Il ricorso di un pakistano cambia l’orientamento sul diritto di asilo politico

Il recente, nuovo orientamento dettato dalla Suprema Corte, ha destato l’attenzione di tutti, specie nel mondo forense. Anche l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri, impegnato quotidianamente, nella sua attività di difensore, a favore dei migranti, è stato colpito dall’esito del ricorso di un pakistano, conclusosi con la rivoluzionaria sentenza degli Ermellini. Allo stesso, con accertamenti “sommari” ed estremamente generici, era stata rifiutata l’accoglienza umanitaria.

Il recente, nuovo orientamento dettato dalla Suprema Corte,  ha destato l’attenzione di tutti, specie nel mondo forense. Anche l’Avvocato  Iacopo Maria Pitorri, impegnato quotidianamente, nella sua attività di difensore, a favore dei migranti, è stato colpito dall’esito del ricorso di un pakistano, conclusosi con la rivoluzionaria sentenza degli Ermellini. Allo stesso, con accertamenti “sommari” ed estremamente generici, era stata rifiutata l’accoglienza umanitaria.

Più specificamente, rileva dalla notizia l’Avvocato Pitorri, gli Ermellini hanno così dichiarato  “fondato” il reclamo di Alì S., al quale la Commissione prefettizia di Lecce e successivamente il Tribunale della stessa città, nel 2017, avevano negato il diritto a restare in Italia respingendo la sua domanda di protezione internazionale.
Alì, tuttavia, non si è mai dato per vinto ed è arrivato fino al terzo grado di giudizio, appunto in Cassazione. Il nodo focale che è emerso dal ricorso incardinato dal migrante, per far valere i propri diritti, riguarda il negato asilo, sulla base di “generiche informazioni sulla situazione interna del Pakistan, senza considerazione completa delle prove disponibili” e senza (anche) che il giudice avesse azionato il suo potere di indagine.

Per l’Avvocato Pitorri non vi sono dubbi: il  reclamo incardinato nei confronti del Ministero dell’Interno, difeso dall’Avvocatura dello Stato, ha colto nel segno un dato fondamentale, focalizzando l’attenzione dei giudici su aspetti nevralgici, in un giudizio di questa tipologia.

Bandita  genericità e vaghezza, quindi, sono indispensabili prove e fonte certe per decidere in merito al diritto di asilo.

Staremo a vedere come, realmente, cambieranno, le sorti di molti migranti – sostiene l’Avvocato Pitorri – a seguito di questo importante mutamento nell’orientamento dei giudici.

Il recente, nuovo orientamento dettato dalla Suprema Corte, ha destato l’attenzione di tutti, specie nel mondo forense. Anche l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri, impegnato quotidianamente, nella sua attività di difensore, a favore dei migranti, è stato colpito dall’esito del ricorso di un pakistano, conclusosi con la rivoluzionaria sentenza degli Ermellini. Allo stesso, con accertamenti “sommari” ed estremamente generici, era stata rifiutata l’accoglienza umanitaria.

Più specificamente, rileva dalla notizia l’Avvocato Pitorri, gli Ermellini hanno così dichiarato “fondato” il reclamo di Alì S., al quale la Commissione prefettizia di Lecce e successivamente il Tribunale della stessa città, nel 2017, avevano negato il diritto a restare in Italia respingendo la sua domanda di protezione internazionale.
Alì, tuttavia, non si è mai dato per vinto ed è arrivato fino al terzo grado di giudizio, appunto in Cassazione. Il nodo focale che è emerso dal ricorso incardinato dal migrante, per far valere i propri diritti, riguarda il negato asilo, sulla base di “generiche informazioni sulla situazione interna del Pakistan, senza considerazione completa delle prove disponibili” e senza (anche) che il giudice avesse azionato il suo potere di indagine.

Per l’Avvocato Pitorri non vi sono dubbi: il reclamo incardinato nei confronti del Ministero dell’Interno, difeso dall’Avvocatura dello Stato, ha colto nel segno un dato fondamentale, focalizzando l’attenzione dei giudici su aspetti nevralgici, in un giudizio di questa tipologia.

Bandita genericità e vaghezza, quindi, sono indispensabili prove e fonte certe per decidere in merito al diritto di asilo.

Staremo a vedere come, realmente, cambieranno, le sorti di molti migranti – sostiene l’Avvocato Pitorri – a seguito di questo importante mutamento nell’orientamento dei giudici.

Avvocato Iacopo Maria Pitorri

Cassazione, sono necessarie prove e fonti certe per decidere in materia di asilo politico

L’Avvocato Iacopo Maria Pitorri fa emergere l’importanza di una recente sentenza della Corte di Cassazione, che ha fatto chiarezza in merito alla tematica relativa al diritto di asilo.

L’Avvocato Iacopo Maria Pitorri fa emergere l’importanza di una recente sentenza della Corte di Cassazione, che ha fatto chiarezza in merito alla tematica relativa al diritto di asilo.

Ciò ha acceso nuovamente le speranze di molti migranti, fuggiti dal loro paese di origine, devastato da drammi e tragedie di ogni tipo.

Gli Ermellini, pronunciandosi sulla materia, hanno stabilito che non è più possibile respingere la richiesta di diritto di asilo da parte di un migrante basandosi solo su generiche fonti internazionali che attesterebbero l’assenza di conflitti nei Paesi di provenienza degli stessi.

Ogni giorno, nella capitale, giungono persone presso lo studio dell’Avvocato Pitorri, nei pressi della stazione Termini, narrando al patrocinatore le tragiche  storie vissute e le dolorose, spaventose realtà dei loro paesi, chiedendo allo stesso di aiutarli a rimanere in Italia posto che in patria rischiano la vita. L’Avvocato Pitorri si attiva tempestivamente, con premurosa diligenza per intraprendere il percorso giuridico-procedurale per far ottenere a queste persone meno fortunate di noi asilo politico.

Ebbene, oggi vi è uno strumento in più: la Cassazione, invero, ha esortato i magistrati ad evitare “formule stereotipate” ed a “specificare sulla scorta di quali fonti” abbiano acquisito “informazioni aggiornate sul Paese di origine” dei richiedenti asilo.

Sarà certamente cura dell’Avvocato Pitorri lavorare in tale senso, facendo valere i diritti degli immigrati che si presentano presso il suo studio, anche alla luce di questa nuova pronuncia della Suprema Corte.

L’Avvocato Iacopo Maria Pitorri fa emergere l’importanza di una recente sentenza della Corte di Cassazione, che ha fatto chiarezza in merito alla tematica relativa al diritto di asilo.

Ciò ha acceso nuovamente le speranze di molti migranti, fuggiti dal loro paese di origine, devastato da drammi e tragedie di ogni tipo.

Gli Ermellini, pronunciandosi sulla materia, hanno stabilito che non è più possibile respingere la richiesta di diritto di asilo da parte di un migrante basandosi solo su generiche fonti internazionali che attesterebbero l’assenza di conflitti nei Paesi di provenienza degli stessi.

Ogni giorno, nella capitale, giungono persone presso lo studio dell’Avvocato Pitorri, nei pressi della stazione Termini, narrando al patrocinatore le tragiche storie vissute e le dolorose, spaventose realtà dei loro paesi, chiedendo allo stesso di aiutarli a rimanere in Italia posto che in patria rischiano la vita. L’Avvocato Pitorri si attiva tempestivamente, con premurosa diligenza per intraprendere il percorso giuridico-procedurale per far ottenere a queste persone meno fortunate di noi asilo politico.

Ebbene, oggi vi è uno strumento in più: la Cassazione, invero, ha esortato i magistrati ad evitare “formule stereotipate” ed a “specificare sulla scorta di quali fonti” abbiano acquisito “informazioni aggiornate sul Paese di origine” dei richiedenti asilo.

Sarà certamente cura dell’Avvocato Pitorri lavorare in tale senso, facendo valere i diritti degli immigrati che si presentano presso il suo studio, anche alla luce di questa nuova pronuncia della Suprema Corte.

Avvocato Iacopo Maria Pitorri

Migranti, torna la protezione umanitaria

Lo scorso 5 ottobre 2018 è entrato in vigore il cosiddetto Decreto Sicurezza (la Legge 1° dicembre 2018, n. 132 recante “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 4 ottobre 2018, n. 113, recante disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica”).

Lo scorso  5 ottobre 2018 è entrato in vigore il cosiddetto Decreto Sicurezza (la Legge 1 dicembre 2018, n. 132 recante “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 4 ottobre 2018, n. 113, recante disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica”).

Da quel momento, pertanto,  le commissioni per l’asilo politico hanno cominciato a ridurre le concessioni. A dicembre, infatti, solo il 3% dei richiedenti asilo ha ottenuto la protezione umanitaria. A gennaio, soltanto il 2% .

Il Decreto Sicurezza, fin dall’inizio, ha scatenato critiche e polemiche. Di contro a chi lo ha considerato come un miglioramento per la sicurezza dei cittadini, rendendo più efficace la gestione dell’immigrazione, vi è chi  invece ha sostenuto che lo stesso sia incostituzionale e che generi effetti controproducenti (facendo inevitabilmente aumentare il numero di stranieri in situazioni di irregolarità nel nostro Paese, con, quindi, effetti opposti a quelli auspicati).

Tra le notevoli modifiche del sistema, vi è stata quella inerente la  protezione umanitaria. Precedentemente durava per due anni e dava accesso al lavoro, alle prestazioni sociali e all’edilizia popolare. Al suo posto  il decreto ha introdotto una serie di permessi speciali (per protezione sociale, per ragioni di salute, per calamità naturale nel paese d’origine), della durata massima di un anno. Numerose disposizioni del decreto hanno contribuito alla eliminazione della protezione umanitaria, che fino ad oggi era stata assegnata a circa metà dei richiedenti asilo (i quali hanno visto accogliere positivamente la propria domanda). Oggi, comunque, nonostante il decreto l’abbia cancellata, le commissioni per l’asilo stanno riprendendo a concederla. I dati del mese di febbraio lo confermano: i rifugiati che hanno ottenuto un permesso umanitario sono  passati dal 2% di gennaio al 28% di febbraio 2019.

Va evidenziato che il 19 febbraio scorso è stata depositata la sentenza della Corte di Cassazione con cui i giudici hanno riconosciuto che l’abrogazione del permesso per motivi umanitari – voluta dal governo – riguarda solamente coloro che hanno fatto domanda di asilo dopo il 5 ottobre 2018, data di entrata in vigore del provvedimento. Stando ai primi dati pubblicati online dal Viminale, degli oltre seimila richiedenti asilo, esaminati a febbraio, 425 hanno ottenuto lo status di rifugiati, 274 la protezione sussidiaria e ben 1.821 (il 28%) l’umanitaria. Un dato decisamente notevole. Successivamente è stato precisato dal Viminale che le nuove concessioni, stando al nuovo dato, sarebbero invece ferme a quota 112.

Lo scorso 5 ottobre 2018 è entrato in vigore il cosiddetto Decreto Sicurezza (la Legge 1° dicembre 2018, n. 132 recante “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 4 ottobre 2018, n. 113, recante disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica”).

Da quel momento, pertanto, le commissioni per l’asilo politico hanno cominciato a ridurre le concessioni. A dicembre, infatti, solo il 3% dei richiedenti asilo ha ottenuto la protezione umanitaria. A gennaio, soltanto il 2%.

Il Decreto Sicurezza, fin dall’inizio, ha scatenato critiche e polemiche. Di contro a chi lo ha considerato come un miglioramento per la sicurezza dei cittadini, rendendo più efficace la gestione dell’immigrazione, vi è chi invece ha sostenuto che lo stesso sia incostituzionale e che generi effetti controproducenti (facendo inevitabilmente aumentare il numero di stranieri in situazioni di irregolarità nel nostro Paese, con, quindi, effetti opposti a quelli auspicati).

Tra le notevoli modifiche del sistema, vi è stata quella inerente alla protezione umanitaria. Precedentemente durava per due anni e dava accesso al lavoro, alle prestazioni sociali e all’edilizia popolare. Al suo posto il decreto ha introdotto una serie di permessi speciali (per protezione sociale, per ragioni di salute, per calamità naturale nel paese d’origine), della durata massima di un anno. Numerose disposizioni del decreto hanno contribuito alla eliminazione della protezione umanitaria, che fino ad oggi era stata assegnata a circa metà dei richiedenti asilo (i quali hanno visto accogliere positivamente la propria domanda). Oggi, comunque, nonostante il decreto l’abbia cancellata, le commissioni per l’asilo stanno riprendendo a concederla. I dati del mese di febbraio lo confermano: i rifugiati che hanno ottenuto un permesso umanitario sono passati dal 2% di gennaio al 28% di febbraio 2019.

Va evidenziato che il 19 febbraio scorso è stata depositata la sentenza della Corte di Cassazione con cui i giudici hanno riconosciuto che l’abrogazione del permesso per motivi umanitari – voluta dal governo – riguarda solamente coloro che hanno fatto domanda di asilo dopo il 5 ottobre 2018, data di entrata in vigore del provvedimento. Stando ai primi dati pubblicati online dal Viminale, degli oltre seimila richiedenti asilo, esaminati a febbraio, 425 hanno ottenuto lo status di rifugiati, 274 la protezione sussidiaria e ben 1.821 (il 28%) l’umanitaria. Un dato decisamente notevole. Successivamente è stato precisato dal Viminale che le nuove concessioni, stando al nuovo dato, sarebbero invece ferme a quota 112.

Avvocato Iacopo Maria Pitorri

Migranti discriminati: condannati due Comune lombardi

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In Lombardia, la Corte d’Appello di Brescia ha confermato la sentenza del 2016 relativa ad una vicenda del 2015, condannando i Comuni di Rovato e Pontoglio.

L’esito di primo grado era giunto a seguito di un ricorso presentato dall’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (ASGI) e da una Fondazione per i diritti dell’uomo (sostenuta dalla Cgil di Brescia).

Più segnatamente, le pratiche relative ai certificati da rilasciare ai migranti, avevano avuto un rincaro del 600% in “diritti di segreteria”, arrivando perfino ad un aumento del 624% nel Comune di Rovato.

Nello statuire di aumentare in modo così sproporzionato il costo del rilascio del certificato di idoneità alloggiativa, indispensabile per gli stranieri, essenzialmente, per le pratiche di ricongiungimento familiare e per i permessi di soggiorno, é inconfutabile pensare che sia stata posta in essere una sorta di discriminazione indiretta nei confronti degli immigrati residenti in quei territori.

Ad avviso della prima sezione civile della Corte d’Appello bresciana, invero, le delibere con cui le due amministrazioni comunali hanno aumentato i costi dei certificati, “apparentemente neutre, hanno l’effetto di compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio in condizioni di parità dei diritti umani e delle libertà fondamentali dei cittadini“.

La Corte ha altresì precisato che pur considerando che quei certificati di idoneità “alloggiativa” sono richiesti in alcuni casi anche agli italiani, “l’interesse prevalente al rilascio è sussistente in capo agli stranieri“. Ed è di “immediata evidenza – precisa la sentenza – che l’importo del diritto di segreteria richiesto per l’ottenimento del certificato di idoneità alloggiativa“, che è solo uno dei passaggi per ottenere, ad esempio, il ricongiungimento familiare, “non deve avere né lo scopo ma neppure l’effetto di creare un ostacolo al conseguimento dello status richiesto“.

Tra l’altro già in primo grado il Tribunale aveva ordinato ai Comuni coinvolti di “ripristinare l’importo precedente”, nonché di restituire agli stranieri che avevano richiesto i certificati quel quid che avevano pagato in più, a causa di una maggiorazione dei costi per i “diritti di segreteria”.

Alla luce del caso narrato, si auspica, pertanto, che la pronuncia della Corte di Appello lombarda possa essere da esempio per porre fine ad un uso inopportuno e distorto dell’azione amministrativa.

Avvocato Jacopo Pitorri

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Falsi domicili per dare la residenza agli immigrati

Qualche tempo fa, precisamente nel 2017, a Brusciano, in provincia di Napoli, la magistratura aveva scoperto un giro di false cittadinanze (che aveva coinvolto perfino l’Ufficio anagrafe). Gli extracomunitari, per lo più cubani, in buona sostanza erano stati collocati a casa di cittadini bruscianesi, che erano totalmente all’oscuro di tutto e che si vedevano recapitare corrispondenza indirizzata a persone sconosciute.

Qualche tempo fa, precisamente nel 2017, a Brusciano, in provincia di Napoli, la magistratura  aveva scoperto  un giro di false cittadinanze (che aveva coinvolto perfino l’Ufficio anagrafe). Gli extracomunitari, per lo più cubani, in buona sostanza erano stati collocati a casa di cittadini bruscianesi, che erano totalmente all’oscuro di tutto e che si vedevano recapitare corrispondenza indirizzata a persone sconosciute.

A distanza di un paio di anni da questa vicenda, tuttavia,  pochi giorni fa a Marigliano, sempre in provincia di Napoli, è emerso un fatto di non poca rilevanza. Il comandante dei vigili urbani ha ritenuto di aprire un’indagine, cui sono seguite delle visite domiciliari, da cui è emerso che presso le abitazioni di alcuni mariglianesi non vi era alcuna traccia degli extracomunitari entrati a far parte del nucleo familiare in qualità di ospiti, così come dichiarato.

Nonostante le richieste al Comune arrivavano numerose (e, sembravano, regolari), dalle ispezioni è sorto chiaramente che gli extracomunitari passavano con facilità dal semplice domicilio alla residenza, senza mai arrivare a Marigliano. Con una dichiarazione di domicilio presso un italiano, invero, dopo sei mesi avrebbero potuto chiedere la residenza ed è ciò che  – di fatto  – è avvenuto in diversi casi.

La corrente investigativa è rivolta a tutte le domande presentate dai cittadini che si sono dichiarati formalmente disposti ad ospitare extracomunitari, regolarizzando le posizioni al Comune.  Coloro che avrebbero dovuto essere ospitati a Marigliano sono, per la maggior parte, immigrati provenienti dall’India, dal Bangladesh e dall’Ucraina.

La Polizia locale di Marigliano ha scoperto un giro di falsi domicili destinati ad immigrati, gestito e organizzato da cinque persone di Marigliano, su cui grava l’accusa di falso ideologico e favoreggiamento all’immigrazione clandestina.

A seguito di ciò,  i vigili urbani stanno passando al setaccio tutte le pratiche, tant’è vero che la Polizia locale sta vagliando attentamente tutte le richieste di ospitalità arrivate nel 2018, e nell’anno in corso, e parallelamente sta proseguendo le indagini sulla vicenda per chiarire alcuni aspetti fondamentali, individuare i responsabili della raccolta dei clandestini e, soprattutto, comprendere quali vantaggi e ricompense economiche ricava chi si presta ad ospitarli fittiziamente.

 Il sospetto degli agenti è che dietro il giro di falsi domicili ci siano delle agenzie che procacciano migranti a famiglie italiane che dovrebbero ospitarli, dando loro una grossa somma di denaro.

In conclusione, nelle vicinanze di Napoli in città ci sarebbe un giro che favoreggia l’immigrazione clandestina. I controlli sono solo all’inizio e hanno già  portato a scovare i falsi domicili. L’indagine porterà sicuramente a far luce e chiarezza su questa incresciosa vicenda, ponendo fine al tutto.

Qualche tempo fa, precisamente nel 2017, a Brusciano, in provincia di Napoli, la magistratura aveva scoperto un giro di false cittadinanze (che aveva coinvolto perfino l’Ufficio anagrafe). Gli extracomunitari, per lo più cubani, in buona sostanza erano stati collocati a casa di cittadini bruscianesi, che erano totalmente all’oscuro di tutto e che si vedevano recapitare corrispondenza indirizzata a persone sconosciute.

A distanza di un paio di anni da questa vicenda, tuttavia, pochi giorni fa a Marigliano, sempre in provincia di Napoli, è emerso un fatto di non poca rilevanza. Il comandante dei vigili urbani ha ritenuto di aprire un’indagine, cui sono seguite delle visite domiciliari, da cui è emerso che presso le abitazioni di alcuni mariglianesi non vi era alcuna traccia degli extracomunitari entrati a far parte del nucleo familiare in qualità di ospiti, così come dichiarato.

Nonostante le richieste al Comune arrivavano numerose (e, sembravano, regolari), dalle ispezioni è sorto chiaramente che gli extracomunitari passavano con facilità dal semplice domicilio alla residenza, senza mai arrivare a Marigliano. Con una dichiarazione di domicilio presso un italiano, invero, dopo sei mesi avrebbero potuto chiedere la residenza ed è ciò che – di fatto – è avvenuto in diversi casi.

La corrente investigativa è rivolta a tutte le domande presentate dai cittadini che si sono dichiarati formalmente disposti ad ospitare extracomunitari, regolarizzando le posizioni al Comune.  Coloro che avrebbero dovuto essere ospitati a Marigliano sono, per la maggior parte, immigrati provenienti dall’India, dal Bangladesh e dall’Ucraina.

La Polizia locale di Marigliano ha scoperto un giro di falsi domicili destinati ad immigrati, gestito e organizzato da cinque persone di Marigliano, su cui grava l’accusa di falso ideologico e favoreggiamento all’immigrazione clandestina.

A seguito di ciò, i vigili urbani stanno passando al setaccio tutte le pratiche, tant’è vero che la Polizia locale sta vagliando attentamente tutte le richieste di ospitalità arrivate nel 2018, e nell’anno in corso, e parallelamente sta proseguendo le indagini sulla vicenda per chiarire alcuni aspetti fondamentali, individuare i responsabili della raccolta dei clandestini e, soprattutto, comprendere quali vantaggi e ricompense economiche ricava chi si presta ad ospitarli fittiziamente.

 Il sospetto degli agenti è che dietro il giro di falsi domicili ci siano delle agenzie che procacciano migranti a famiglie italiane che dovrebbero ospitarli, dando loro una grossa somma di denaro.

In conclusione, nelle vicinanze di Napoli in città ci sarebbe un giro che favoreggia l’immigrazione clandestina. I controlli sono solo all’inizio e hanno già portato a scovare i falsi domicili. L’indagine porterà sicuramente a far luce e chiarezza su questa incresciosa vicenda, ponendo fine al tutto.

Avvocato Jacopo Maria Pitorri

Migranti, irretroattività del decreto sicurezza

La Corte di Cassazione, lo scorso 20 febbraio 2019, ha depositato una sentenza che potrebbe protrarre gli effetti del decreto sicurezza sulla protezione umanitaria. La maggior parte delle domande che sono state esaminate (e respinte) in questi mesi dalle Commissioni d’asilo sono state tutte presentate prima del 5 ottobre 2018 (giorno di entrata in vigore della nuova normativa). Basti pensare che sono ben più di 23.000 i migranti che negli ultimi quattro mesi si sono visti negare qualsiasi tipo di protezione in applicazione del Decreto Sicurezza.

La Corte di Cassazione, lo scorso 20 febbraio 2019, ha depositato una sentenza che potrebbe protrarre gli effetti del decreto sicurezza sulla protezione umanitaria. La maggior parte delle domande che sono state esaminate (e respinte) in questi mesi dalle Commissioni d’asilo sono state tutte presentate prima del 5 ottobre 2018 (giorno di entrata in vigore della nuova normativa). Basti pensare che sono ben più di 23.000 i migranti che negli ultimi quattro mesi si sono visti negare qualsiasi tipo di protezione in applicazione del Decreto Sicurezza.

Ne deriva che le nuove norme restrittive sulla protezione umanitaria varate con il decreto sicurezza non possano essere applicate alle domande che sono state presentate prima del 5 ottobre.

Da ormai diverso tempo le commissioni territoriali avevano limitato la concessione dei permessi umanitari, ponendo sempre più restrizioni e limiti. Quasi il totale delle domande vagliate sono state presentate prima dello scorso ottobre, posto che i tempi di attesa medi prima della valutazione delle singole posizioni è di circa un anno.

Anche se gli sbarchi sono diminuiti di circa il 90%, con questa pronuncia  si verificheranno probabilmente una cascata di ricorsi. Nell’esaminare, infatti, il ricorso di un migrante (cittadino della Guinea), cui il tribunale di Napoli aveva respinto la domanda di protezione internazionale, fuggito dal suo paese per motivi economici e per contrasti con i genitori, la Cassazione ha statuito che “La normativa introdotta con il dl n.113 del 2018, convertito nella legge n.132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina del permesso di soggiorno per motivi umanitari, sostituendola con la previsione di casi speciali di permessi di soggiorno, non trova applicazione in relazione alle domande di riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore della nuova legge, le quali saranno pertanto scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione“.

Per la Suprema Corte si è inevitabilmente posto il problema di quale normativa applicare, considerato che la nuova legge, al momento dell’udienza, era già entrata in vigore. Per arrivare alla decisione, la Cassazione ha preso atto del fatto che il decreto sicurezza ha previsto espressamente due commi, che disciplinano i permessi già rilasciati (che rimangono in vigore, anche se alla scadenza saranno applicate le nuove disposizioni) e quelli non ancora rilasciati, ma per i quali la commissione territoriale ha già accertato i presupposti per il rilascio del permesso umanitario. Restano, dunque, inevitabilmente esclusi i casi ancora da decidere, o quelli per i quali c’è stata una prima decisione negativa per il migrante.

Si evince, quindi, senza alcun dubbio, la irretroattività del Decreto Sicurezza. Le domande per i permessi di soggiorno per motivi umanitari presentate prima dell’entrata in vigore dello stesso, di conseguenza, saranno esaminate con la vecchia normativa. Se vi sono i presupposti, quelle accolte avranno la dicitura “casi speciali” e la durata di due anni, come previsto dal decreto legge 113 del 2018. Alla scadenza opererà, quindi, il nuovo regime.

La prima sezione civile della Suprema Corte, nel caso di cui sopra, ha, quindi, applicato il principio giuridico secondo cui “la legge non dispone che per l’avvenire”. Ha specificato la Cassazione, infatti, che il cittadino straniero, sulla base delle norme modificate dal decreto del 2018 “ha diritto a un titolo di soggiorno fondato su seri motivi umanitari desumibili dal quadro degli obblighi costituzionali ed internazionali assunti dallo Stato, che sorge contestualmente al verificarsi delle condizioni di vulnerabilità, delle quali ha chiesto l’accertamento con la domanda. La domanda, di conseguenza, cristallizza il paradigma legale sulla base del quale deve essere scrutinato“.

Ulteriormente ha chiarito la Cassazione che “il potere-dovere delle commissioni territoriali di accertare le ragioni che possano residuare dal diniego delle cosiddetti protezioni maggiori”, come lo status di rifugiato, resta, “ancorché rimodulato alla luce della significativa compressione delle ragioni umanitarie realizzata dal decreto legge 113 del 2018“.

La Corte, tuttavia, ha rigettato il ricorso del migrante, che dunque, anche con le vecchie regole non riceverà la protezione umanitaria.

La Corte di Cassazione, lo scorso 20 febbraio 2019, ha depositato una sentenza che potrebbe protrarre gli effetti del decreto sicurezza sulla protezione umanitaria. La maggior parte delle domande che sono state esaminate (e respinte) in questi mesi dalle Commissioni d’asilo sono state tutte presentate prima del 5 ottobre 2018 (giorno di entrata in vigore della nuova normativa). Basti pensare che sono ben più di 23.000 i migranti che negli ultimi quattro mesi si sono visti negare qualsiasi tipo di protezione in applicazione del Decreto Sicurezza.

Ne deriva che le nuove norme restrittive sulla protezione umanitaria varate con il decreto sicurezza non possano essere applicate alle domande che sono state presentate prima del 5 ottobre.

Da ormai diverso tempo le commissioni territoriali avevano limitato la concessione dei permessi umanitari, ponendo sempre più restrizioni e limiti. Quasi il totale delle domande vagliate sono state presentate prima dello scorso ottobre, posto che i tempi di attesa medi prima della valutazione delle singole posizioni è di circa un anno.

Anche se gli sbarchi sono diminuiti di circa il 90%, con questa pronuncia  si verificheranno probabilmente una cascata di ricorsi. Nell’esaminare, infatti, il ricorso di un migrante (cittadino della Guinea), cui il tribunale di Napoli aveva respinto la domanda di protezione internazionale, fuggito dal suo paese per motivi economici e per contrasti con i genitori, la Cassazione ha statuito che “La normativa introdotta con il dl n.113 del 2018, convertito nella legge n.132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina del permesso di soggiorno per motivi umanitari, sostituendola con la previsione di casi speciali di permessi di soggiorno, non trova applicazione in relazione alle domande di riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore della nuova legge, le quali saranno pertanto scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione“.

Per la Suprema Corte si è inevitabilmente posto il problema di quale normativa applicare, considerato che la nuova legge, al momento dell’udienza, era già entrata in vigore. Per arrivare alla decisione, la Cassazione ha preso atto del fatto che il decreto sicurezza ha previsto espressamente due commi, che disciplinano i permessi già rilasciati (che rimangono in vigore, anche se alla scadenza saranno applicate le nuove disposizioni) e quelli non ancora rilasciati, ma per i quali la commissione territoriale ha già accertato i presupposti per il rilascio del permesso umanitario. Restano, dunque, inevitabilmente esclusi i casi ancora da decidere, o quelli per i quali c’è stata una prima decisione negativa per il migrante.

Si evince, quindi, senza alcun dubbio, la irretroattività del Decreto Sicurezza. Le domande per i permessi di soggiorno per motivi umanitari presentate prima dell’entrata in vigore dello stesso, di conseguenza, saranno esaminate con la vecchia normativa. Se vi sono i presupposti, quelle accolte avranno la dicitura “casi speciali” e la durata di due anni, come previsto dal decreto legge 113 del 2018. Alla scadenza opererà, quindi, il nuovo regime.

La prima sezione civile della Suprema Corte, nel caso di cui sopra, ha, quindi, applicato il principio giuridico secondo cui “la legge non dispone che per l’avvenire”. Ha specificato la Cassazione, infatti, che il cittadino straniero, sulla base delle norme modificate dal decreto del 2018 “ha diritto a un titolo di soggiorno fondato su seri motivi umanitari desumibili dal quadro degli obblighi costituzionali ed internazionali assunti dallo Stato, che sorge contestualmente al verificarsi delle condizioni di vulnerabilità, delle quali ha chiesto l’accertamento con la domanda. La domanda, di conseguenza, cristallizza il paradigma legale sulla base del quale deve essere scrutinato“.

Ulteriormente ha chiarito la Cassazione che “il potere-dovere delle commissioni territoriali di accertare le ragioni che possano residuare dal diniego delle cosiddetti protezioni maggiori”, come lo status di rifugiato, resta, “ancorché rimodulato alla luce della significativa compressione delle ragioni umanitarie realizzata dal decreto legge 113 del 2018“.

La Corte, tuttavia, ha rigettato il ricorso del migrante, che dunque, anche con le vecchie regole non riceverà la protezione umanitaria.

Avv. Jacopo Maria Pitorri

Stato di famiglia e nucleo familiare, le differenze

Accade, a volte, che si faccia confusione nel prendere in considerazione lo stato di famiglia e/o il nucleo familiare.

Accade, a volte, che si faccia confusione nel prendere in considerazione lo stato di famiglia e/o il nucleo familiare.

 Al riguardo esistono delle differenze di non poco conto.

Lo stato di famiglia è un documento ufficiale che certificata la composizione del nucleo familiare di ogni cittadino italiano.

Va, tuttavia, evidenziato che questo certificato non si riferisce necessariamente all’esistenza di legami parentali tra soggetti, ma indica semplicemente tutti coloro che vivono preso la stessa abitazione.

 Nello stato di famiglia l’elenco dei coabitanti è riportato indicandone nome, cognome, data e comune di nascita, comune e indirizzo di residenza.

Più segnatamente, lo stato di famiglia è rappresentato da un certificato rilasciato dal proprio Comune in cui vengono elencati i membri della famiglia anagrafica.

 Sono, cioè, inclusi tutti gli inquilini che vivono presso lo stesso indirizzo di residenza, a volte più di una famiglia.
In tal senso, il documento serve anche a definire i rapporti esistenti tra i diversi individui, che non devono essere per forza parentali, ma anche di altra natura (madre, padre, figli, tutori legali, coppie conviventi, di fatto, ecc).

E’ un documento estremamente importante per l’espletamento di diversi adempimenti di natura fiscale o per richieste di natura economica e giuridica. Può essere utile per richiedere gli assegni familiari; per calcolare i redditi dei componenti del nucleo familiare per il modello ISEE (Indicatore della situazione economica equivalente); per richiedere un mutuo; per ottenere determinati benefici economici o fiscali.

Il certificato è rilasciato dall’Ufficio Anagrafe del proprio Comune di residenza, previa esibizione di un documento di identità in corso di validità.

 Per ottenerlo, è necessario provvedere al pagamento di una marca da bollo, qualora il certificato venga rilasciato su carta bollata. In alternativa è possibile richiedere lo stato di famiglia anche online fornendo semplicemente i dati riportati sulla propria tessera sanitaria.

Lo stato di famiglia può anche essere autocertificato dal richiedente.

Ai fini della validità, il documento deve contenere i dati anagrafici personali e dei coabitanti, il numero dei componenti della famiglia e l’indirizzo di residenza.

Diverso è, invece, il nucleo familiare.

Indica, infatti, una unità sociologica, che vive nello stesso alloggio, oltre che una famiglia tradizionale, o una persona fisica che vive sola (in una casa, appartamento, convento o caserma).

Dal punto di vista della statistica e dell’economia, il nucleo familiare è l’unità base negli studi e nei censimenti.

Esso può avere una o più fonti di reddito, che consistono nel membro che percepisce un salario, uno stipendio, un affitto, una pensione, o quant’altro.

Nell’attuale legislazione italiana, il nucleo familiare assume significati diversi a seconda delle leggi; la famiglia anagrafica è invece definita precisamente dal DPR n. 223/89, art.4, ed è quella per cui gli uffici comunali rilasciano lo stato di famiglia.

 Nel nucleo familiare sono compresi i componenti della famiglia anagrafica ed i soggetti che pur non avendo la stessa residenza del dichiarante sono fiscalmente a suo carico.

Il nucleo familiare generalmente è composto dal dichiarante, dal coniuge (anche se non presente nello stato di famiglia), dai figli minori, anche se a carico ai fini IRPEF di altre persone  che risiedono con il proprio  genitore, dai figli maggiorenni a carico a fini Irpef.

Lo stato di famiglia attesta i componenti della famiglia anagrafica e deve essere richiesto al Comune di residenza. In sostanza serve per ottenere determinati benefici  di natura fiscale ed economica .

Il nucleo familiare, invece, è un concetto più ampio che comprende sia i conviventi che i non conviventi fiscalmente a carico del dichiarante (ad esempio, relativamente all’Irpef, il figlio che studia all’estero ma è economicamente a carico dei genitori). Questo certificato è funzionale alla compilazione dellISEE, necessario a dimostrare le proprie condizioni economiche per l’ottenimento di benefici.

Ne deriva che stato di famiglia e nucleo familiare, anche se spesso non vengono distinti, sono certamente certificati differenti, sia per composizione che per funzione. Il primo indica la famiglia anagrafica, il secondo tutti i componenti fiscalmente a carico del dichiarante.

Ecco le differenze.

Accade, a volte, che si faccia confusione nel prendere in considerazione lo stato di famiglia e/o il nucleo familiare.

 Al riguardo esistono delle differenze di non poco conto.

Lo stato di famiglia è un documento ufficiale che certificata la composizione del nucleo familiare di ogni cittadino italiano.

Va, tuttavia, evidenziato che questo certificato non si riferisce necessariamente all’esistenza di legami parentali tra soggetti, ma indica semplicemente tutti coloro che vivono preso la stessa abitazione.

 Nello stato di famiglia l’elenco dei coabitanti è riportato indicandone nome, cognome, data e comune di nascita, comune e indirizzo di residenza.

Più segnatamente, lo stato di famiglia è rappresentato da un certificato rilasciato dal proprio Comune in cui vengono elencati i membri della famiglia anagrafica.

 Sono, cioè, inclusi tutti gli inquilini che vivono presso lo stesso indirizzo di residenza, a volte più di una famiglia.
In tal senso, il documento serve anche a definire i rapporti esistenti tra i diversi individui, che non devono essere per forza parentali, ma anche di altra natura (madre, padre, figli, tutori legali, coppie conviventi, di fatto, ecc).

E’ un documento estremamente importante per l’espletamento di diversi adempimenti di natura fiscale o per richieste di natura economica e giuridica. Può essere utile per richiedere gli assegni familiari; per calcolare i redditi dei componenti del nucleo familiare per il modello ISEE (Indicatore della situazione economica equivalente); per richiedere un mutuo; per ottenere determinati benefici economici o fiscali.

Il certificato è rilasciato dall’Ufficio Anagrafe del proprio Comune di residenza, previa esibizione di un documento di identità in corso di validità.

 Per ottenerlo, è necessario provvedere al pagamento di una marca da bollo, qualora il certificato venga rilasciato su carta bollata. In alternativa è possibile richiedere lo stato di famiglia anche online fornendo semplicemente i dati riportati sulla propria tessera sanitaria.

Lo stato di famiglia può anche essere autocertificato dal richiedente.

Ai fini della validità, il documento deve contenere i dati anagrafici personali e dei coabitanti, il numero dei componenti della famiglia e l’indirizzo di residenza.

Diverso è, invece, il nucleo familiare.

Indica, infatti, una unità sociologica, che vive nello stesso alloggio, oltre che una famiglia tradizionale, o una persona fisica che vive sola (in una casa, appartamento, convento o caserma).

Dal punto di vista della statistica e dell’economia, il nucleo familiare è l’unità base negli studi e nei censimenti.

Esso può avere una o più fonti di reddito, che consistono nel membro che percepisce un salario, uno stipendio, un affitto, una pensione, o quant’altro.

Nell’attuale legislazione italiana, il nucleo familiare assume significati diversi a seconda delle leggi; la famiglia anagrafica è invece definita precisamente dal DPR n. 223/89, art.4, ed è quella per cui gli uffici comunali rilasciano lo stato di famiglia.

 Nel nucleo familiare sono compresi i componenti della famiglia anagrafica ed i soggetti che pur non avendo la stessa residenza del dichiarante sono fiscalmente a suo carico.

Il nucleo familiare generalmente è composto dal dichiarante, dal coniuge (anche se non presente nello stato di famiglia), dai figli minori, anche se a carico ai fini IRPEF di altre persone  che risiedono con il proprio  genitore, dai figli maggiorenni a carico a fini Irpef.

Lo stato di famiglia attesta i componenti della famiglia anagrafica e deve essere richiesto al Comune di residenza. In sostanza serve per ottenere determinati benefici  di natura fiscale ed economica .

Il nucleo familiare, invece, è un concetto più ampio che comprende sia i conviventi che i non conviventi fiscalmente a carico del dichiarante (ad esempio, relativamente all’Irpef, il figlio che studia all’estero ma è economicamente a carico dei genitori). Questo certificato è funzionale alla compilazione dellISEE, necessario a dimostrare le proprie condizioni economiche per l’ottenimento di benefici.

Ne deriva che stato di famiglia e nucleo familiare, anche se spesso non vengono distinti, sono certamente certificati differenti, sia per composizione che per funzione. Il primo indica la famiglia anagrafica, il secondo tutti i componenti fiscalmente a carico del dichiarante.

Ecco le differenze.

Avvocato Jacopo Maria Pitorri

Il decreto sul reddito di cittadinanza

In data 28 gennaio 2019, il Capo dello Stato Sergio Mattarella ha firmato il decreto sul reddito di cittadinanza, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, entrato in vigore il successivo 29 gennaio.

In data 28 gennaio 2019, il Capo dello Stato Sergio Mattarella ha firmato il decreto sul reddito di cittadinanza, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, entrato in vigore il successivo 29 gennaio.

Il testo del decreto indica chi ha diritto al reddito di cittadinanza (Rdc), enunciando requisiti, vincoli, regole e tempistica per porre rimedio a due aspetti negativi : povertà e disoccupazione.

Il Decreto Legge n. 4/2019 ha il fine di contrastare povertà, disuguaglianza, esclusione sociale,  di favorire  informazione, istruzione, formazione, cultura  e di promuovere politiche tese al sostegno economico e all’inserimento sociale dei soggetti a rischio di emarginazione nella società e nel mondo del lavoro.

Il relativo modulo per fare la domanda sarà a disposizione di tutti dal mese di marzo. L’erogazione  fino ai  780 euro  previsti partirà da aprile 2019. Al calcolo concorreranno diverse variabili: possesso o affitto dell’abitazione principale, mutui contratti ed eventuali altri redditi percepiti. Le imprese che assumeranno percettori del reddito di cittadinanza potranno godere di un’agevolazione riconosciuta nella forma di sgravio contributivo.

 Il Rdc è compatibile con il godimento della c.d. NASPI ( Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego ( articolo 1, decreto legislativo  4 marzo 2015, n.22) e di altro strumento di sostegno al reddito  per la disoccupazione involontaria ove ricorrano le condizioni. Ai fini del diritto al beneficio e della definizione dell’ammontare del medesimo, gli emolumenti percepiti rilevano secondo quanto previsto dalla disciplina ISEE.

Il Rdc sarà riconosciuto ai nuclei familiari in possesso, al momento della presentazione della domanda, e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, di alcuni requisiti. Il  componente richiedente il beneficio dovrà essere, innanzitutto, in possesso della cittadinanza italiana o di Paesi facenti parte dell’Unione europea, ovvero suo familiare, titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, o proveniente da Paesi che hanno sottoscritto convenzioni bilaterali di sicurezza sociale, oppure cittadino di Paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo. Dovrà altresì essere residente in Italia in via continuativa da almeno 10 anni al momento della presentazione della domanda.

Per ciò che concerne il nucleo familiare, quest’ultimo dovrà possedere un valore dell’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE), di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 5 dicembre 2013, numero 159, inferiore a 9.360,00 euro; un valore del patrimonio immobiliare, come definito a fini ISEE, diverso dalla casa di abitazione, non superiore ad una soglia di euro 30.000,00; un valore del patrimonio mobiliare, come definito a fini ISEE, non superiore a una soglia di euro 6.000,00, accresciuta di euro 2.000,00 per ogni componente il nucleo familiare successivo al primo, fino ad un massimo di euro 10.000,00, incrementato di ulteriori euro 1.000,00 per ogni figlio successivo al secondo; i predetti massimali sono ulteriormente incrementati di euro 5.000,00 per ogni componente con disabilità, come definita a fini ISEE, presente nel nucleo; un valore del reddito familiare inferiore ad una soglia di euro 6.000,00 annui moltiplicata per il corrispondente parametro della scala di equivalenza di cui al comma 4. La predetta soglia verrà incrementata ad euro 7.560,00 ai fini dell’accesso alla Pensione di cittadinanza. In ogni caso la soglia sarà incrementata ad  9.360,00 euro nei casi in cui il nucleo familiare risieda in abitazione in locazione, come da dichiarazione sostitutiva unica ai fini ISEE.

Inoltre nessun componente il nucleo familiare dovrà essere intestatario, a qualunque titolo o avente piena disponibilità, di autoveicoli immatricolati la prima volta nei sei mesi antecedenti la richiesta, ovvero di autoveicoli di cilindrata superiore a 1.600 cc, nonché motoveicoli di cilindrata superiore a 250 cc, immatricolati la prima volta nei due anni antecedenti, esclusi gli autoveicoli e i motoveicoli per cui è prevista una agevolazione fiscale in favore delle persone con disabilità  secondo la disciplina vigente. E nessun componente dovrà essere intestatario, a qualunque titolo o avente piena disponibilità, di navi e imbarcazioni da diporto (articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 18 luglio 2005, numero 171).

Non avranno diritto al Rdc i nuclei familiari che hanno tra i componenti soggetti disoccupati a seguito di dimissioni volontarie nei dodici mesi successivi alla data delle dimissioni, fatte salve le dimissioni per giusta causa.

Al fine di evitare espedienti volti a dare luogo ad abusi e/o inganni di ogni genere, il decreto ha previsto anche le regole per la definizione del nucleo familiare, con norme specifiche per ovviare a false separazioni /divorzi o fuoriuscita dal nucleo familiare di figli disoccupati.

Per beneficiare completamente dei 780 euro, il richiedente dovrà risiedere in una abitazione non di proprietà ma concessa in locazione.

L’integrazione per chi vive in affitto è concessa anche a chi ha intestato un mutuo e fino ad un massimo di 1.800,00 euro annui. Integrazione che sarà concessa ai nuclei familiari residenti in abitazione di proprietà per il cui acquisto o per la cui costruzione sia stato contratto un mutuo  da parte di componenti il medesimo nucleo familiare.

La durata del reddito di cittadinanza è di  18 mesi, stop di 1 mese e 18 mesi rinnovabili dopo la verifica del possesso dei requisiti di accesso e permanenza.

I beneficiari del reddito di cittadinanza dovranno stipulare presso i Centri per l’Impiego, un patto per il lavoro, con obblighi ed impegni da rispettare. E’ prevista la collaborazione con l’operatore addetto alla redazione del bilancio delle competenze, ai fini della definizione del Patto per il lavoro, accettare espressamente gli obblighi e rispettare gli impegni previsti nel Patto per il Lavoro e, nello specifico:

  • registrarsi sull’apposita  piattaforma digitale di cui all’articolo 6, comma 1,  e consultarla quotidianamente  in quanto volta a fornire supporto nella ricerca del lavoro;
  • svolgere ricerca attiva del lavoro, secondo le modalità definite nel Patto per il Lavoro, che, comunque, individua il diario delle attività che devono essere svolte settimanalmente;
  • accettare di essere avviato ai corsi di formazione o riqualificazione professionale, ovvero progetti per favorire l’auto-imprenditorialità, secondo le modalità individuate nel Patto per il Lavoro, tenuto conto del bilancio delle competenze, delle inclinazioni professionali o di eventuali specifiche propensioni;
  • sostenere i colloqui psicoattitudinali e le eventuali prove di selezione finalizzate all’assunzione, su indicazione dei servizi competenti e in attinenza alle competenze certificate;
  • accettare almeno una di tre offerte di lavoro congrue.

Le offerte di lavoro congrue che sarà obbligatorio accettare rinviano ai requisiti stabiliti dall’articolo 25 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150, come integrato al comma 9   (Disposizioni per il riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive, ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge 10 dicembre 2014, n. 183.), ma la distanza tra casa e lavoro sarà calcolata in base ai mesi di fruizione del beneficio.

 Inoltre,  il  testo del D.L 4/2019 precisa che la congruità dell’offerta di lavoro è definita anche con riferimento alla durata di fruizione del beneficio del Rdc.

Più specificamente, sarà definita congrua: 1) la prima offerta di lavoro,  entro  100 km di distanza dalla residenza del beneficiario nei primi dodici mesi  di fruizione del beneficio. 2) la seconda offerta di lavoro, entro 250 km dal luogo di residenza, decorsi dodici mesi di fruizione del beneficio; 3) la terza offerta ovunque nel territorio italiano, in caso di rinnovo del beneficio.

Infatti, in caso di rinnovo del beneficio sarà congrua un’offerta ovunque sia collocata nel territorio nazionale anche nel caso si tratti di prima offerta.

Nel caso di accettazione di una offerta collocata oltre duecentocinquanta chilometri di distanza dalla residenza del beneficiario, questi continuerà a percepire il beneficio economico del reddito di cittadinanza a titolo di compensazione per le spese di trasferimento sostenute, per i successivi tre mesi dall’inizio del nuovo impiego, incrementati a dodici mesi nel caso siano presenti componenti di minore età ovvero componenti con disabilità , come definita ai fini ISEE.

All’impresa che assumerà a tempo pieno e indeterminato il beneficiario di Rdc  sarà riconosciuto uno sgravio di contributi.

E’ stato presentato sia il sito ufficiale del reddito di cittadinanza che la Rdc card, vale a dire la card con la quale sarà possibile spendere  questo  sussidio economico.

In data 28 gennaio 2019, il Capo dello Stato Sergio Mattarella ha firmato il decreto sul reddito di cittadinanza, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, entrato in vigore il successivo 29 gennaio.

Il testo del decreto indica chi ha diritto al reddito di cittadinanza (RDC), enunciando requisiti, vincoli, regole e tempistica per porre rimedio a due aspetti negativi: povertà e disoccupazione.

Il Decreto Legge n. 4/2019 ha il fine di contrastare povertà, disuguaglianza, esclusione sociale, di favorire informazione, istruzione, formazione, cultura  e di promuovere politiche tese al sostegno economico e all’inserimento sociale dei soggetti a rischio di emarginazione nella società e nel mondo del lavoro.

Il relativo modulo per fare la domanda sarà a disposizione di tutti dal mese di marzo. L’erogazione fino ai  780 euro  previsti partirà da aprile 2019. Al calcolo concorreranno diverse variabili: possesso o affitto dell’abitazione principale, mutui contratti ed eventuali altri redditi percepiti. Le imprese che assumeranno percettori del reddito di cittadinanza potranno godere di un’agevolazione riconosciuta nella forma di sgravio contributivo.

 Il RDC è compatibile con il godimento della c.d. NASPI (Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego (articolo 1, decreto legislativo 4 marzo 2015, n.22) e di altro strumento di sostegno al reddito  per la disoccupazione involontaria ove ricorrano le condizioni. Ai fini del diritto al beneficio e della definizione dell’ammontare del medesimo, gli emolumenti percepiti rilevano secondo quanto previsto dalla disciplina ISEE.

Il RDC sarà riconosciuto ai nuclei familiari in possesso, al momento della presentazione della domanda, e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, di alcuni requisiti. Il componente richiedente il beneficio dovrà essere, innanzitutto, in possesso della cittadinanza italiana o di Paesi facenti parte dell’Unione europea, ovvero suo familiare, titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, o proveniente da Paesi che hanno sottoscritto convenzioni bilaterali di sicurezza sociale, oppure cittadino di Paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo. Dovrà altresì essere residente in Italia in via continuativa da almeno 10 anni al momento della presentazione della domanda.

Per ciò che concerne il nucleo familiare, quest’ultimo dovrà possedere un valore dell’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE), di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 5 dicembre 2013, numero 159, inferiore a 9.360,00 euro; un valore del patrimonio immobiliare, come definito a fini ISEE, diverso dalla casa di abitazione, non superiore ad una soglia di euro 30.000,00; un valore del patrimonio mobiliare, come definito a fini ISEE, non superiore a una soglia di euro 6.000,00, accresciuta di euro 2.000,00 per ogni componente il nucleo familiare successivo al primo, fino ad un massimo di euro 10.000,00, incrementato di ulteriori euro 1.000,00 per ogni figlio successivo al secondo; i predetti massimali sono ulteriormente incrementati di euro 5.000,00 per ogni componente con disabilità, come definita a fini ISEE, presente nel nucleo; un valore del reddito familiare inferiore ad una soglia di euro 6.000,00 annui moltiplicata per il corrispondente parametro della scala di equivalenza di cui al comma 4. La predetta soglia verrà incrementata ad euro 7.560,00 ai fini dell’accesso alla Pensione di cittadinanza. In ogni caso la soglia sarà incrementata ad 9.360,00 euro nei casi in cui il nucleo familiare risieda in abitazione in locazione, come da dichiarazione sostitutiva unica ai fini ISEE.

Inoltre nessun componente il nucleo familiare dovrà essere intestatario, a qualunque titolo o avente piena disponibilità, di autoveicoli immatricolati la prima volta nei sei mesi antecedenti la richiesta, ovvero di autoveicoli di cilindrata superiore a 1.600 cc, nonché motoveicoli di cilindrata superiore a 250 cc, immatricolati la prima volta nei due anni antecedenti, esclusi gli autoveicoli e i motoveicoli per cui è prevista una agevolazione fiscale in favore delle persone con disabilità  secondo la disciplina vigente. E nessun componente dovrà essere intestatario, a qualunque titolo o avente piena disponibilità, di navi e imbarcazioni da diporto (articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 18 luglio 2005, numero 171).

Non avranno diritto al Rdc i nuclei familiari che hanno tra i componenti soggetti disoccupati a seguito di dimissioni volontarie nei dodici mesi successivi alla data delle dimissioni, fatte salve le dimissioni per giusta causa.

Al fine di evitare espedienti volti a dare luogo ad abusi e/o inganni di ogni genere, il decreto ha previsto anche le regole per la definizione del nucleo familiare, con norme specifiche per ovviare a false separazioni /divorzi o fuoriuscita dal nucleo familiare di figli disoccupati.

Per beneficiare completamente dei 780 euro, il richiedente dovrà risiedere in una abitazione non di proprietà ma concessa in locazione.

L’integrazione per chi vive in affitto è concessi anche a chi ha intestato un mutuo e fino ad un massimo di 1.800,00 euro annui. Integrazione che sarà concessa ai nuclei familiari residenti in abitazione di proprietà per il cui acquisto o per la cui costruzione sia stato contratto un mutuo da parte di componenti il medesimo nucleo familiare.

La durata del reddito di cittadinanza è di 18 mesi, stop di 1 mese e 18 mesi rinnovabili dopo la verifica del possesso dei requisiti di accesso e permanenza.

I beneficiari del reddito di cittadinanza dovranno stipulare presso i Centri per l’Impiego, un patto per il lavoro, con obblighi ed impegni da rispettare. È prevista la collaborazione con l’operatore addetto alla redazione del bilancio delle competenze, ai fini della definizione del Patto per il lavoro, accettare espressamente gli obblighi e rispettare gli impegni previsti nel Patto per il Lavoro e, nello specifico:

  • registrarsi sull’apposita piattaforma digitale di cui all’articolo 6, comma 1, e consultarla quotidianamente  in quanto volta a fornire supporto nella ricerca del lavoro;
  • svolgere ricerca attiva del lavoro, secondo le modalità definite nel Patto per il Lavoro, che, comunque, individua il diario delle attività che devono essere svolte settimanalmente;
  • accettare di essere avviato ai corsi di formazione o riqualificazione professionale, ovvero progetti per favorire l’auto-imprenditorialità, secondo le modalità individuate nel Patto per il Lavoro, tenuto conto del bilancio delle competenze, delle inclinazioni professionali o di eventuali specifiche propensioni;
  • sostenere i colloqui psicoattitudinali e le eventuali prove di selezione finalizzate all’assunzione, su indicazione dei servizi competenti e in attinenza alle competenze certificate;
  • accettare almeno una di tre offerte di lavoro congrue.

Le offerte di lavoro congrue che sarà obbligatorio accettare rinviano ai requisiti stabiliti dall’articolo 25 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150, come integrato al comma 9 (Disposizioni per il riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive, ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge 10 dicembre 2014, n. 183.), ma la distanza tra casa e lavoro sarà calcolata in base ai mesi di fruizione del beneficio.

 Inoltre, il testo del D.L 4/2019 precisa che la congruità dell’offerta di lavoro è definita anche con riferimento alla durata di fruizione del beneficio del RDC.

Più specificamente, sarà definita congrua: 1) la prima offerta di lavoro, entro 100 km di distanza dalla residenza del beneficiario nei primi dodici mesi  di fruizione del beneficio. 2) la seconda offerta di lavoro, entro 250 km dal luogo di residenza, decorsi dodici mesi di fruizione del beneficio; 3) la terza offerta ovunque nel territorio italiano, in caso di rinnovo del beneficio.

Infatti, in caso di rinnovo del beneficio sarà congrua un’offerta ovunque sia collocata nel territorio nazionale anche nel caso si tratti di prima offerta.

Nel caso di accettazione di una offerta collocata oltre duecentocinquanta chilometri di distanza dalla residenza del beneficiario, questi continuerà a percepire il beneficio economico del reddito di cittadinanza a titolo di compensazione per le spese di trasferimento sostenute, per i successivi tre mesi dall’inizio del nuovo impiego, incrementati a dodici mesi nel caso siano presenti componenti di minore età ovvero componenti con disabilità, come definita ai fini ISEE.

All’impresa che assumerà a tempo pieno e indeterminato il beneficiario di RDC sarà riconosciuto uno sgravio di contributi.

E’ stato presentato sia il sito ufficiale del reddito di cittadinanza che la RDC card, vale a dire la card con la quale sarà possibile spendere questo sussidio economico.

Avv. Iacopo Maria Pitorri