Corte UE: vietato il rimpatrio se c’è il rischio vita

Di recente la Corte di Giustizia europea ha posto dei veri e propri paletti, relativamente alla revoca della protezione per motivi connessi alla sicurezza della comunità. Ciò, spiega l’Avvocato Iacopo Maria Pitorri, in virtù della Direttiva n. 95 del 2011, a prescindere dai comportamenti dell’interessato. In altre parole, se la vita è a rischio, anche chi perde lo status di rifugiato non può essere rimpatriato. Ne deriva, chiarisce l’Avvocato Pitorri, che la Corte Ue, in buona sostanza, abbia stabilito che il diritto dell’Unione Europea riconosce ai rifugiati coinvolti una protezione internazionale più ampia di quella assicurata dalla Convenzione di Ginevra. Di fatto, la revoca dello status di rifugiato, quando c’è un rischio per la persona in questione, fa perdere alcuni benefici previsti dalla direttiva, ma non consente il rimpatrio. La conseguenza è che un cittadino di uno Stato extra-Ue, ovvero apolide, non possa essere rimandato in un Paese dove la sua vita, o la sua libertà, possano essere minacciate. Il caso era stato sollevato da un cittadino ivoriano, e uno congolese, nonché una persona di origini cecene, che si sono visti revocare lo status di rifugiato, o negare il riconoscimento in Belgio e Repubblica Ceca, perché considerati una minaccia alla sicurezza, o condannati per un reato particolarmente grave per la comunità dello Stato membro ospitante.

Secondo l’orientamento dei giudici di Lussemburgo, le disposizioni previste dalla direttiva sui rifugiati sono valide. Tuttavia, la decisione di revocare, o rifiutare il riconoscimento dello status di rifugiato non produce l’effetto di privare una persona né dello status di rifugiato, tantomeno dei diritti che la Convenzione di Ginevra ricollega a tale status (se questa persona ha il fondato timore di essere perseguitata nel suo paese di origine). Oltre ciò, sostiene l’Avvocato Pitorri, non va omesso di considerare che la Carta dei diritti fondamentali dell’Ue vieta categoricamente la tortura, le pene ed i trattamenti inumani o degradanti, a prescindere dal comportamento dell’interessato, e l’allontanamento verso uno Stato dove esista un rischio serio che una persona sia sottoposta a trattamenti di questo tipo.

Anche se andrà chiarito più specificamente come tale decisione possa influenzare la legislazione italiana, conclude l’Avvocato Pitorri, il fatto, comunque, che la Corte Ue del Lussemburgo abbia ampliato i margini per la concessione dello status di rifugiato, non può che cambiare le condizioni di molti migranti.

Avvocato Iacopo Maria Pitorri

I fondi europei e l’immigrazione

I fondi europei sono organizzati in programmi tematici, dedicati a specifici obiettivi, all’interno dei quali sono previsti i fondi. L’Avvocato Iacopo Maria Pitorri spiega che per ogni fondo vengono emanati dei bandi, volti a delineare le caratteristiche dei progetti meritevoli di finanziamento, oltre alle scadenze per la presentazione delle domande.

La politica dei fondi europei, specifica l’Avvocato Pitorri, si sviluppa su periodi di sette anni. I fondi europei si dividono in: fondi diretti, che sono erogati e gestiti direttamente dalla Comunità Europea e fondi strutturali (o indiretti), erogati dalla Comunità, ma gestiti dai Paesi membri attraverso i PON (Programmi Operativi Nazionali) e i POR (Piani Operativi Regionali). In Italia vengono gestiti dalle Regioni. A loro volta, evidenzia l’Avvocato Pitorri, i fondi diretti si dividono in programmi intracomunitari, atti a coinvolgere i Paesi membri dell’Unione, relativi a  politiche interne di interesse europeo (ad esempio le politiche giovanili, la giustizia, l’ambiente, ma soprattutto l’innovazione) e programmi di cooperazioni esterna, che promuovono la cooperazione dei Paesi membri con Paesi terzi rispetto all’Unione.

Rifacendosi ai dati di Bruxelles, elaborati dal Sole 24 Ore, l’Avvocato Pitorri fa emergere un aspetto meritevole di particolare di attenzione. A fronte di un assegno di dodici miliardi di euro versato, l’Italia ha ricevuto fondi europei per quasi dieci miliardi di euro, con uno scarto, quindi, per il nostro Paese di circa due miliardi di euro all’anno. Nel 2017 l’Italia ha versato nelle casse europee 198 euro a persona, ricevendo finanziamenti per circa 162, con una differenza di 36 euro pro capite. È, pertanto, uno dei cosiddetti “contributori netti” della Ue, che versano cioè  più di quanto incassano. Al tempo stesso, il nostro Paese compare tredici volte nella classifica top dei cinque beneficiari, non scivolando mai al di sotto dell’ottava posizione se si considerano i diciannove capitoli-chiave del budget comunitario.

Per ciò che riguarda il ramo immigrazione, di cui l’Avvocato Pitorri si occupa quotidianamente, nello svolgimento della sua attività forense, si evidenzia che nell’ambito del Programma Quadro “Solidarietà e gestione dei flussi migratori” (Programma SOLID), istituito per “garantire un’equa ripartizione delle responsabilità fra Stati Membri, per una gestione integrata delle frontiere esterne all’UE e per implementare politiche comuni in tema di immigrazione e asilo”, al Ministero dell’Interno è affidata la gestione di quattro strumenti finanziari. Innanzitutto il Fondo Europeo per l’Integrazione di cittadini di Paesi Terzi: nato con l’obiettivo di sostenere gli Stati membri dell’Unione Europea, attraverso politiche che consentano ai cittadini di Paesi terzi, giunti legalmente in Europa, di soddisfare le condizioni di soggiorno e di integrarsi più facilmente nelle società ospitanti. Poi il Fondo Europeo per i Rifugiati: rivolto agli Stati che accolgono richiedenti asilo, è a sostegno di programmi e azioni connesse alla integrazione delle persone il cui soggiorno è di natura durevole e stabile. Il fondo prevede anche misure per affrontare arrivi improvvisi in caso di guerre e conflitti internazionali. Ancora il Fondo Europeo per i Rimpatri: volto a garantire una politica efficace di ritorno – in conformità con la Carta dei diritti fondamentali e sulla base della preferenza per il rimpatrio volontario – per far fronte all’immigrazione irregolare. Da ultimo il Fondo Europeo per le Frontiere Esterne: l’obiettivo di questo strumento è assicurare controlli alle frontiere esterne uniformi e di alta qualità favorendo un traffico di frontiera flessibile anche mediante il co-finanziamento o di azioni mirate o di iniziative nazionali per la cooperazione tra Stati membri riguardo la politica dei visti. Ciascuno dei quattro Fondi SOLID si attua mediante la definizione di un Programma pluriennale, le cui linee guida vengono recepite all’interno dei singoli Programmi annuali. Puntualizza, infine, l’Avvocato Pitorri che nella struttura organizzativa delineata dal Ministero dell’Interno, la gestione del Fondo Europeo per le Frontiere Esterne è affidata al Dipartimento della Pubblica Sicurezza, mentre quella del Fondo Europeo per l’Integrazione, del Fondo Europeo per i Rifugiati e del Fondo Rimpatri al Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione.

Avvocato Iacopo Maria Pitorri

FRONTEX: cosa è e cosa fa

L’Avvocato Iacopo Maria Pitorri, nell’approfondire le tematiche legate al fenomeno immigratorio, spiega cosa è, e che attività svolge, Frontex. Si tratta dell’Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione Europea. Una istituzione dell’UE, più segnatamente, che tra i suoi obiettivi primari ha quello di coordinare le missioni di pattugliamento delle frontiere esterne aeree, marittime e terrestri degli Stati dell’Unione Europea, oltre a quello di dare appoggio, ovviamente, agli stati membri in operazioni comuni di rimpatrio dei migranti irregolari. Chiarisce l’Avvocato Pitorri, che questa fondamentale Agenzia europea è nata nel 2004, con il decreto del Consiglio Europeo n. 2007, al fine di rafforzare e ottimizzare la cooperazione tra le autorità nazionali di frontiera, Frontex.Tra i compiti enunciati nel suo regolamento, vi è quello di  coordinare la cooperazione operativa tra gli Stati membri nella gestione delle frontiere esterne e di  assistere gli Stati membri in materia di formazione del corpo nazionale delle guardie di confine, anche per quanto concerne la definizione di standard comuni di formazione. Frontex realizza, poi, analisi dei rischi e segue gli sviluppi della ricerca pertinenti al controllo e alla sorveglianza delle frontiere esterne. Offre, infine agli Stati membri il supporto necessario per l’organizzazione di operazioni di rimpatrio congiunte. L’Agenzia, evidenzia l’Avvocato Pitorri, si occupa anche della formazione per gli agenti dei servizi nazionali degli Stati membri, sui temi riguardanti il controllo e la sorveglianza delle frontiere esterne e il rimpatrio dei cittadini di paesi terzi. Può organizzare attività di formazione in cooperazione con gli Stati membri nel loro territorio. Opera in stretta connessione con altri organismi comunitari e dell’UE responsabili in materia di sicurezza alle frontiere esterne, come EUROPOL, CEPOL, OLAF, e di cooperazione nel settore delle dogane e dei controlli fitosanitari e veterinari, al fine di garantire la coerenza complessiva del sistema. Frontex, in buona sostanza, svolge la sua nobile opera salvaguardando certamente le frontiere esterne, senza, tuttavia, tralasciare gli obblighi umanitari nei confronti di coloro che fuggono da guerre e persecuzioni

Avvocato Iacopo Maria Pitorri

L’Unione Europea ed il diritto di asilo politico

L’Avvocato Iacopo Maria Pitorri ha approfondito lo studio della tematica “diritto di asilo”, analizzandola dal punto di vista dell’Unione Europea. È emerso che l’obiettivo della politica dell’UE sia quello di offrire uno status appropriato a qualunque cittadino di un paese terzo, che abbia bisogno di protezione internazionale in uno degli Stati membri. Per raggiungere tale finalità, l’UE sta tentando – ormai da molto tempo – di migliorare il sistema comune europeo di asilo.

L’Avvocato Iacopo Maria Pitorri ha approfondito lo studio della tematica “diritto di asilo”, analizzandola dal punto di vista dell’Unione Europea. E’ emerso che l’obiettivo della politica dell’UE sia quello di offrire uno status appropriato a qualunque cittadino di un paese terzo, che abbia bisogno di protezione internazionale in uno degli Stati membri. Per raggiungere tale finalità, l’UE sta tentando – ormai da molto tempo – di migliorare il sistema comune europeo di asilo.

Per giungere a tale scopo, bisogna chiaramente agire in conformità della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, nonché del Protocollo del 31 gennaio 1967. Si è, pertanto, tentato di dar vita ad un sistema europeo comune di asilo (CEAS).

L’Avvocato Pitorri precisa che il CEAS è in continua evoluzione/perfezionamento, attraverso il delinearsi di  non poche iniziative legislative e discussioni tra il Parlamento e il Consiglio.

In particolare, dalla fine del 2016, il Parlamento ha raggiunto un accordo provvisorio con il Consiglio, mirando ad una trasformazione dell’EASO da un’agenzia di sostegno dell’UE ad una vera e propria agenzia dell’Unione Europea per l’asilo (EUAA), incaricata di agevolare il funzionamento del CEAS. Questo al fine di assicurare la convergenza nella valutazione delle domande di asilo in tutta l’UE e di monitorare l’applicazione operativa e tecnica del diritto dell’Unione.

Spaziando l’approfondimento svolto dall’Avvocato Pitorri anche a livello mondiale, è stato rilevato che da un paio di anni l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato all’unanimità la dichiarazione di New York per i rifugiati e i migranti. Si tratta di una fondamentale dichiarazione politica volta a migliorare il modo in cui la comunità internazionale risponde ai grandi spostamenti di rifugiati e migranti, nonché a situazioni di presenza prolungata dei rifugiati. Ciò stabilendo, a favore dei rifugiati, azioni specifiche da intraprendere al fine di alleviare la pressione che grava sui paesi ospitanti, accrescimento di autonomia dei rifugiati nei paesi terzi, linee guida per il raggiungimento di soluzioni che prevedono il coinvolgimento di paesi terzi, ovvero l’attuazione delle  condizioni necessarie per consentire il ritorno sicuro e dignitoso dei rifugiati.

Alla luce di quanto sopra detto, nella sua sessione plenaria di aprile 2018, pertanto, il Parlamento europeo ha dichiarato che l’UE e i suoi Stati membri devono assumere un ruolo di guida nei negoziati in corso a livello mondiale, al fine di concordare i due patti, in particolare in considerazione della decisione degli Stati Uniti di ritirarsi dai negoziati.

Parlando di numeri, l’Avvocato Pitorri, rifacendosi ai dati pubblicati dall’Ufficio Europeo per il sostegno all’asilo, fa presente che  non sussiste più, come in passato uno stato di emergenza.  Nel 2018, invero, sono state presente 634.700 richieste di asilo in Europa. Una cifra pari al 10% in meno a quella del 2017. Circa il 4% delle domande presentate nel 2018, pari a 25.388 richieste inoltrate, ha riguardato minori non accompagnati, soprattutto provenienti da Gambia e Vietnam.

I richiedenti asilo più numerosi sono stati i siriani. Rileva l’EASO che nel 2018 circa 74.800 domande di protezione internazionale sono state presentate da nazionali del Paese mediorientale. Numeri comunque in calo rispetto ai dati del 2017. Ulteriormente si specifica che i tre principali paesi di origine (rappresentanti il 26% di tutte le domande nel 2018) sono stati Afghanistan (45.300 domande), Iraq (42.100 domande), Siria. Tra i primi dieci paesi di origine figurano anche Pakistan (5%), Iran, Nigeria, Turchia, Venezuela (4% ciascuno ), Albania e Georgia (3% ciascuno). Lo scorso anno, inoltre, gli Stati membri dell’Ue hanno emesso circa 593.500 decisioni di prima istanza nel 2018, per l’EASO: un significativo 40% in meno rispetto al 2017. 

Tra le notevoli modifiche del sistema, vi è stata quella inerente la  protezione umanitaria. Precedentemente durava per due anni e dava accesso al lavoro, alle prestazioni sociali e all’edilizia popolare. Al suo posto  il decreto ha introdotto una serie di permessi speciali (per protezione sociale, per ragioni di salute, per calamità naturale nel paese d’origine), della durata massima di un anno. Numerose disposizioni del decreto hanno contribuito alla eliminazione della protezione umanitaria, che fino ad oggi era stata assegnata a circa metà dei richiedenti asilo (i quali hanno visto accogliere positivamente la propria domanda). Oggi, comunque, nonostante il decreto Sicurezza l’abbia cancellata, l’Avvocato Pitorri fa presente che le commissioni per l’asilo stanno riprendendo a concederla. I dati del mese di febbraio lo confermano: i rifugiati che hanno ottenuto un permesso umanitario sono  passati dal 2% di gennaio al 28% di febbraio 2019.

La sentenza della Corte di Cassazione n. 11132 del 26 aprile scorso, tra l’altro, ha cambiato completamente lo scenario relativo al diritto di asilo. Chiarisce l’Avvocato Pitorri, al riguardo, che per negare l’asilo a un richiedente bisogna provare che, tornando nel suo Paese, lo stesso non rischierebbe la vita. Sono, quindi, necessarie prove e fonti certe, da prendere in considerazione da parte dei magistrati, per rigettare il ricorso di un migrante che chiede il riconoscimento del diritto di asilo politico. Ciò, dal punto di vista pratico, fa presente l’Avvocato Pitorri, muta completamente le cose posto che la negazione del diritto di asilo non sarà più di così semplice determinazione come è stato finora ma dovrà essere specificamente ponderata e valutata con opportune indagini da parte dei giudici. Se ne deduce che le speranze di molti migranti, al riguardo, tornano a riaccendersi.

L’Avvocato Iacopo Maria Pitorri ha approfondito lo studio della tematica “diritto di asilo”, analizzandola dal punto di vista dell’Unione Europea. È emerso che l’obiettivo della politica dell’UE sia quello di offrire uno status appropriato a qualunque cittadino di un paese terzo, che abbia bisogno di protezione internazionale in uno degli Stati membri. Per raggiungere tale finalità, l’UE sta tentando – ormai da molto tempo – di migliorare il sistema comune europeo di asilo.

Per giungere a tale scopo, bisogna chiaramente agire in conformità della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, nonché del Protocollo del 31 gennaio 1967. Si è, pertanto, tentato di dar vita ad un sistema europeo comune di asilo (CEAS).

L’Avvocato Pitorri precisa che il CEAS è in continua evoluzione/perfezionamento, attraverso il delinearsi di non poche iniziative legislative e discussioni tra il Parlamento e il Consiglio.

In particolare, dalla fine del 2016, il Parlamento ha raggiunto un accordo provvisorio con il Consiglio, mirando ad una trasformazione dell’EASO da un’agenzia di sostegno dell’UE ad una vera e propria agenzia dell’Unione Europea per l’asilo (EUAA), incaricata di agevolare il funzionamento del CEAS. Questo al fine di assicurare la convergenza nella valutazione delle domande di asilo in tutta l’UE e di monitorare l’applicazione operativa e tecnica del diritto dell’Unione.

Spaziando l’approfondimento svolto dall’Avvocato Pitorri anche a livello mondiale, è stato rilevato che da un paio di anni l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato all’unanimità la dichiarazione di New York per i rifugiati e i migranti. Si tratta di una fondamentale dichiarazione politica volta a migliorare il modo in cui la comunità internazionale risponde ai grandi spostamenti di rifugiati e migranti, nonché a situazioni di presenza prolungata dei rifugiati. Ciò stabilendo, a favore dei rifugiati, azioni specifiche da intraprendere al fine di alleviare la pressione che grava sui paesi ospitanti, accrescimento di autonomia dei rifugiati nei paesi terzi, linee guida per il raggiungimento di soluzioni che prevedono il coinvolgimento di paesi terzi, ovvero l’attuazione delle condizioni necessarie per consentire il ritorno sicuro e dignitoso dei rifugiati.

Alla luce di quanto sopra detto, nella sua sessione plenaria di aprile 2018, pertanto, il Parlamento europeo ha dichiarato che l’UE e i suoi Stati membri devono assumere un ruolo di guida nei negoziati in corso a livello mondiale, al fine di concordare i due patti, in particolare in considerazione della decisione degli Stati Uniti di ritirarsi dai negoziati.

Parlando di numeri, l’Avvocato Pitorri, rifacendosi ai dati pubblicati dall’Ufficio Europeo per il sostegno all’asilo, fa presente che non sussiste più, come in passato uno stato di emergenza.  Nel 2018, invero, sono state presente 634.700 richieste di asilo in Europa. Una cifra pari al 10% in meno a quella del 2017. Circa il 4% delle domande presentate nel 2018, pari a 25.388 richieste inoltrate, ha riguardato minori non accompagnati, soprattutto provenienti da Gambia e Vietnam.

I richiedenti asilo più numerosi sono stati i siriani. Rileva l’EASO che nel 2018 circa 74.800 domande di protezione internazionale sono state presentate da nazionali del Paese mediorientale. Numeri comunque in calo rispetto ai dati del 2017. Ulteriormente si specifica che i tre principali paesi di origine (rappresentanti il 26% di tutte le domande nel 2018) sono stati Afghanistan (45.300 domande), Iraq (42.100 domande), Siria. Tra i primi dieci paesi di origine figurano anche Pakistan (5%), Iran, Nigeria, Turchia, Venezuela (4% ciascuno), Albania e Georgia (3% ciascuno). Lo scorso anno, inoltre, gli Stati membri dell’Ue hanno emesso circa 593.500 decisioni di prima istanza nel 2018, per l’EASO: un significativo 40% in meno rispetto al 2017. 

Tra le notevoli modifiche del sistema, vi è stata quella inerente la protezione umanitaria. Precedentemente durava per due anni e dava accesso al lavoro, alle prestazioni sociali e all’edilizia popolare. Al suo posto il decreto ha introdotto una serie di permessi speciali (per protezione sociale, per ragioni di salute, per calamità naturale nel paese d’origine), della durata massima di un anno. Numerose disposizioni del decreto hanno contribuito alla eliminazione della protezione umanitaria, che fino ad oggi era stata assegnata a circa metà dei richiedenti asilo (i quali hanno visto accogliere positivamente la propria domanda). Oggi, comunque, nonostante il decreto Sicurezza l’abbia cancellata, l’Avvocato Pitorri fa presente che le commissioni per l’asilo stanno riprendendo a concederla. I dati del mese di febbraio lo confermano: i rifugiati che hanno ottenuto un permesso umanitario sono passati dal 2% di gennaio al 28% di febbraio 2019.

La sentenza della Corte di Cassazione n. 11132 del 26 aprile scorso, tra l’altro, ha cambiato completamente lo scenario relativo al diritto di asilo. Chiarisce l’Avvocato Pitorri, al riguardo, che per negare l’asilo a un richiedente bisogna provare che, tornando nel suo Paese, lo stesso non rischierebbe la vita. Sono, quindi, necessarie prove e fonti certe, da prendere in considerazione da parte dei magistrati, per rigettare il ricorso di un migrante che chiede il riconoscimento del diritto di asilo politico. Ciò, dal punto di vista pratico, fa presente l’Avvocato Pitorri, muta completamente le cose posto che la negazione del diritto di asilo non sarà più di così semplice determinazione come è stato finora ma dovrà essere specificamente ponderata e valutata con opportune indagini da parte dei giudici. Se ne deduce che le speranze di molti migranti, al riguardo, tornano a riaccendersi.

Avvocato Iacopo Maria Pitorri

Le Elezioni Europee 2019

Con il voto alle elezioni europee, i cittadini europei, dal 23 al 26 maggio 2019  eleggeranno il prossimo Parlamento europeo; saranno cioè chiamati a scegliere i 705 membri che li rappresenteranno in Europa fino al 2024.

Con il voto alle elezioni europee, i cittadini europei, dal 23 al 26 maggio 2019  eleggeranno il prossimo Parlamento europeo; saranno cioè chiamati a scegliere i 705 membri che li rappresenteranno in Europa fino al 2024.

Vi sarà, quindi, una nuova Europa, per i prossimi anni, auspicabilmente più efficace, che dovrà agire affrontando importanti scelte in merito all’occupazione, alle imprese, alla sicurezza, alla migrazione e ai cambiamenti climatici.

Dal 1957 l’Unione europea svolge il suo lavoro a favore dei cittadini, adoperandosi per la pace, contribuendo alla salvaguardia dei diritti politici, sociali ed economici fondamentali. E’ bene, in vero, rammentare che l’Europa centrale e occidentale non ha mai conosciuto un periodo senza guerre così lungo. L’UE costituisce il progetto di pace di maggior successo della storia.

Il mercato unico è il mercato più sviluppato e aperto del mondo. Si basa sulle quattro libertà fondamentali dell’UE, che permettono ai cittadini di vivere e lavorare in qualsiasi paese dell’UE, di trasferire denaro, vendere beni senza limitazioni e fornire servizi secondo gli stessi criteri.

Considerato, poi che i Paesi dell’UE collaborano strettamente, i nostri alimenti e il nostro ambiente soddisfano alcune tra le norme di qualità più rigorose al mondo. Le imprese senza scrupoli non possono vendere alimenti contaminati o inquinare impunemente fiumi e campagne.

Anche, nel quotidiano, i consumatori possono sentirsi al sicuro sapendo che riceveranno un rimborso se restituiscono un prodotto. Gli standard che i beni venduti nei negozi dell’UE devono soddisfare sono tra i più rigorosi al mondo, sia in termini di qualità che  di sicurezza.

L’UE tutela tutte le minoranze e i gruppi vulnerabili e difende le persone oppresse. L’UE promuove sulla parità di trattamento per tutti, a prescindere da nazionalità, sesso, lingua parlata, cultura, professione, disabilità o orientamento sessuale.

Oltre ciò, agendo in modalità uniforme, i Paesi dell’UE hanno maggiore peso sulla scena mondiale politica, rispetto a ventotto nazioni di piccole e medie dimensioni, che agiscono separatamente. A livello commerciale, le norme dell’Unione per la regolamentazione e i prodotti sono adottate in tutto il mondo.

Ulteriormente va evidenziato che tutti i lavoratori sono protetti dal trattamento iniquo sul luogo di lavoro previsto dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE. È vietata, invero, la discriminazione, anche in termini di retribuzione e di licenziamenti. In qualità di cittadino dell’UE, si è infatti protetti dagli effetti negativi della globalizzazione grazie al sostegno dell’UE alle piccole imprese, nonché alle norme che garantiscono che le grandi imprese paghino la loro parte di imposte.

Con il voto alle elezioni europee, i cittadini europei, dal 23 al 26 maggio 2019  eleggeranno il prossimo Parlamento europeo; saranno cioè chiamati a scegliere i 705 membri che li rappresenteranno in Europa fino al 2024.

Vi sarà, quindi, una nuova Europa, per i prossimi anni, auspicabilmente più efficace, che dovrà agire affrontando importanti scelte in merito all’occupazione, alle imprese, alla sicurezza, alla migrazione e ai cambiamenti climatici.

Dal 1957 l’Unione europea svolge il suo lavoro a favore dei cittadini, adoperandosi per la pace, contribuendo alla salvaguardia dei diritti politici, sociali ed economici fondamentali.

È bene, in vero, rammentare che l’Europa centrale e occidentale non ha mai conosciuto un periodo senza guerre così lungo. L’UE costituisce il progetto di pace di maggior successo della storia.

Il Mercato Unico è il mercato più sviluppato e aperto del mondo. Si basa sulle quattro libertà fondamentali dell’UE, che permettono ai cittadini di vivere e lavorare in qualsiasi paese dell’UE, di trasferire denaro, vendere beni senza limitazioni e fornire servizi secondo gli stessi criteri.

Considerato, poi che i Paesi dell’UE collaborano strettamente, i nostri alimenti e il nostro ambiente soddisfano alcune tra le norme di qualità più rigorose al mondo. Le imprese senza scrupoli non possono vendere alimenti contaminati o inquinare impunemente fiumi e campagne.

Anche, nel quotidiano, i consumatori possono sentirsi al sicuro sapendo che riceveranno un rimborso se restituiscono un prodotto. Gli standard che i beni venduti nei negozi dell’UE devono soddisfare sono tra i più rigorosi al mondo, sia in termini di qualità che di sicurezza.

L’UE tutela tutte le minoranze e i gruppi vulnerabili e difende le persone oppresse. L’UE promuove sulla parità di trattamento per tutti, a prescindere da nazionalità, sesso, lingua parlata, cultura, professione, disabilità o orientamento sessuale.

Oltre ciò, agendo in modalità uniforme, i Paesi dell’UE hanno maggiore peso sulla scena mondiale politica, rispetto a ventotto nazioni di piccole e medie dimensioni, che agiscono separatamente. A livello commerciale, le norme dell’Unione per la regolamentazione e i prodotti sono adottate in tutto il mondo.

Ulteriormente va evidenziato che tutti i lavoratori sono protetti dal trattamento iniquo sul luogo di lavoro previsto dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE. È vietata, invero, la discriminazione, anche in termini di retribuzione e di licenziamenti. In qualità di cittadino dell’UE, si è infatti protetti dagli effetti negativi della globalizzazione grazie al sostegno dell’UE alle piccole imprese, nonché alle norme che garantiscono che le grandi imprese paghino la loro parte di imposte.

Avv. Iacopo Maria Pitorri

La questione migratoria e l’Unione Europea

La questione migratoria che l’Europa sta attualmente affrontando si è andata ormai sempre più sviluppando da diversi anni. Le difficoltà degli Stati membri di far fronte ai flussi, dividendosi e ricorrendo a risposte unilaterali piuttosto che cercare una risposta comune, ha comportato un aggravarsi della situazione dal 2015, anno in cui i flussi diretti verso l’Europa raggiunto il loro apice.

La questione migratoria che l’Europa sta attualmente affrontando si è andata ormai sempre più sviluppando da diversi anni.. Le difficoltà degli Stati membri di far fronte ai flussi, dividendosi e ricorrendo a risposte unilaterali piuttosto che cercare una risposta comune, ha comportato un aggravarsi della situazione dal 2015, anno in cui i flussi diretti verso l’Europa raggiunto il loro apice.

 Si ritiene che vi siano alcuni limiti che caratterizzano gli strumenti di cui l’Unione si è dotata in ambito migratorio. Uno di questi è costituito dal  Regolamento di Dublino. Più specificamente si tratta di un trattato internazionale multilaterale in tema di diritto di asilo, che verte sul principio secondo cui lo Stato che permette l’ingresso di un richiedente asilo nel suo territorio è responsabile dell’esame della sua richiesta. Oltre ciò, qualora si verifichino movimenti secondari verso un altro Stato membro, la convenzione prevede il trasferimento di questi individui al Paese di primo ingresso.

Ciò, tuttavia, ha fatto sì che il peso dei flussi migratori continuasse a gravare su pochi Paesi che, per una mera questione geografica, si sono trovati soli a gestire l’elevato numero di arrivi. Basti pensare che nel 2014 cinque stati membri hanno gestito il 72% delle richieste d’asilo in Europa. L’Unione europea, di fronte agli evidenti limiti dei propri strumenti, all’impossibilità di trovare una risposta comune basata sul principio di solidarietà e alle conseguenze che questa situazione ha avuto da subito  sull’opinione pubblica,  ha cominciato a percepire l’immigrazione come un problema per l’Ue. Per tale ragione ha iniziato a guardare a Stati terzi, nel tentativo di muoversi verso un processo di esternalizzazione del fenomeno migratorio. Nel 2015 l’Unione europea ha compreso l’importanza di trovare una soluzione per limitare i flussi diretti verso il suo territorio. L’UE   ha promosso una nuova strategia incentrata sull’azione esterna, basata su un approccio tra sviluppo e controllo delle frontiere. La prima azione posta in essere dall’Unione Europea per risolvere il problema (vale a dire bloccare i flussi migratori, per prevenire il subentrare della responsabilità nei confronti dei migranti), si è manifestata nell’accordo tra la stessa e la Turchia, nel 2016. L’accordo è stato presentato dalla Commissione e dal Consiglio europeo come un importante strumento, voluto per arginare le difficoltà del momento che l’Unione si è trovata ad affrontare nel ricorrere a strumenti di emergenza per farvi fronte. Ha, ovviamente, suscitato non poche critiche, soprattutto inerenti le condizioni dei richiedenti asilo in Turchia, inclusa la possibile violazione del principio di non respingimento, ossia l’impossibilità di espellere individui aventi diritto allo status di rifugiato, così come sancito nella Convenzione delle Nazioni Unite sui rifugiati del 1954. Risultato: l’accordo con la Turchia ha portato a una forte riduzione dei flussi.

La Commissione, preso atto del successo dell’accordo Ue-Turchia, ha deciso di istituzionalizzarne il modello. Ha, pertanto, presentato il Migration Partnership Framework (Mpf), ottenendo l’appoggio del Consiglio europeo, riunitosi in un vertice informale il 28 giugno 2016. Tra gli obiettivi primari vi ha assunto particolare rilievo quello di salvare il maggior numero possibile di vite nel Mediterraneo e di incrementare il numero dei rimpatri verso i paesi di origine e transito. Oltre ciò, vi è stata  la volontà di affrontare le cause scatenanti dei fenomeni migratori, lavorando sul miglioramento delle condizioni nei Paesi di origine.

Sotto il profilo della realizzazione, tuttavia, sono stati sollevati molti dubbi. Ciò perché il MPF dovrebbe essere regolato dall’articolo 21 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Euroepa (Tfue), il quale sancisce l’importanza che l’azione dell’Unione dal punto di vista internazionale   venga perseguita secondo i principi che ne hanno ispirato la creazione (tra cui la protezione dei diritti fondamentali). Nel documento, infatti, la Commissione ha evidenziato come nessun’area di azione dell’Unione avrebbe dovuto essere esentata da questo approccio, al fine di dare massima rilevanza alla cooperazione in ambito migratorio. Quella che si viene a verificare oggi, quindi, altro non è che la normalizzazione di un’azione dell’Unione Europea presentata come necessaria per fronteggiare una situazione emergenziale già da diversi anni.

Il MPF rappresenta un capovolgimento per l’azione esterna dell’Ue:  precedentemente volta ad utilizzare i fondi per far rispettare e rafforzare i diritti fondamentali nei Paesi partner; attualmente incentrata quasi esclusivamente sulla riduzione dei flussi.

Un cambiamento che può essere ricondotto all’impatto della crisi migratoria sull’Unione Europea.

La questione migratoria che l’Europa sta attualmente affrontando si è andata ormai sempre più sviluppando da diversi anni. Le difficoltà degli Stati membri di far fronte ai flussi, dividendosi e ricorrendo a risposte unilaterali piuttosto che cercare una risposta comune, ha comportato un aggravarsi della situazione dal 2015, anno in cui i flussi diretti verso l’Europa raggiunto il loro apice.

 Si ritiene che vi siano alcuni limiti che caratterizzano gli strumenti di cui l’Unione si è dotata in ambito migratorio. Uno di questi è costituito dal Regolamento di Dublino. Più specificamente si tratta di un trattato internazionale multilaterale in tema di diritto di asilo, che verte sul principio secondo cui lo Stato che permette l’ingresso di un richiedente asilo nel suo territorio è responsabile dell’esame della sua richiesta. Oltre ciò, qualora si verifichino movimenti secondari verso un altro Stato membro, la convenzione prevede il trasferimento di questi individui al Paese di primo ingresso.

Ciò, tuttavia, ha fatto sì che il peso dei flussi migratori continuasse a gravare su pochi Paesi che, per una mera questione geografica, si sono trovati soli a gestire l’elevato numero di arrivi. Basti pensare che nel 2014 cinque stati membri hanno gestito il 72% delle richieste d’asilo in Europa. L’Unione europea, di fronte agli evidenti limiti dei propri strumenti, all’impossibilità di trovare una risposta comune basata sul principio di solidarietà e alle conseguenze che questa situazione ha avuto da subito  sull’opinione pubblica,  ha cominciato a percepire l’immigrazione come un problema per l’Ue. Per tale ragione ha iniziato a guardare a Stati terzi, nel tentativo di muoversi verso un processo di esternalizzazione del fenomeno migratorio. Nel 2015 l’Unione europea ha compreso l’importanza di trovare una soluzione per limitare i flussi diretti verso il suo territorio. L’UE   ha promosso una nuova strategia incentrata sull’azione esterna, basata su un approccio tra sviluppo e controllo delle frontiere. La prima azione posta in essere dall’Unione Europea per risolvere il problema (vale a dire bloccare i flussi migratori, per prevenire il subentrare della responsabilità nei confronti dei migranti), si è manifestata nell’accordo tra la stessa e la Turchia, nel 2016. L’accordo è stato presentato dalla Commissione e dal Consiglio europeo come un importante strumento, voluto per arginare le difficoltà del momento che l’Unione si è trovata ad affrontare nel ricorrere a strumenti di emergenza per farvi fronte. Ha, ovviamente, suscitato non poche critiche, soprattutto inerenti alle condizioni dei richiedenti asilo in Turchia, inclusa la possibile violazione del principio di non respingimento, ossia l’impossibilità di espellere individui aventi diritto allo status di rifugiato, così come sancito nella Convenzione delle Nazioni Unite sui rifugiati del 1954. Risultato: l’accordo con la Turchia ha portato a una forte riduzione dei flussi.

La Commissione, preso atto del successo dell’accordo Ue-Turchia, ha deciso di istituzionalizzarne il modello. Ha, pertanto, presentato il Migration Partnership Framework (Mpf), ottenendo l’appoggio del Consiglio europeo, riunitosi in un vertice informale il 28 giugno 2016. Tra gli obiettivi primari vi ha assunto particolare rilievo quello di salvare il maggior numero possibile di vite nel Mediterraneo e di incrementare il numero dei rimpatri verso i paesi di origine e transito. Oltre ciò, vi è stata la volontà di affrontare le cause scatenanti dei fenomeni migratori, lavorando sul miglioramento delle condizioni nei Paesi di origine.

Sotto il profilo della realizzazione, tuttavia, sono stati sollevati molti dubbi. Ciò perché il MPF dovrebbe essere regolato dall’articolo 21 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Euroepa (Tfue), il quale sancisce l’importanza che l’azione dell’Unione dal punto di vista internazionale   venga perseguita secondo i principi che ne hanno ispirato la creazione (tra cui la protezione dei diritti fondamentali). Nel documento, infatti, la Commissione ha evidenziato come nessun’area di azione dell’Unione avrebbe dovuto essere esentata da questo approccio, al fine di dare massima rilevanza alla cooperazione in ambito migratorio. Quella che si viene a verificare oggi, quindi, altro non è che la normalizzazione di un’azione dell’Unione Europea presentata come necessaria per fronteggiare una situazione emergenziale già da diversi anni.

Il MPF rappresenta un capovolgimento per l’azione esterna dell’Ue: precedentemente volta ad utilizzare i fondi per far rispettare e rafforzare i diritti fondamentali nei Paesi partner; attualmente incentrata quasi esclusivamente sulla riduzione dei flussi.

Un cambiamento che può essere ricondotto all’impatto della crisi migratoria sull’Unione Europea.

Avv. Iacopo Maria Pitorri

La crisi dei migranti in Europa

L’immigrazione in Europa è aumentata significativamente dal 2015. L’Unione Europea è sempre in costante attività per affrontare nel modo migliore questa crisi senza precedenti. Negli ultimi anni, invero milioni di persone sono arrivati in Europa in fuga dai conflitti, dal terrore e dalle persecuzioni che imperversano nei loro paesi di origine. Basti pensare che delle prime 1,2 milioni domande di asilo presentate in Europa nel 2016, oltre un quarto provenivano dalla Siria, ormai devastata dalla guerra. Ed anche in Afghanistan e Iraq i civili sono costantemente minacciati dai gruppi di ribelli estremisti.

A marzo 2016 l’Unione europea e il governo turco hanno raggiunto un accordo per inviare in Turchia tutti i migranti irregolari che la attraversano per arrivare alle isole greche. Dal  maggio del 2016, pertanto, si è verificato un ingente aumento del numero di migranti che attraversano il Mediterraneo dall’Africa verso le coste italiane.

La crisi dei migranti in Europa ha messo in evidenza le carenze del Sistema europeo comune di asilo.

Oltre un anno fa, a novembre 2017 gli eurodeputati hanno approvato la posizione del Parlamento sulla riforma del sistema di Dublino, che statuisce il paese responsabile per le domande di asilo.  Anche il Parlamento europeo ha sempre partecipato ai lavori per adottare nuove misure per la gestione dell’immigrazione clandestina, per il potenziamento dei controlli delle frontiere e per la creazione di un sistema più efficace di raccolta e archiviazione delle informazioni su coloro che entrano nell’UE.

Posto che il regolamento di Dublino ha contribuito a lasciare a paesi di confine come Grecia e Italia la gran parte del carico delle crisi migratorie degli ultimi anni, oltre ad una radicale riforma del sistema, il Parlamento europeo chiede di rendere più efficaci le verifiche alle frontiere e migliorare la capacità degli Stati membri di monitorare le persone che entrano in Europa. Gli eurodeputati, in buona sostanza, intendono porre in essere delle regole europee chiare per distinguere fra immigrati e rifugiati, in modo da assicurare un trattamento corretto dei richiedenti asilo, facendo anche in modo che ogni Stato membro contribuisca equamente alla ridistribuzione dei rifugiati.

Il 2018 è stato un anno in cui il tema dei migranti è stato cruciale nel dibattito politico sia italiano che europeo. Navi bloccate in mezzo al mare, porti chiusi e giochi di forza tra stati europei, il tutto sulla pelle di coloro che il mare lo devono affrontare con l’illusione di una nuova e migliore vita. Considerando l’insieme delle coste europee, nell’ultimo anno sono giunti 138.882 migranti (nel 2017 sono arrivate 172.301 persone). Per quanto riguarda l’Italia, il 2018 è stato un anno in cui le migrazioni nel Mediterraneo sono sensibilmente calate. Dall’inizio del 2018 sono stati 16.566 i migranti sbarcati in Italia, il 79,07% in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, quando ne arrivarono 79.154. Sono i dati resi noti dal Viminale, aggiornati al 28 giugno, dai quali arriva la conferma di un calo drastico degli arrivi, con il dodicesimo mese consecutivo in cui si registra un calo.

L’ultimo picco negli sbarchi si è infatti esattamente nel giugno del 2017, quando in un solo mese sbarcarono 23.526 persone.

Mentre calano in Italia però, aumentano in Spagna. In terra iberica, infatti, nel 2018 sono giunte più di 64mila persone cioè 37mila in più del 2017.

In tema di migrazioni nel Mediterraneo c’è un altro Stato che accoglie più persone dell’Italia. Si tratta della Grecia che nel 2018 ha visto giungere sulle sue coste circa 33mila persone, vale a dire tremila in più dell’anno precedente. In Grecia sono arrivati principalmente afghani (27,7%), siriani (24,4%) e iraqueni (18%).

Per dovere di cronaca, si evidenzia che 2.297 persone  nelle coste europee non ci sono mai arrivate. Prendendo in considerazione solamente ilMediterraneo centrale, quindi la rotta che dalla Libia dovrebbe giungere in linea d’aria a Malta o nelle coste Italiane, sono state 1.311 le persone che sono rimaste in mare, un numero di certo inferiore ai 2.872 morti riscontrati nel 2017 ma con un tasso di mortalità molto più elevato. Nel 2018 cinque persone su 100 (5,6%) hanno perso la vita nel nostro mare, nel tentativo di  raggiungere l’Italia.

Ad avviso del Ministero dell’Interno, le quote 2019 dovrebbero ricalcare, in grandi linee, quelle 2018. Dei 30.850 posti, più della metà sono riservati ai lavoratori stagionali, quelli impiegati per lo più nelle aziende agricole per le stagioni del raccolto e che – perlomeno in teoria – alla fine del contratto dovrebbero lasciare il Paese. Il restante  sono per i lavori non stagionali, ma anche qui la fascia più ingente (poco meno di diecimila) è riservata alle riconversioni in permessi di lavoro di altre tipologie di permessi. Particolare attenzione viene data per salvare dall’espulsione i tanti minori non accompagnati (che compiono 18 anni), ovvero le migliaia di immigrati, i più integrati, che lavorano già con la protezione umanitaria ottenuta con le vecchie regole.

L’immigrazione in Europa è aumentata significativamente dal 2015. L’Unione Europea è sempre in costante attività per affrontare nel modo migliore questa crisi senza precedenti. Negli ultimi anni, invero milioni di persone sono arrivati in Europa in fuga dai conflitti, dal terrore e dalle persecuzioni che imperversano nei loro paesi di origine. Basti pensare che delle prime 1,2 milioni domande di asilo presentate in Europa nel 2016, oltre un quarto provenivano dalla Siria, ormai devastata dalla guerra. Ed anche in Afghanistan e Iraq i civili sono costantemente minacciati dai gruppi di ribelli estremisti.

A marzo 2016 l’Unione europea e il governo turco hanno raggiunto un accordo per inviare in Turchia tutti i migranti irregolari che la attraversano per arrivare alle isole greche. Dal maggio del 2016, pertanto, si è verificato un ingente aumento del numero di migranti che attraversano il Mediterraneo dall’Africa verso le coste italiane.

La crisi dei migranti in Europa ha messo in evidenza le carenze del Sistema europeo comune di asilo.

Oltre un anno fa, a novembre 2017 gli eurodeputati hanno approvato la posizione del Parlamento sulla riforma del sistema di Dublino, che statuisce il paese responsabile per le domande di asilo.  Anche il Parlamento europeo ha sempre partecipato ai lavori per adottare nuove misure per la gestione dell’immigrazione clandestina, per il potenziamento dei controlli delle frontiere e per la creazione di un sistema più efficace di raccolta e archiviazione delle informazioni su coloro che entrano nell’UE.

Posto che il regolamento di Dublino ha contribuito a lasciare a paesi di confine come Grecia e Italia la gran parte del carico delle crisi migratorie degli ultimi anni, oltre ad una radicale riforma del sistema, il Parlamento europeo chiede di rendere più efficaci le verifiche alle frontiere e migliorare la capacità degli Stati membri di monitorare le persone che entrano in Europa. Gli eurodeputati, in buona sostanza, intendono porre in essere delle regole europee chiare per distinguere fra immigrati e rifugiati, in modo da assicurare un trattamento corretto dei richiedenti asilo, facendo anche in modo che ogni Stato membro contribuisca equamente alla ridistribuzione dei rifugiati.

Il 2018 è stato un anno in cui il tema dei migranti è stato cruciale nel dibattito politico sia italiano che europeo. Navi bloccate in mezzo al mare, porti chiusi e giochi di forza tra stati europei, il tutto sulla pelle di coloro che il mare lo devono affrontare con l’illusione di una nuova e migliore vita. Considerando l’insieme delle coste europee, nell’ultimo anno sono giunti 138.882 migranti (nel 2017 sono arrivate 172.301 persone). Per quanto riguarda l’Italia, il 2018 è stato un anno in cui le migrazioni nel Mediterraneo sono sensibilmente calate. Dall’inizio del 2018 sono stati 16.566 i migranti sbarcati in Italia, il 79,07% in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, quando ne arrivarono 79.154. Sono i dati resi noti dal Viminale, aggiornati al 28 giugno, dai quali arriva la conferma di un calo drastico degli arrivi, con il dodicesimo mese consecutivo in cui si registra un calo.

L’ultimo picco negli sbarchi si è infatti esattamente nel giugno del 2017, quando in un solo mese sbarcarono 23.526 persone.

Mentre calano in Italia però, aumentano in Spagna. In terra iberica, infatti, nel 2018 sono giunte più di 64mila persone cioè 37mila in più del 2017.

In tema di migrazioni nel Mediterraneo c’è un altro Stato che accoglie più persone dell’Italia. Si tratta della Grecia che nel 2018 ha visto giungere sulle sue coste circa 33mila persone, vale a dire tremila in più dell’anno precedente. In Grecia sono arrivati principalmente afghani (27,7%), siriani (24,4%) e iraqueni (18%).

Per dovere di cronaca, si evidenzia che 2.297 persone nelle coste europee non ci sono mai arrivate. Prendendo in considerazione solamente ilMediterraneo centrale, quindi la rotta che dalla Libia dovrebbe giungere in linea d’aria a Malta o nelle coste Italiane, sono state 1.311 le persone che sono rimaste in mare, un numero di certo inferiore ai 2.872 morti riscontrati nel 2017 ma con un tasso di mortalità molto più elevato. Nel 2018 cinque persone su 100 (5,6%) hanno perso la vita nel nostro mare, nel tentativo di raggiungere l’Italia.

Ad avviso del Ministero dell’Interno, le quote 2019 dovrebbero ricalcare, in grandi linee, quelle 2018. Dei 30.850 posti, più della metà sono riservati ai lavoratori stagionali, quelli impiegati per lo più nelle aziende agricole per le stagioni del raccolto e che – perlomeno in teoria – alla fine del contratto dovrebbero lasciare il Paese. Il restante è per i lavori non stagionali, ma anche qui la fascia più ingente (poco meno di diecimila) è riservata alle riconversioni in permessi di lavoro di altre tipologie di permessi. Particolare attenzione viene data per salvare dall’espulsione i tanti minori non accompagnati (che compiono 18 anni), ovvero le migliaia di immigrati, i più integrati, che lavorano già con la protezione umanitaria ottenuta con le vecchie regole.

Avv. Jacopo Pitorri

Migranti, la campagna “cartoline dalle Alpi”

Di recente l’attenzione pubblica ha posato il suo occhio sulla storia di Amir, raccontata in sei cartoline pubblicate e condivise sui social. Si tratta del cuore della campagna crowdfunding (vale a dire un finanziamento collettivo, volto all’utilizzo del proprio denaro in comune, per sostenere gli sforzi di persone e organizzazioni), che ha per scopo quello di donare 100 scarponi ai profughi che rischiano la vita, sognandone una migliore, nel tentativo di oltrepassare il confine italo-francese.

Amir, di origine nigeriana, vive in Italia da due anni ed è rimasto bloccato per giorni, in una stanza, al confine con la Francia. Un volontario gli ha fornito dei sacchetti di plastica da infilare nelle scarpe, sopra le calze, per aiutarlo perlomeno per il primo chilometro. Lui, però, è abituato a spostarsi con difficoltà. Ha trascorso, infatti, la maggior parte della sua vita a camminare senza scarpe. E gli è sempre piaciuto andare in giro a piedi nudi, sentire il terreno e i granelli di sabbia tra le dita.

Come Amir, chi attraversa le Alpi in direzione del confine con la Francia, spesso non è equipaggiato ad affrontare pareti ripide, nevai, sassi e pietre. L’obiettivo della campagna, allora, è quello di raccogliere circa duemila euro, da destinare all’acquisto di cento paia di scarponi da montagna da consegnare ad associazioni non-profit. Queste si adopereranno per distribuirli alle persone in attesa di partire. Altro scopo della nobile campagna è quello di denunciare ciò che sta accadendo sul confine, sensibilizzare chi ancora non conosce il trascorso di coloro che sono costretti a rischiare la propria vita, per evitare i controlli delle forze dell’ordine e poter raggiungere le proprie famiglie in Francia, o altri Paesi europei, per cercare lavoro dove vi sono più possibilità.

Allafrontiera con la Francia – si ricorda – soltanto nel mese di dicembre 2018 sono state soccorse duecentocinquanta persone, giunte dall’Africa occidentale, dall’Africa subsahariana, oltre a pachistani, bangladesi, curdi, siriani, afgani. Mentre lo scorso anno i migranti si recavano in Francia per raggiungere amici e parenti, attualmente fuggono dall’Italia perché temono di perdere la protezione umanitaria (diventando, quindi, “irregolari”).

“Cartoline dalle Alpi – 50 mila passi per Amir” è un progetto dei Creative Fighters di “Solo in Cartolina”, nato da professionisti dell’industria creativa nell’estate del 2018, per sostenere i profughi che rischiano la vita (nel tentativo di oltrepassare il confine italo-francese). Ebbene, lo scorso luglio 2018 creativi da tutta Italia hanno inviato i loro “saluti e baci” dalle varie località di mare, mostrando quello che accade davanti ai nostri occhi ogni estate, ma che si preferisce di non vedere.

Adesso, dal mare Mediterraneo lo sguardo raggiunge le Alpi, senza però dimenticare le persone più vulnerabili e fragili.

Avvocato Iacopo Pitorri

I migranti e Angela Merkel

A metà dicembre del 2018, di contro allo scetticismo dell’Italia relativo all’opportunità o meno di firmare il Global compact (noto documento sottoscritto da diversi Stati e promosso dalle Nazioni Unite a favore dell’immigrazione), Angela Merkel, a Marrakech –  in Marrocco –  si è attivata alacremente, sostenendo  il patto internazionale sulle migrazioni.

Il Global compact è stato protagonista in tutto il mondo di una campagna di comunicazione politica estremamente discussa, posto che alcuni Stati hanno sempre visto (e tuttora vedono) l’accordo come uno strumento volto a  favorire una sorta di invasione e immigrazione incontrollata. La famosa politica tedesca, invece, nel suo ruolo di cancelliere per il quarto mandato consecutivo, in quell’occasione ha definito gli immigrati portatori di prosperità (quando legali).

Al di là, tuttavia, delle sue ammirevoli dichiarazioni, i princìpi di apertura delle frontiere della Germania verso i migranti hanno inciso non poco sulle tensioni interne, che hanno portato la Merkel alle dimissioni dalla guida del partito e, quindi, alla rinuncia alla prossima Cancelleria. La stessa, invero, ha annunciato il suo ritiro dalla politica nel 2021, all’indomani del calo di consensi per la CDU (il partito tedesco dell’Unione Cristiano-Democratica di Germania), nelle elezioni in Assia.

Considerato, pertanto, che tra le diverse cause della fine del mandato Merkel vi è, appunto, anche la questione migratoria, volendo risollevare le sorti del Governo e della CDU, ultimamente la Cancelliera ha rivisto la sua posizione: più controlli all’ingresso, accordi per i respingimenti e rimpatri.

Basti pensare che lo scorso gennaio l’interrogazione di una deputata della Linke (il partito della sinistra tedesca) ha portato alla luce l’incremento di espulsioni di “dublinanti”. Più specificamente sono migranti che, entrati in Grecia o in Italia, hanno attraversato le frontiere nella speranza di ricostruirsi una vita in Nord Europa. Per le regole di Dublino sono gli Stati di primo approdo a doversi far carico della domanda. Ebbene, su 51.558 migranti esaminati da Berlino, in 35.375 casi la domanda della Merkel all’Unione Europea di riprendersi i dublinanti sarebbe stata accolta. La quota di immigrati in uscita dalla Germania, quindi, è salita dal 15,1% al 24% tra il 2017 e il 2018.

Si sono, inoltre, riscontrati i cosiddetti respingimenti immediati. Da agosto 2018 la Germania ha espulso 11 clandestini bloccati alla frontiera con l’Austria. Secondo il settimanale tedesco Focus, nove di questi sarebbero stati riportati in Grecia e due in Spagna. Si tratta di un cambiamento di non poco conto, frutto degli accordi raggiunti da Berlino con Atene e Madrid.

La Merkel, ad onor di cronaca, ha posto in essere diversi tentativi anche con l’Italia, ma finora non ci sono sviluppi dal fronte delle trattative tra Italia e Germania.

Avvocato Jacopo Pitorri

I paesi membri dell’unione europea

L’Unione Europea è un’organizzazione internazionale politica ed economica, che ha 28 paesi membri indipendenti e democratici, atta a garantire la libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali all’interno del suo territorio. Tramite un mercato europeo comune, e la cittadinanza dell’Unione europea, l’UE promuove la pace ed il benessere dei suoi popoli, lotta contro la discriminazione, favorisce il progresso scientifico e tecnologico, oltre a mirare alla stabilità politica, alla crescita economica e alla coesione sociale e territoriale tra gli stati membri.

L’Unione europea è un’organizzazione internazionale politica ed economica, che ha 28 paesi membri indipendenti e democratici, atta a garantire la libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali all’interno del suo territorio. Tramite un mercato europeo comune, e la cittadinanza dell’Unione europea, l’UE promuove la pace ed il benessere dei suoi popoli, lotta contro la discriminazione, favorisce il progresso scientifico e tecnologico, oltre a mirare alla stabilità politica, alla crescita economica e alla coesione sociale e territoriale tra gli stati membri.

E’ sorta proprio per creare un’unione economica e politica tra gli Stati che ne entrano a far parte. Anche per questo, le politiche di unione economica e monetaria dell’Unione europea hanno portato – nel 2002 – all’introduzione di una moneta unica, l’euro, attualmente adottato da 19 stati dell’Unione, che formano la cosiddetta eurozona, con una politica monetaria comune regolata dalla Banca centrale europea (BCE).

Dei 28, solo 19 hanno adottato la moneta europea, mentre gli altri, a eccezione di Regno Unito e Danimarca che dispongono di particolari clausole di non partecipazione, si sono impegnati a entrare nell’area euro non appena ottenuti i requisiti “di convergenza”.

Il Regno Unito che – a meno di future modifiche degli accordi – sarà ufficialmente fuori a partire dal 1 gennaio 2023 (cd “Brexit”).

Dal 1958, dalla nascita, cioè, della Comunità economica europea (CEE), ad oggi, l’Unione Europea ha cambiato il suo assetto e allargato il proprio territorio. Dapprima, invero, sei Paesi euro avevano deciso di cooperare, in particolare in ambito economico, creando la CEE. Il 25 marzo 1957, Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi, firmando il Trattato di Roma che aveva dato luogo, a partire dall’1 gennaio dell’anno successivo, alla Comunità economica europea. Nel corso degli anni, l’organizzazione si era andata ampliando ad altri Stati, allargando  il campo delle sue competenze anche all’ambito politico fino a modificare il nome in Unione europea, con il Trattato di Maastricht nel 1993, e ad introdurre la moneta unica nel 1999.  Alla data del 1 gennaio 1999, dell’Ue,  facevano parte 15 Paesi, di cui 11 avevano convertito la propria moneta nazionale in quella europea. Soltanto il 3 maggio 2002 l’euro era diventata la valuta ufficiale dei Paesi dell’Unione monetaria europea.

Tra il 1958 e il 1995 erano entrati a far parte dell’Ue altri 9 Paesi: Danimarca, Regno Unito e Irlanda nel 1973, la Grecia nel 1981, Portogallo e Spagna nel 1986, Austria, Finlandia e Svezia nel 1995. Per questo motivo, nel 1999, al sorgere della moneta unica, la Comunità europea da 6 era passata già a 15 Stati membri. Nel 2004, poi, il territorio dell’Unione si era nuovamente esteso ad altri 10 Stati: Repubblica Ceca, Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Slovacchia, Slovenia e Ungheria. Fino ad introdurre nel 2007 altre due nazioni, Bulgaria e Romania, e nel 2013, la Croazia, con la quale l’attuale Ue ha raggiunto il numero di 28 Paesi membri.

Come sopra accennato, ad eccezione di Danimarca e Regno Unito, che dispongono di clausole di non partecipazione, chiamate opt-out ovvero “rinuncia” o “deroga”, stabilite con appositi protocolli attraverso i quali un Paese concorda di non partecipare a una parte della legislazione o dei trattati dell’Unione europea, salvo poter decidere di aderire in futuro, tutti gli Stati membri, oggi, sono tenuti ad adottare la moneta comune ed entrare a far parte dell’area dell’euro una volta soddisfatti i criteri di “convergenza”, ossia condizioni economiche e giuridiche che sono state concordate nel Trattato di Maastricht.

Attualmente, la Svezia è ancora fuori dall’Eurozona, insieme ad alcuni Stati membri che hanno aderito all’Unione dopo l’introduzione dell’euro nel 2002. Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Romania e Svezia si sono infatti impegnate a entrare a far parte dell’area euro non appena ricoreranno i criteri di ammissione. Per il momento, sono considerati Stati membri con una “deroga”.

L’Eurozona si distingue infatti dalle altre aree dell’Ue per la sua gestione economica. Dalla Commissione europea sappiamo che la politica monetaria nella zona euro è di competenza dell’Eurosistema, un organismo indipendente composto dalla Banca centrale europea (Bce), con sede a Francoforte, in Germania, e dalle banche centrali nazionali degli Stati membri dell’Eurozona. La Bce definisce la sua politica monetaria attraverso il Consiglio direttivo e con l’obiettivo principale di mantenere la stabilità dei prezzi. I governi nazionali, anche se mantengono la competenza della propria politica economica, debbono necessariamente provvedere a coordinarla affinché siano rispettati gli obiettivi comuni di stabilità, crescita e occupazione. Il coordinamento viene realizzato attraverso una serie di strutture e strumenti. Un esempio consiste nel patto di stabilità che prevede regole concordate per la disciplina di bilancio, come i limiti del disavanzo e del debito nazionale che, se non rispettati, possono portare a sanzioni anche di tipo finanziario. L’attuazione della gestione economica dell’Ue è organizzata ogni anno in un doppio ciclo chiamato “semestre europeo”.

Le decisioni più importanti dell’Unione europea, invece, vengono prese attraverso tre principali istituzioni: il Parlamento europeo, che rappresenta i cittadini e viene eletto direttamente da questi, la Commissione europea, che delinea gli interessi dell’Europa e i cui membri sono nominati dai governi nazionali, e il Consiglio dell’Ue, che stabilisce le priorità generali dell’Unione e rappresenta i governi dei singoli Stati membri. A queste si aggiungono, poi, la Corte di Giustizia, che fa rispettare il diritto europeo e la Corte dei conti che verifica il finanziamento dell’attività dell’Ue.

Uno dei maggiori risultati raggiunti dall’Unione europea è la realizzazione dello “spazio Schengen”,  vale a dire di un’area senza frontiere interne nella quale i cittadini Ue, molti cittadini di Paesi terzi, chi viaggia per affari o turismo possono circolare liberamente senza essere sottoposti ai controlli di frontiera. Attualmente lo spazio Schengen comprende quasi tutti i Paesi dell’Unione, fatta eccezione per Irlanda, Regno Unito, Cipro, Bulgaria, Romania e Croazia, e alcuni stati associati non Ue quali Islanda, Lichtenstein, Norvegia e Svizzera.

L’Unione Europea è un’organizzazione internazionale politica ed economica, che ha 28 paesi membri indipendenti e democratici, atta a garantire la libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali all’interno del suo territorio. Tramite un mercato europeo comune, e la cittadinanza dell’Unione europea, l’UE promuove la pace ed il benessere dei suoi popoli, lotta contro la discriminazione, favorisce il progresso scientifico e tecnologico, oltre a mirare alla stabilità politica, alla crescita economica e alla coesione sociale e territoriale tra gli stati membri.

È sorta proprio per creare un’unione economica e politica tra gli Stati che ne entrano a far parte. Anche per questo, le politiche di unione economica e monetaria dell’Unione europea hanno portato – nel 2002 – all’introduzione di una moneta unica, l’euro, attualmente adottato da 19 stati dell’Unione, che formano la cosiddetta eurozona, con una politica monetaria comune regolata dalla Banca centrale europea (BCE).

Dei 28, solo 19 hanno adottato la moneta europea, mentre gli altri, a eccezione di Regno Unito e Danimarca che dispongono di particolari clausole di non partecipazione, si sono impegnati a entrare nell’area euro non appena ottenuti i requisiti “di convergenza”.

Il Regno Unito che – a meno di future modifiche degli accordi – sarà ufficialmente fuori a partire dal 1° gennaio 2023 (cd “Brexit”).

Dal 1958, dalla nascita, cioè, della Comunità economica europea (CEE), ad oggi, l’Unione Europea ha cambiato il suo assetto e allargato il proprio territorio. Dapprima, invero, sei Paesi euro avevano deciso di cooperare, in particolare in ambito economico, creando la CEE. Il 25 marzo 1957, Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi, firmando il Trattato di Roma che aveva dato luogo, a partire dall’1° gennaio dell’anno successivo, alla Comunità economica europea. Nel corso degli anni, l’organizzazione si era andata ampliando ad altri Stati, allargando il campo delle sue competenze anche all’ambito politico fino a modificare il nome in Unione europea, con il Trattato di Maastricht nel 1993, e ad introdurre la moneta unica nel 1999.  Alla data del 1° gennaio 1999, dell’Ue, facevano parte 15 Paesi, di cui 11 avevano convertito la propria moneta nazionale in quella europea. Soltanto il 3 maggio 2002 l’euro era diventata la valuta ufficiale dei Paesi dell’Unione monetaria europea.

Tra il 1958 e il 1995 erano entrati a far parte dell’Ue altri 9 Paesi: Danimarca, Regno Unito e Irlanda nel 1973, la Grecia nel 1981, Portogallo e Spagna nel 1986, Austria, Finlandia e Svezia nel 1995. Per questo motivo, nel 1999, al sorgere della moneta unica, la Comunità europea da 6 era passata già a 15 Stati membri. Nel 2004, poi, il territorio dell’Unione si era nuovamente esteso ad altri 10 Stati: Repubblica Ceca, Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Slovacchia, Slovenia e Ungheria. Fino ad introdurre nel 2007 altre due nazioni, Bulgaria e Romania, e nel 2013, la Croazia, con la quale l’attuale Ue ha raggiunto il numero di 28 Paesi membri.

Come sopra accennato, ad eccezione di Danimarca e Regno Unito, che dispongono di clausole di non partecipazione, chiamate opt-out ovvero “rinuncia” o “deroga”, stabilite con appositi protocolli attraverso i quali un Paese concorda di non partecipare a una parte della legislazione o dei trattati dell’Unione europea, salvo poter decidere di aderire in futuro, tutti gli Stati membri, oggi, sono tenuti ad adottare la moneta comune ed entrare a far parte dell’area dell’euro una volta soddisfatti i criteri di “convergenza”, ossia condizioni economiche e giuridiche che sono state concordate nel Trattato di Maastricht.

Attualmente, la Svezia è ancora fuori dall’Eurozona, insieme ad alcuni Stati membri che hanno aderito all’Unione dopo l’introduzione dell’euro nel 2002. Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Romania e Svezia si sono infatti impegnate a entrare a far parte dell’area euro non appena ricorreranno i criteri di ammissione. Per il momento, sono considerati Stati membri con una “deroga”.

L’Eurozona si distingue infatti dalle altre aree dell’Ue per la sua gestione economica. Dalla Commissione europea sappiamo che la politica monetaria nella zona euro è di competenza dell’Eurosistema, un organismo indipendente composto dalla Banca centrale europea (Bce), con sede a Francoforte, in Germania, e dalle banche centrali nazionali degli Stati membri dell’Eurozona. La Bce definisce la sua politica monetaria attraverso il Consiglio direttivo e con l’obiettivo principale di mantenere la stabilità dei prezzi. I governi nazionali, anche se mantengono la competenza della propria politica economica, debbono necessariamente provvedere a coordinarla affinché siano rispettati gli obiettivi comuni di stabilità, crescita e occupazione. Il coordinamento viene realizzato attraverso una serie di strutture e strumenti. Un esempio consiste nel patto di stabilità che prevede regole concordate per la disciplina di bilancio, come i limiti del disavanzo e del debito nazionale che, se non rispettati, possono portare a sanzioni anche di tipo finanziario. L’attuazione della gestione economica dell’Ue è organizzata ogni anno in un doppio ciclo chiamato “semestre europeo”.

Le decisioni più importanti dell’Unione europea, invece, vengono prese attraverso tre principali istituzioni: il Parlamento europeo, che rappresenta i cittadini e viene eletto direttamente da questi, la Commissione europea, che delinea gli interessi dell’Europa e i cui membri sono nominati dai governi nazionali, e il Consiglio dell’Ue, che stabilisce le priorità generali dell’Unione e rappresenta i governi dei singoli Stati membri. A queste si aggiungono, poi, la Corte di Giustizia, che fa rispettare il diritto europeo e la Corte dei conti che verifica il finanziamento dell’attività dell’Ue.

Uno dei maggiori risultati raggiunti dall’Unione europea è la realizzazione dello “spazio Schengen”, vale a dire di un’area senza frontiere interne nella quale i cittadini Ue, molti cittadini di Paesi terzi, chi viaggia per affari o turismo possono circolare liberamente senza essere sottoposti ai controlli di frontiera. Attualmente lo spazio Schengen comprende quasi tutti i Paesi dell’Unione, fatta eccezione per Irlanda, Regno Unito, Cipro, Bulgaria, Romania e Croazia, e alcuni stati associati non Ue quali Islanda, Lichtenstein, Norvegia e Svizzera.

Avvocato Jacopo Pitorri