciato, le indagini contro i trafficanti e gli accertamenti
svolti grazie al pattugliamento del mare, si è scoperto che sono quattro le
rotte battute. Un punto di ritrovo è in Grecia, e chi si imbarca lì arriva in
Puglia. Alternativi ai “punti di ritrovo” libici sono quelli della Tunisia,
dove le organizzazioni criminali talvolta si spostano (proprio per evitare i
controlli). Giungono tutti in Sicilia, a Lampedusa, ma molti anche nell’isola
di Pantelleria. Chi si muove dall’Algeria punta, invece, dritto verso la Sardegna,
mentre dalla Turchia l’approdo più diretto è quello della Calabria.
L’anno scorso sono stati 1.229 gli stranieri arrivati in questo modoin
Sicilia, e ben 659 sono stati fermati al momento in cui hanno toccato terra in
Puglia, 275 in Calabria e 168 in Sardegna. Poi ci sono coloro che sono stati
rintracciati, addirittura, giorni dopo lo sbarco: 2.157 in Sicilia, 634 in
Calabria, 585 in Sardegna, 292 in Puglia. Numeri ben più alti di quelli
trasportati sulle imbarcazioni delle ONG, o sulle navi militari, di cui non si
sa nulla, se non quando vengono ritenuti “irregolari” e chiusi nei centri di
identificazione per il rimpatrio.
Le recenti
notizie dei media, racconta l’Avvocato Pitorri, confermano, quanto sopra. Continuano, infatti, a partire, senza sosta, e ad arrivare
inosservati. Gli ultimi cinquantasette sono approdati l’altra mattina, alle
quattro, a Lampedusa. I migranti
provenivano da Marocco, Algeria, Siria, Libia, Gambia e Bangladesh. L’imbarcazione, partita dalla Libia è, incredibilmente,
arrivata a destinazione senza essere intercettata da nessuno. Anche un’altra
imbarcazione, di recente, è approdata a Lampedusa. A bordo marocchini,
algerini, senegalesi ma anche cittadini libici fuggiti dalla guerra.
Nel corso del mese di maggio 2019 sono ben nove, con
centotrenta migranti, le imbarcazioni approdate in Italia; duecentottanta
quelle intercettate dalla guardia costiera libica. Il flusso delle partenze è,
dunque, ripreso, incessante, in un momento in cui nel Mediterraneo non c’è
alcuna nave umanitaria.
Recentemente vi è stato anche un altro sbarco di migranti nel corso
della notte sulle coste del Sulcis. Due barchini sono arrivati a Teulada e a
Porto Pino, nel Sulcis, rispettivamente con otto e cinque migranti di
nazionalità algerina fermati dai Carabinieri della Compagnia di Carbonia.
Sembra, però, vi sia un numero ancora più elevato di migranti: altri barchini,
invero, sono stati intercettati in mare dalla Guardia di Finanza e dalla
Guardia Costiera. Tutti sono stati portati al Cpa di Monastir, per le
operazioni di identificazione da parte della Polizia.
Da ultimo, ancora uno sbarco sulle coste italiane, il decimo in
quarantotto ore. Cinquantaquattro migranti, tutti uomini, e tutti di
nazionalità pachistana, sono sbarcati nel porto di Crotone dopo essere stati
soccorsi, la notte scorsa, da un pattugliatore della Guardia di Finanza, al
largo delle coste di Isola Capo Rizzuto, nel Crotonese. Due cittadini russi,
ritenuti gli scafisti dell’imbarcazione, sono stati arrestati. I migranti, che
erano a bordo di un veliero battente bandiera statunitense alla deriva, sono
stati raggiunti da due unità navali dei Roan di Vibo Valentia e una del Roan di
Taranto. L’equipaggio di uno dei pattugliatori ha avvicinato, quindi trainato
il veliero, fino a portarlo nel porto della città calabrese.
Le cinquantaquattro persone sono state condotte nel centro di accoglienza di Sant’Anna di Isola Capo Rizzuto. Dalle prime informazioni raccolte i migranti sarebbero salpati da Bodrum, in Turchia.
La “legittima difesa” è, generalmente, la
risposta ad una esigenza naturale, ad un istinto che induce l’individuo
aggredito a difendersi, respingendo l’aggressione ad un proprio bene tutelato.
Chiarisce l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri,
esperto di diritto penale, che il relativo istituto si colloca fra le cause di
giustificazione previste dal nostro ordinamento (che escludono, già dal
punto di vista obiettivo, la configurabilità di un fatto di reato). E’
disciplinato dall’art. 52 del codice penale il quale dispone che: “Non è
punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità
di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di
un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”.
I requisiti principali della “legittima difesa
sono: la “attualità del pericolo”
e la “ingiustizia dell’offesa”.
Con riferimento al pericolo, non si deve trattare
né di un pericolo passato (posto che, in tal caso, non si avrebbe più alcuna
necessità di prevenire un’offesa), tantomeno di un pericolo futuro (atteso che,
qualora così fosse, sarebbe possibile ricorrere all’intervento delle Autorità).
E’ necessario, quindi, un pericolo attuale, presente, incombente al
momento del fatto, tale che la reazione nei confronti dell’aggressore
rappresenti l’unico mezzo per salvaguardare il bene posto in pericolo.
Per quanto concerne il concetto di offesa ingiusta, secondo
l’interpretazione tradizionale, è considerata ingiusta la offesa arrecata contra
jus, cioè antigiuridica, posta in essere in violazione delle norme che
tutelano il bene minacciato. Affinché, l’offesa, realizzata attraverso l’azione
difensiva, possa ritenersi giustificata sono necessari anche determinati requisiti con riferimento
alla reazione. Deve, infatti, apparire
necessaria per salvaguardare il bene posto in pericolo, ossia inevitabile,
quando cioè non può essere sostituita da un’altra reazione meno dannosa ed
ugualmente idonea ad assicurare la tutela dell’aggredito.
Il secondo requisito, è quello della
proporzione tra difesa ed offesa, da intendersi riferita ai beni giuridici in
gioco, non ai mezzi utilizzati: si riscontra nel momento in cui la offesa
arrecata è inferiore, uguale o tollerabilmente superiore a quella posta in
essere dall’aggressore.
La legittima difesa, evidenzia l’Avvocato
Pitorri, rappresenta senz’altro il punto
di arrivo di un percorso evolutivo lungo e complesso, che ne ha radicalmente
mutato caratteristiche e limiti, pur mantenendo immutato nel tempo il principio
base dell’istituto, ossia il diritto di chiunque di difendere la vita propria e
altrui da ingiuste aggressioni.
A fronte dei numerosi delitti efferati, commessi
soprattutto all’interno di luoghi di privata dimora e alle conseguenti reazioni
delle parti offese, è costantemente acceso un vivo dibattito, nell’opinione pubblica, relativamente alle
funzioni della legittima difesa ed alle sue problematiche. Questo ha avuto come
esito diverse proposte di modifica dell’istituto, finalizzate tutte a
consentire un’estensione dell’ambito di applicabilità della scriminante, tale
da permettere maggiore protezione giuridica ai privati che si trovano ad essere
aggrediti nei propri interessi personali e patrimoniali.
La disciplina del codice sulla legittima difesa è
stata modificata con la L. 13 febbraio 2006 n. 59, la quale ha introdotto la
c.d. legittima difesa “domiciliare”, aggiungendo all’art. 52 c.p. due
nuovi commi destinati a regolamentare l’esercizio del diritto di autotutela in
un privato domicilio. Più specificamente, il secondo comma, prevedeva che :“Nei
casi previsti dall’articolo 614, primo e secondo comma, sussiste il rapporto di
proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno
legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma
legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere: a) la
propria o la altrui incolumità; b) i beni propri o altrui, quando non vi è
desistenza e vi è pericolo di aggressione”. Il terzo comma, invece,
stabiliva che :“La disposizione di cui al secondo comma si applica anche
nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga
esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale”.
Detta novella, è stata introdotta nel 2006 a
seguito di alcuni fatti di cronaca aventi ad oggetto furti e/o rapine in
esercizi commerciali ed abitazioni, e che hanno visto le persone offese dei
riferiti reati reagire “per legittima
difesa, con l’uso di armi da
fuoco, provocando la morte degli autori.
Particolare rilevanza è stata data alla modifica
del requisito della proporzione , nel senso che quando la reazione difensiva è
diretta nei confronti di un intruso, in un luogo di privata dimora, il giudice
è esonerato dal verificare in concreto la proporzionalità tra offesa e difesa,
dovendo questo essere considerato, in tali casi, legislativamente presunto
juris et de jure. Rileva l’Avvocato Pitorri, la riforma, sin dall’inizio, ha
suscitato reazioni contrastanti, posto che se da un lato ha contribuito ad
ampliare l’ambito di applicabilità della disciplina (tutelando, in misura
maggiore, le aggressioni all’interno dei luoghi di privata dimora), dall’altro
lato si è verificato il rischio che producesse al contrario, un incentivo alla
aggressività dei delinquenti, offrendo maggiori spazi di aggressività difensiva
alle potenziali vittime.
Stante, purtroppo, il moltiplicarsi di episodi di
violenza, nell’odierna società, ci si è visti costretti, pertanto, ad
affrontare nuovamente la tematica della
legittima difesa. “La difesa è sempre legittima”: su detto assunto verte
il testo di legge approvato in via definitiva,
recentemente, dal Senato lo scorso 28 marzo 2019.
La nuova riforma in materia di legittima difesa
prevede un inasprimento del trattamento sanzionatorio per alcuni tra i più
comuni reati, commessi in occasione di aggressioni nel domicilio (tipo furto,rapina eviolazione di domicilio). Se ne deduce, conferma l’Avvocato
Pitorri, che l’idea principale del Legislatore è quella di rendere
il più possibile immune da responsabilità e conseguenze sfavorevoli, colui che
si difende da un’aggressione nel domicilio, inteso quale abitazione, o altro
luogo di privata dimora, compresi quelli in cui vengono svolte attività commerciali,
professionali o imprenditoriali.
Chiarito, quindi, che la riforma riguarda
solo la legittima difesa domiciliare, il Senato ha provveduto, nello
specifico, ad approvare alcuni seguenti articoli. Innanzitutto l’articolo
1 del provvedimento, atto a modificare il comma 2 dell’art. 52 c.p.,
disponendo che, nel caso in cui una persona presente legittimamente
nell’abitazione altrui, o in un altro luogo di privata dimora, utilizzi un’arma
(che deve essere, ovviamente, detenuta legittimamente0), per difendere la
propria o l’altrui incolumità, nonché i beni propri o altrui,
dal “pericolo di un’aggressione”, la sussistenza della proporzionalità tra
offesa e difesa è sempre riconosciuta. La modifica poggia sul ritenere “sempre”
sussistente il rapporto di proporzionalità tra la difesa e l’offesa. L’ articolo 2 rappresenta il punto
focale della riforma, in quanto introduce il concetto di “grave
turbamento” tra le cause di non punibilità, apportando delle
modifiche all’articolo 55 c.p., che: “Quando, nel commettere alcuno dei fatti
preveduti dagli articoli 51, 52, 53 e 54, si eccedono colposamente i limiti
stabiliti dalla legge o dall’ordine dell’Autorità ovvero imposti dalla
necessità, si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi, se il
fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo”. L’articolo 3 del
provvedimento, da ultimo, nel modificare l’articolo 165 c.p., prevede che nei
casi di condanna per furto in appartamento, e furto con strappo (art. 624-bis
c.p.), la sospensione condizionale della pena sia subordinata al pagamento
integrale dell’importo dovuto per il risarcimento del danno alla persona
offesa.
Oltre alle suddette modifiche, il provvedimento è
intervenuto anche specificamente per alcune tipologie di reato. In
particolare, nella fattispecie di cui all’art 614 c.p. (violazione di
domicilio), la reclusione da sei mesi a tre anni viene sostituita con
la reclusione da uno a quattro anni e, nell’ipotesi aggravata di cui
al quarto comma, la reclusione da uno a cinque anni viene sostituita con
la reclusione da due a sei anni.
Per quanto concerne invece, l’art. 624-bis c.p.
(furto in abitazione), la pena detentiva passa “da tre a sei anni” a “da
quattro a sette anni” e, nei casi più gravi previsti dal terzo comma, é
applicata la pena “da cinque a dieci anni e della multa da euro 1.000 a euro
2.500”.
Con riferimento, poi, al delitto di cui all’art.
628 c.p. (rapina), viene innalzato da quattro a cinque anni il minimo
edittale della reclusione per la rapina semplice, resta, però, fermo il massimo
fissato a 10 anni.
Per le ipotesi aggravate e pluriaggravate, di cui rispettivamente al terzo comma e al quarto comma dell’articolo 628 c.p., il disegno di legge prevede un analogo inasprimento sanzionatorio. In particolare per la rapina aggravata la pena della reclusione è elevata nel minimo da cinque a sei anni (il massimo resta fissato a 20 anni) e la pena pecuniaria è rideterminata da 2.000,00 a 4.000,00 euro . Per le ipotesi pluriaggravate la pena della reclusione è elevata nel minimo da sei a sette anni (il massimo resta fissato a 20 anni) e la pena pecuniaria è rideterminata da 2.500,00 a 4.000,00 euro .Le modifiche intervenute, tuttavia, non hanno il potere di scongiurare completamente il pericolo: nel senso che, probabilmente, il malintenzionato che vuole introdursi furtivamente nell’appartamento altrui continuerà a farlo, nonostante l’inasprimento del trattamento sanzionatorio. Introducendo l’elemento psicologico del grave turbamento, quale scriminante determinante nell’eccesso colposo, in più, viene data ampia discrezionalità alla Magistratura, che deve valutare/interpretare se colui che si è difeso con la propria arma, legittimamente detenuta, si trovava in uno stato di agitazione tale da giustificare la sua condotta. Quella del “grave turbamento” è senz’altro una prova estremamente difficile da produrre, perché soggetta a presunzioni oggettive.
La tutela delle
minoranze linguistiche va affrontata, oltre che dal punto di vista del diritto,
considerando anche la storia, la geografia, la letteratura e la sociologia, pur
in considerazione della riscoperta delle identità regionali e locali in un sistema
socio-culturale-politico sempre più “globalizzato”. Se è compito del
legislatore, quindi, emanare le norme in materia di lingua, compete invece all’antropologo, al sociologo, allo storico,
stabilire quale sia lingua e quale dialetto.
Evidenzia l’Avvocato
Iacopo Maria Pitorri che le numerose sentenze della Corte costituzionale, che
si sono susseguite in materia di minoranze linguistiche, confermano la tesi in forza della quale non
si possono equiparare i dialetti italiani (il friulano, il piemontese, il
lombardo, ecc.) alle minoranze linguistiche tutelate dalla Costituzione e dalla
legge n. 482/99, che costituiscono un patrimonio culturale specifico.
L’ordinamento giuridico, tuttavia, nel riflettere la pluralità degli interessi
presenti nella società (tra i quali, appunto, quelli minoritari), non esclude
di riconoscerne, in ampia misura la legittimità, e mira a regolare altresì i
conflitti che ne conseguono. Ne consegue che la disciplina giuridica delle
minoranze esercita significative ripercussioni su alcuni problemi derivanti
dalla teoria generale del diritto. A tale proposito giova precisare che l’art.
6 sulle etnie linguistiche minoritarie, è uno dei più brevi dell’intera Costituzione,
tant’è vero che dispone semplicemente che “la Repubblica tutela con apposite
norme le minoranze linguistiche”. Oltre ciò, chiarisce l’Avvocato Pitorri, ha
trovato la sua attuazione oltre cinquant’anni dopo l’entrata in vigore della
nostra Carta Costituzionale, con la legge 15 dicembre 1999, n. 482. Specifica
l’Avvocato Pitorri che la norma si riferisce alla Repubblica, in quanto
l’obbligo di tutelare le minoranze linguistiche abbraccia anche gli enti
territoriali e rappresenta una diretta applicazione dell’art. 3, vietando ogni
forma di discriminazione basata sulla diversità della lingua, e dell’art. 2,
atteso che, in attuazione dei principi di pluralismo e di tolleranza, prevede
una tutela positiva delle minoranze etniche, atta a salvaguardare la loro
identità culturale, nonché a consentire una effettiva partecipazione anche di
questi gruppi alla vita politica e sociale del Paese.
L’Avvocato
Pitorri spiega che, analizzando il
concetto di tutela giuridica dei gruppi sociali minoritari, non ci si può
esimere dal considerare due principi propri di un ordinamento giuridico
democratico: il principio di eguaglianza e il principio di pluralismo. Più
segnatamente, la connessione tra la disciplina giuridica dei problemi
minoritari e il principio di eguaglianza è di tale importanza che i risultati
dell’indagine giuridica relativi al tema trattato si ripercuotono, in qualche
misura, sull’elaborazione teorica del suddetto principio, la cui esatta portata
non può essere pienamente intesa, né tracciata senza tenere conto del modo in
cui esso funziona in relazione alle situazioni minoritarie. Fa presente
l’Avvocato Pitorri, che la cultura dei
gruppi minoritari, essendo diversa da quella della maggioranza, non può
svilupparsi se non è protetta da provvedimenti legislativi particolari e
derogatori rispetto a quelli adottati in via generale con riferimento alla
cultura maggioritaria. Le misure che realizzano la tutela delle minoranze
linguistiche, pertanto, consistono nel porre accanto alle regole che facilitano
l’uso delle lingue minoritarie ulteriori regole che valgano ad evitare che tale
uso si risolva, per chi lo pratica, in un qualsiasi pregiudizio. Si ritiene che
vi sono diverse modalità per sostenere la diversità. Uno di questi è,
osservando il diritto all’informazione, quello di promuovere il diritto alla
cultura e all’istruzione nella lingua madre, insieme a diverse forme di dialogo
interculturale.
Relativamente alle
minoranze linguistiche, l’accesso ai mezzi di comunicazione diventa, allora,
funzionale alla realizzazione di una pluralità di obiettivi, fra i quali, la
diffusione di informazioni nella lingua minoritaria; la diffusione di
informazioni relative alla cultura e alle tradizioni dei gruppi minoritari a
tutti; la promozione della partecipazione attiva e consapevole degli
appartenenti alla minoranza linguistica alla realtà sociale in cui vivono.
Le ragioni della
tutela delle minoranze linguistiche trovano riscontro nel fatto che gli uffici
pubblici debbano essere organizzati in modo da poter comunicare con coloro che
usano una lingua minoritaria (qualunque sia il numero di questi soggetti).
Per quanto riguarda la
tutela linguistica nel diritto internazionale, il mantenimento e la
trasmissione della lingua sono previsti, in forma indiretta, dalla Convenzione
UNESCO (art. 1), dalla Carta delle Nazioni Unite (art. 1 par. 3), dal Patto
internazionale sui diritti civili e politici (art. 27), dalla
Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (art. 2 par. 1), e a livello
europeo dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (art. 14), riflettendo
soprattutto l’obbligo di non discriminazione, e tralasciando la valorizzazione
dell’identità linguistica.
Porgendo lo sguardo
all’Europa, un utile strumento alle minoranze linguistiche ci viene offerto
dall’art. 3, comma 3, TUE, il quale afferma che l’Unione “rispetta
la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica e vigila sulla
salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale
europeo”. Le Convenzioni che, invece, trattano la questione sui
diritti linguistici in modo più specifico sono quelle approvate dal Consiglio
d’Europa, e sono la Carta europea delle lingue regionali o minoritarie (1992) e
alcune disposizioni della Convenzione-quadro sulla tutela delle minoranze
nazionali (1995).
La Carta europea, dispone che “la protezione delle lingue regionali o minoritarie storiche dell’Europa, alcune delle quali rischiano di scomparire col passare del tempo, contribuisce a conservare e a sviluppare le tradizioni e la ricchezza culturali dell’Europa”. Da detto punto di vista, rileva l’Avvocato Pitorri, che la ricerca di carattere giuridico tenda a qualificare la protezione delle minoranze come strumento per proteggere le identità culturali.
L’Agenzia europea della guardia di frontiera e
costiera, conosciuta anche come Frontex, è un’agenzia a cui è affidato il funzionamento del sistema di controllo
e gestione delle frontiere esterne dello Spazio Schengen e dell’Unione europea.
Ricomprende le autorità nazionali
competenti per il controllo delle frontiere (guardia costiera e guardia di
frontiera), facenti capo agli stati membri
dell’Unione europea aderenti allo
Spazio Schengen.
Il principale compito di Frontex, istituita con il
regolamento dell’Unione Europea n. 2016/1624, approvato dal Consiglio
dell’Unione europea il 14
settembre 2016, è quello di coordinare l’azione e gestire le risorse messe in
comune dalle autorità nazionali. L’agenzia ha iniziato ad operare il 6 ottobre
2016.
La funzione principale della
guardia costiera e di frontiera europea é quella di contribuire a una
gestione integrata delle frontiere esterne. Deve garantire una gestione
efficiente dei flussi migratori, contribuendo così ad assicurare la sicurezza
dell’UE. Contribuisce, anche, a salvaguardare la libera circolazione
all’interno dell’UE e a rispettare pienamente i diritti fondamentali. Al centro
delle sue attività ci sono la messa a punto di una strategia operativa per la
gestione delle frontiere e il coordinamento dell’assistenza da parte di tutti
gli Stati membri.
Per garantire
l’operatività dell’Agenzia il suo budget è in costante aumento: dai 143 milioni di euro, originariamente
previsti per Frontex per il 2015, si è passati ai 238 milioni per il 2016,
nonché ai 281 milioni per il 2017, fino a giungere a 322 milioni di euro nel
2020. Anche il personale dell’agenzia è in continua crescita, posto che i suoi
membri, da 402 membri nel 2016 diventeranno circa 1000 nel 2020.
L’Avvocato Iacopo Maria Pitorri ha rivolto la sua attenzione ad
una recente notizia riguardante Frontex, per cui, dal 22 maggio scorso, ben
cinquanta membri dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e
costiera, appartenenti ad undici paesi
dell’Unione europea, sono a fianco dei
loro colleghi albanesi al confine fra l’Albania e la Grecia, nella prima
missione in uno Stato non membro dell’Ue. L’Agenzia europea di guardia di frontiera
effettuerà, pertanto, una missione ospitata su territorio albanese.
Si
tratta, della prima volta che le forze della Guardia costiera e di frontiera
europea vengono dispiegate sul territorio di un Paese extra-Ue (i negoziati per
l’ingresso nell’Unione di Albania e Macedonia inizieranno il prossimo mese). Parliamo di uno dei punti caldi della
frontiera esterna per diversi crimini transnazionali: auto rubate, traffico di
droga e di armi, documenti falsi, minaccia terroristica oltre, ovviamente,
all’immigrazione irregolare. La frontiera meridionale albanese, infatti, è una
tappa obbligata sia per i migranti che seguono la rotta dei Balcani
occidentali, nel provenire da Turchia e dalle regioni orientali (per lo più siriani,
afghani, iraniani e iracheni), che per gli albanesi stessi che entrano in
Grecia illegalmente, alla ricerca di lavoro nero.
Il
commissario europeo per le migrazioni, gli affari interni e la cittadinanza,
che ha firmato con le autorità albanesi, lo scorso ottobre, l’accordo entrato
in vigore all’inizio del mese di maggio 2019, nel corso di una cerimonia
organizzata a Tirana ha dichiarato: “ciò
segna non solo una nuova fase per la cooperazione alle frontiere tra l’Unione e
i partner dei Balcani occidentali, ma rappresenta anche un altro passo verso la
piena operatività dell’Agenzia“.
L’Unione Europea ha negoziati in corso per raggiungere un simile accordo anche con gli altri paesi dei Balcani. Rammenta, invero, l’Avvocato Pitorri che l’accordo tra Bruxelles e Tirana, ratificato il 5 ottobre 2018 ed entrato in vigore lo scorso 1 maggio, è il primo degli accordi di cooperazione sulla gestione delle frontiere siglati tra l’Ue e gli altri Stato dei Balcani occidentali che entreranno in vigore nei prossimi mesi .Per il premier albanese Edi Rama, in virtù di questo accordo, il suo paese non può che contribuire alla sicurezza europea, dimostrando di essere un partner affidabile dell’Ue. Da qui l’aspettativa di Tirana, che spera, fin dal prossimo mese, di ottenere il via libera per l’avvio dei negoziati di adesione all’Unione.
Qualche giorno fa, durante l’Assemblea Generale della CEI (la
Conferenza Episcopale Italiana è l’assemblea permanente dei vescovi italiani), presieduta
da Papa Francesco, alla presenza dei vescovi giunti da tutta Italia, il Santo
Padre ha formulato una risposta estremamente perentoria nell’ascoltare una
delle domande che, costantemente è al centro di polemiche in ambito di politica
italiana. Quando, cioè, specifica l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri (che ha avuto
contezza della notizia dai media), è stato chiesto a Papa Bergoglio come poter
affrontare la questione dei migranti, lo stesso ha risposto con: “Risolvete voi
il problema!”. Successivamente, volendo chiarire la questione, ha detto: “È un
problema italiano, è vero, ma deve essere un problema europeo, di tutta
l’Europa e non di un singolo Paese come l’Italia che ha fatto tanto.” Evidenzia
l’Avvocato Pitorri che il Papa, nel rivolgersi ai vescovi ha citato l’esempio
della Svezia, sostenendo che un Paese ha il dovere di salvare vite umane in
mare, ma non può accogliere fino allo stremo, se non ha possibilità di
integrare chi arriva. “Se l’Italia non può accogliere, non può integrare, non
può dare i giusti servizi a chi arriva perché è ormai saturo, deve chiedere
anche agli altri Paesi europei di farlo”, ha aggiunto Papa Francesco.
Fa presente l’Avvocato Pitorri, che il Papa continua a criticare la chiusura dei porti, chiedendo l’abbattimento dei muri, adeguando nel contempo la sua posizione con il nuovo contesto europeo.
Quando, a fine marzo, il Pontefice è salito sull’aereo di
ritorno dal Marocco, ha affrontato la tematica dei migranti dicendo: “la Svezia
ha ricevuto gli immigrati con una generosità impressionante. Imparavano subito
l’idioma a carico dello Stato, trovavano lavoro, casa. Adesso la Svezia si
sente un po’ in difficoltà nell’integrare, ma lo dice e chiede aiuto”. Invita, quindi,
Papa Bergoglio ad una attenta riflessione, nell’accoglienza degli immigrati.
Relativamente alla chiusura delle frontiere il papa ha infatti sostenuto che :
“Non si può chiudere il cuore a un rifugiato, ma c’è anche la prudenza dei
governanti, che devono essere molto aperti a riceverli ma anche a fare il
calcolo di come poterli sistemare; non è umano chiudere le porte, non è umano
chiudere il cuore e alla lunga questo si paga, si paga politicamente, come si
paga politicamente anche una imprudenza nei calcoli e ricevere più di quelli
che si possono integrare”.
Parole giuste e sensate, che inducono ad esaminare accuratamente, a valutare adeguatamente molteplici aspetti, con saggezza e responsabilità, nell’affrontare le scelte più opportune da fare.
Parlando delle ONG, l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri spiega che si tratta di organizzazioni senza fini di lucro, che operano in maniera indipendente dai vari Stati e dalle organizzazioni governative internazionali. Esistono in tutto il mondo e portano avanti, con il loro operato, campagne dall’ineguagliabile valore umanitario.
Parlando delle ONG, l’Avvocato Iacopo
Maria Pitorri spiega che si tratta di organizzazioni senza fini di lucro, che
operano in maniera indipendente dai vari Stati e dalle organizzazioni
governative internazionali. Esistono in tutto il mondo e portano avanti, con il
loro operato, campagne dall’ineguagliabile valore umanitario. Se ne é sentito
parlare sovente, ultimamente, in tema di migranti. Le ONG denunciano i sempre
più frequenti casi di respingimento di migranti in Libia ad opera di navi
commerciali, che vengono coinvolte dalla Guardia costiera di Tripoli nel
soccorso delle imbarcazioni che partono e che riportano indietro i migranti
(nonostante la Libia non sia considerata un porto sicuro). Va certamente
evidenziato che le navi delle ONG nel Mar Mediterraneo, tra il 2014 e il 2017,
hanno tratto in salvo ben 114.910 persone, a fronte delle 611.414 soccorse, pari al 18,8% del
totale. Ciò, tuttavia, rileva l’Avvocato Pitorri, non ha impedito di avviare
quella che è stata definita una vera e propria campagna di screditamento e criminalizzazione
verso le ONG, equiparate addirittura a complici degli scafisti. Questo ha contribuito,
purtroppo, a rendere progressivamente impossibile la prosecuzione delle loro
missioni.
Spesso, però, le indagini sulle navi ONG hanno un esito positivo. Fa presente l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri (impegnato
quotidianamente nell’attività forense a favore anche dei migranti) che si è,
infatti, conclusa da poco l’ennesima inchiesta contro le ONG, con una richiesta
di archiviazione. La notizia è di grande rilievo, posto che a sottoscrivere il
documento è il procuratore di Catania, che, in più di un’occasione,
ha dichiarato di ritenere illegittimo
l’operato delle navi umanitarie.
Il comandante ed il capomissione della nave della ONG
spagnola Proactiva Open Arms, accusati di associazione per delinquere
finalizzata all’immigrazione clandestina (per aver portato a Pozzallo 218
migranti soccorsi al largo della Libia il 17 marzo dell’anno scorso), che
svolgono azioni umanitarie continue, si ritengono soddisfatti da tale
decisione.
Il sequestro della nave, a seguito dell’approdo, è stato
disposto iscrivendo nel registro degli indagati i responsabili del natante per
il più grave reato di associazione per delinquere. E’ stato contestato, invero,
ad Open Arms il “rifiuto di consegnare i profughi salvati a una motovedetta
libica”, posto che, “nonostante la vicinanza con l’isola di Malta, la nave ha
proseguito la navigazione verso le coste italiane, come era sua prima
intenzione”.
La notizia della
richiesta di archiviazione è stata resa nota dai legali della ONG, i quali
hanno avuto risposta dalla Procura distrettuale di Catania, successivamente
alla loro richiesta di conoscere lo “stato del procedimento”.
Una storia conclusasi
con un lieto fine.
Parlando delle ONG, l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri spiega che si tratta di organizzazioni senza fini di lucro, che operano in maniera indipendente dai vari Stati e dalle organizzazioni governative internazionali. Esistono in tutto il mondo e portano avanti, con il loro operato, campagne dall’ineguagliabile valore umanitario.
Se ne è sentito parlare sovente, ultimamente, in tema di migranti. Le ONG denunciano i sempre più frequenti casi di respingimento di migranti in Libia ad opera di navi commerciali, che vengono coinvolte dalla Guardia costiera di Tripoli nel soccorso delle imbarcazioni che partono e che riportano indietro i migranti (nonostante la Libia non sia considerata un porto sicuro). Va certamente evidenziato che le navi delle ONG nel Mar Mediterraneo, tra il 2014 e il 2017, hanno tratto in salvo ben 114.910 persone, a fronte delle 611.414 soccorse, pari al 18,8% del totale. Ciò, tuttavia, rileva l’Avvocato Pitorri, non ha impedito di avviare quella che è stata definita una vera e propria campagna di screditamento e criminalizzazione verso le ONG, equiparate addirittura a complici degli scafisti. Questo ha contribuito, purtroppo, a rendere progressivamente impossibile la prosecuzione delle loro missioni.
Spesso, però, le indagini sulle navi ONG hanno un esito
positivo. Fa presente l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri (impegnato
quotidianamente nell’attività forense a favore anche dei migranti) che si è,
infatti, conclusa da poco l’ennesima inchiesta contro le ONG, con una richiesta
di archiviazione. La notizia è di grande rilievo, posto che a sottoscrivere il
documento è il procuratore di Catania, che, in più di un’occasione, ha
dichiarato di ritenere illegittimo l’operato delle navi umanitarie.
Il comandante ed il capomissione della nave della ONG
spagnola Proactiva Open Arms, accusati di associazione per delinquere
finalizzata all’immigrazione clandestina (per aver portato a Pozzallo 218
migranti soccorsi al largo della Libia il 17 marzo dell’anno scorso), che
svolgono azioni umanitarie continue, si ritengono soddisfatti da tale
decisione.
Il sequestro della nave, a seguito dell’approdo, è stato
disposto iscrivendo nel registro degli indagati i responsabili del natante per
il più grave reato di associazione per delinquere. È stato contestato, invero,
ad Open Arms il “rifiuto di consegnare i profughi salvati a una motovedetta
libica”, posto che, “nonostante la vicinanza con l’isola di Malta, la nave ha
proseguito la navigazione verso le coste italiane, come era sua prima
intenzione”.
La notizia della richiesta di archiviazione è stata resa
nota dai legali della ONG, i quali hanno avuto risposta dalla Procura
distrettuale di Catania, successivamente alla loro richiesta di conoscere lo
“stato del procedimento”.