La Alan Kurdi recupera quaranta migranti
Febbraio 7, 2020
Solo a distanza di poche settimane dalla conclusione dello sbarco di sessantacinque migranti, nel porto della Valletta, la nave “Alan Kurdi”, della ONG tedesca Sea Eye, è tornata a far parlare di sé. Stavolta, fa presente l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri, si tratta di una missione sviluppatasi al largo delle coste del Nord Africa. Da un gommone recentemente partito dalla Libia, invero, la nota imbarcazione ha recuperato quaranta clandestini. Tra loro ci sono un neonato e due bambini piccoli.
I quaranta immigrati clandestini sono stati recuperati da un gommone, partito da Tajoura, cittadina a est di Tripoli, dove si trovava il centro di detenzione per clandestini, bombardato a inizio mese, causando le morte di oltre cinquanta persone. I migranti provengono da Nigeria, Costa d’Avorio, Ghana, Mali, Congo e Camerun.
Successivamente alle operazioni di prima assistenza sanitaria, specifica l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri, il comandante ha deciso di far rotta verso l’Europa.Rammenta l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri che la Alan Kurdi, è una nave conosciuta, a livello mondiale, in quanto porta il nome di un bimbo siriano, di tre anni, divenuto un simbolo della crisi europea, dopo la sua morte per annegamento, nel 2015. Ha fatto il giro del mondo, infatti, la drammatica foto, scattata al ritrovamento del suo corpo, senza vita, su una spiaggia turca, con indosso una maglietta rossa, e il capo rivolto verso l’Europa. E’ diventata l’icona dei piccoli migranti che perdono la vita in mare, “toccando” le coscienze di popoli e governi europei e di tutto il mondo.Il bimbo e la sua famiglia erano rifugiati siriani, che stavano tentando di raggiungere l’Europa via mare. A seguito del rifiuto di essere accolti in Canada, osando affrontare un pericoloso, terribile viaggio, nel fare la traversata dell’Egeo, diretti verso la Grecia, erano stati vittime di un naufragio sulle coste turche, in cui purtroppo aveva trovato la morte il piccolo Alan. Insieme a lui erano morti suo fratello Ghalib e sua madre Rehana.
Avvocato Iacopo Maria Pitorri