Asilo politico ed Unione Europea

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In materia di asilo, l’obiettivo della politica dell’Unione Europea è quello di offrire uno status appropriato a qualunque cittadino di un paese terzo, che abbia bisogno di protezione internazionale in uno degli Stati membri. Per raggiungere tale finalità, l’UE sta vagliando come migliorare il sistema comune europeo di asilo.

La politica da porre in essere per il raggiungimento di tale obiettivo, ovviamente, deve essere conforme alla convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e al Protocollo del 31 gennaio 1967. Si è cercato, allora, innanzitutto, in una prima fase di sviluppo sia del processo che delle metodologie da adottare, di dar luogo ad un sistema europeo comune di asilo (CEAS).

Attualmente, nel proseguire costantemente il lavoro di perfezionamento del procedimento, si continuano a delineare le fasi verso una riforma del CEAS, il tutto tramite iniziative legislative e discussioni tra il Parlamento e il Consiglio.

In particolare, dalla fine del 2016, il Parlamento ha raggiunto un accordo provvisorio con il Consiglio, puntando ad una trasformazione dell’EASO da un’agenzia di sostegno dell’UE ad una vera e propria agenzia dell’Unione Europea per l’asilo (EUAA), incaricata di agevolare il funzionamento del CEAS. Ciò al fine di assicurare la convergenza nella valutazione delle domande di asilo in tutta l’UE e di monitorare l’applicazione operativa e tecnica del diritto dell’Unione.

Nel settembre 2018 la Commissione ha presentato una proposta modificata per rafforzare l’EUAA attraverso un incremento del personale, degli strumenti e delle risorse finanziarie, in modo da garantire che gli Stati membri possano contare in qualsiasi momento sul completo sostegno operativo dell’UE.

Al di là dell’Europa, va evidenziato che, a livello mondiale, da oltre due anni, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato all’unanimità la dichiarazione di New York per i rifugiati e i migranti, una importante dichiarazione politica volta a migliorare il modo in cui la comunità internazionale risponde ai grandi spostamenti di rifugiati e migranti, nonché a situazioni di presenza prolungata dei rifugiati. Ciò stabilendo, a favore dei rifugiati, azioni specifiche da intraprendere al fine di alleviare la pressione che grava sui paesi ospitanti, accrescimento di autonomia dei rifugiati nei paesi terzi, linee guida per il raggiungimento di soluzioni che prevedono il coinvolgimento di paesi terzi.

Alla luce di quanto sopra detto, nella sua sessione plenaria di aprile 2018, pertanto, il Parlamento europeo ha dichiarato che l’UE e i suoi Stati membri devono assumere un ruolo di guida nei negoziati in corso a livello mondiale anche in considerazione della decisione degli Stati Uniti di ritirarsi dai negoziati.

Tenendo conto, dunque, nella realtà dei fatti, di elementi concreti, si rileva che da Bruxelles, più specificamente dall’Ufficio europeo per il sostegno all’asilo, giungono dati recenti dai quali si evince che dell’Unione Europea non sussiste più uno stato di emergenza. Nel 2018, invero, sono state presente 634.700 richieste di asilo in Europa. Una cifra pari al 10% in meno a quella del 2017. Circa il 4% delle domande presentate nel 2018, pari a 25.388 richieste inoltrate, ha riguardato minori non accompagnati, soprattutto provenienti da Gambia e Vietnam.

I richiedenti asilo più numerosi sono stati i siriani. Rileva l’EASO che nel 2018 circa 74.800 domande di protezione internazionale sono state presentate da cittadini del Paese mediorientale. Numeri comunque in calo rispetto ai dati del 2017.

Ulteriormente si specifica che i tre principali paesi di origine (rappresentanti il 26% di tutte le domande nel 2018) sono stati Afghanistan (45.300 domande), Iraq (42.100 domande), Siria. Tra i primi dieci paesi di origine figurano anche Pakistan (5%), Iran, Nigeria, Turchia, Venezuela (4% ciascuno), Albania e Georgia (3% ciascuno).

Va altresì sottolineato, continuando a parlare di dati, che lo scorso anno gli Stati membri dell’Ue hanno emesso circa 593.500 decisioni di prima istanza nel 2018, per l’EASO: un significativo 40% in meno rispetto al 2017.

Avv. Pitorri 

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La morte nel mediterraneo

Percorrendo la rotta Libia/Europa, si è passati da un decesso ogni 38 arrivi nel 2017, a uno ogni 14 nel 2018. In totale sono state stimate in 2.275 il numero delle vittime morte o disperse nell’affrontare la traversata nel 2018. Tutto ciò, nonostante vi sia stato un calo degli arrivi sulle coste della nostra Europa.

Percorrendo la rotta Libia/Europa, si è passati da un decesso ogni 38 arrivi nel 2017, a uno ogni 14 nel 2018. In totale sono state stimate in 2.275 il numero delle vittime morte o disperse nell’affrontare la traversata nel 2018. Tutto ciò, nonostante vi sia stato un calo degli arrivi sulle coste della nostra Europa.

Vi è da dire,  che non è solo in mare che persone meno fortunate di noi vanno incontro alla morte. Sulle rotte terrestri (Turchia-Grecia, Francia-Italia, Balcani occidentali), invero, i decessi di immigrati e rifugiati sono quasi raddoppiati: 136 contro i 75 dell’anno precedente. Come se non bastasse, il rapporto della nota Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati rivela che l’85% di coloro che partono dalla Libia viene riportato indietro dalla guardia costiera e rinchiuso in carcere in condizioni orribili e davvero spaventose. 

Nel resoconto informativo in questione si sottolinea la drammaticità dei viaggi affrontati da gran parte dei profughi, maltrattati, esposti a violenze, torture, stupri e aggressioni sessuali, minacciati e sequestrati a scopo d’estorsione. I trafficanti di esseri umani, privi di qualsivoglia scrupolo, volendo eludere la politica italiana dei “porti chiusi” sembrano aver cambiato strategia e rotta. E così, rivela il suddetto rapporto, per la prima volta in anni recenti, la Spagna è divenuta il principale punto d’ingresso in Europa con 8.000 arrivi via terra e altri 54.800 via mare. Con il conseguente incremento del numero delle vittime nel Mediterraneo occidentale, che è quasi quadruplicato, da 202 nel 2017 a 777 lo scorso anno. In Italia, invece, sono arrivate 23.400 persone, 32.500 in Grecia, per la maggior parte attraverso il confine terrestre con la Turchia

Relativamente agli Stati di provenienza, la maggioranza dei migranti arrivati in Spagna sono partiti: da Marocco (13.000), Guinea (13.000), Mali (10.300), Algeria (5.800), Costa D’Avorio (5.300); quelli arrivati in Grecia: da Afghanistan (9.000), Siria (7.900), Iraq (5.900), Repubblica democratica del Congo (1.800), Palestina (1.600); quelli arrivati in Italia: da Tunisia (5.200) Eritrea (3.300), Iraq (1.700), Sudan (1,600), Pakistan (1600). 

Si ritiene che tali flussi verso l’Europa si protrarranno immutati anche nel corso del 2019, in virtù del fatto che le continue violazioni dei diritti umani, i conflitti, ovvero la povertà dilagante, continueranno ad essere le cause scatenanti, alla base dei movimenti migratori.

I migranti, stante la drammaticità delle condizioni in cui vivono quotidianamente, nell’affrontare quei terribili viaggi, rischiosissimi, verso una vita migliore, in contesti critici e spesso tragici, auspicano in una richiesta di asilo, in  protezione internazionale, ovvero assistenza umanitaria. Chiedono tutela per i minori, sostegno a chi ha subito abusi e violenza sessuale, sperando di imbattersi in persone che orientino lo spirito verso i valori della condivisione e della responsabilità, della solidarietà e della collaborazione.

Salvare vite umane non costituisce nè una scelta, tantomeno una questione politica ma un imperativo imprescindibile. D’altra parte, se ci fermassimo a riflettere, anche solo per un momento, potremmo giungere alla constatazione secondo cui, essenzialmente, siamo tutti dei migranti, atteso che la vita è una costante ricerca di qualcosa e/o di qualcuno. Spesso “l’altro”, lo straniero, il migrante fa paura perché costituisce una realtà a noi ignota, ma questa immagine può e deve essere cambiata, in meglio, da chiunque ne abbia la possibilità e, soprattutto, l’intento.

Percorrendo la rotta Libia/Europa, si è passati da un decesso ogni 38 arrivi nel 2017, a uno ogni 14 nel 2018. In totale sono state stimate in 2.275 il numero delle vittime morte o disperse nell’affrontare la traversata nel 2018. Tutto ciò, nonostante vi sia stato un calo degli arrivi sulle coste della nostra Europa.

Vi è da dire,  che non è solo in mare che persone meno fortunate di noi vanno incontro alla morte. Sulle rotte terrestri (Turchia-Grecia, Francia-Italia, Balcani occidentali), invero, i decessi di immigrati e rifugiati sono quasi raddoppiati: 136 contro i 75 dell’anno precedente. Come se non bastasse, il rapporto della nota Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati rivela che l’85% di coloro che partono dalla Libia viene riportato indietro dalla guardia costiera e rinchiuso in carcere in condizioni orribili e davvero spaventose. 

Nel resoconto informativo in questione si sottolinea la drammaticità dei viaggi affrontati da gran parte dei profughi, maltrattati, esposti a violenze, torture, stupri e aggressioni sessuali, minacciati e sequestrati a scopo d’estorsione. I trafficanti di esseri umani, privi di qualsivoglia scrupolo, volendo eludere la politica italiana dei “porti chiusi” sembrano aver cambiato strategia e rotta. E così, rivela il suddetto rapporto, per la prima volta in anni recenti, la Spagna è divenuta il principale punto d’ingresso in Europa con 8.000 arrivi via terra e altri 54.800 via mare. Con il conseguente incremento del numero delle vittime nel Mediterraneo occidentale, che è quasi quadruplicato, da 202 nel 2017 a 777 lo scorso anno. In Italia, invece, sono arrivate 23.400 persone, 32.500 in Grecia, per la maggior parte attraverso il confine terrestre con la Turchia

Relativamente agli Stati di provenienza, la maggioranza dei migranti arrivati in Spagna sono partiti: da Marocco (13.000), Guinea (13.000), Mali (10.300), Algeria (5.800), Costa D’Avorio (5.300); quelli arrivati in Grecia: da Afghanistan (9.000), Siria (7.900), Iraq (5.900), Repubblica democratica del Congo (1.800), Palestina (1.600); quelli arrivati in Italia: da Tunisia (5.200) Eritrea (3.300), Iraq (1.700), Sudan (1,600), Pakistan (1600). 

Si ritiene che tali flussi verso l’Europa si protrarranno immutati anche nel corso del 2019, in virtù del fatto che le continue violazioni dei diritti umani, i conflitti, ovvero la povertà dilagante, continueranno ad essere le cause scatenanti, alla base dei movimenti migratori.

I migranti, stante la drammaticità delle condizioni in cui vivono quotidianamente, nell’affrontare quei terribili viaggi, rischiosissimi, verso una vita migliore, in contesti critici e spesso tragici, auspicano in una richiesta di asilo, in  protezione internazionale, ovvero assistenza umanitaria. Chiedono tutela per i minori, sostegno a chi ha subito abusi e violenza sessuale, sperando di imbattersi in persone che orientino lo spirito verso i valori della condivisione e della responsabilità, della solidarietà e della collaborazione.

Salvare vite umane non costituisce nè una scelta, tantomeno una questione politica ma un imperativo imprescindibile. D’altra parte, se ci fermassimo a riflettere, anche solo per un momento, potremmo giungere alla constatazione secondo cui, essenzialmente, siamo tutti dei migranti, atteso che la vita è una costante ricerca di qualcosa e/o di qualcuno. Spesso “l’altro”, lo straniero, il migrante fa paura perché costituisce una realtà a noi ignota, ma questa immagine può e deve essere cambiata, in meglio, da chiunque ne abbia la possibilità e, soprattutto, l’intento.

Avv. Iacopo Maria Pitorri

Migranti di successo

Ci sono, oggi, anche migranti di successo:  persone con la voglia di ricominciare, che non si sono arrese di fronte alle avversità della vita ed ai difficili trascorsi subiti. “Robe di Becchi” è un grande risultato: si tratta di un marchio di abbigliamento realizzato da due giganti del volley, Matteo Piano e Luca Vettori (di oltre quattro metri di altezza, insieme).

Ci sono, oggi, anche migranti di successo:  persone con la voglia di ricominciare, che non si sono arrese di fronte alle avversità della vita ed ai difficili trascorsi subiti. “Robe di Becchi” è un grande risultato: si tratta di un marchio di abbigliamento realizzato da due giganti del volley, Matteo Piano e Luca Vettori (di oltre quattro metri di altezza, insieme).

Dalla commistione di stoffe multicolori giunte dal Congo, unite a pregiati tessuti biellesi, cuciti da donne fuggite da guerre, violenze e miseria, in un piccolo laboratorio sartoriale di Torino, è sorta una originale linea di T-Shirt per “Robe di Becchi”, insieme a “Colori Vivi”, la sartoria sociale della Onlus “Articolo 10”.

Gli azzurri della pallavolo, tramite una web radio, “mettono il becco”, raccontano di musica, letture, viaggi, riflessioni, trattano in buona sostanza diversi temi, compreso quelli dell’artigianato e dei mestieri che rischiano di scomparire. Da qui l’inevitabile unione con “Colori Vivi”, progetto di sartoria sociale della Onlus torinese “Articolo 10”, che offre a donne rifugiate, di diverse nazionalità, deboli e in difficoltà, un percorso di formazione professionale e di inserimento lavorativo al fine di farle socializzare e trovare un connubio tra vita lavorativa e vita sociale.

Barbara Spezini, responsabile del progetto, ha incontrato Matteo Piano e Luca Vettori durante un convegno e, grazie a una zia di quest’ultimo,  missionaria in Africa (che, con una piccola sartoria, offriva impiego ai giovani congolesi), si è realizzata una grande idea, creando occasioni professionalizzanti per i migranti accolti nel progetto, ricco di vita. Le macchine per cucire di donne che hanno subito violenze, soprusi, sofferenze atroci, lavorano incessantemente,  sotto l’occhio attento dello stilista Antonino Garigliano, leader del gruppo. “Colori Vivi” ha ottenuto un riconoscimento dalla Kering Foundation,  gruppo del lusso che assorbe marchi come Gucci e Yves Saint Laurent.

Lo scorso 19 giugno Barbara Spezini, responsabile dell’attività sociale dell’Associazione “Articolo 10 Onlus”, si è recata a Parigi per la cerimonia di premiazione degli “Awards for Social Entrepreneurs” indetti dalla Kering Foundation di François-Henry Pinault, presidente della Fondazione e dell’omonimo gruppo internazionale di moda e di lusso. Ad essere premiato, tra le 7 proposte finaliste, vi è stato anche “Colori Vivi”, il progetto di sartoria sociale, di cui Barbara Spezini è ideatrice, volto all’inserimento lavorativo di donne e madri rifugiate. Tra i tre progetti vincitori in Europa, la sartoria torinese – prima esperienza italiana in assoluto a ricevere il riconoscimento della Fondazione – ha ottenuto il secondo premio. L’associazione conta oggi più di venti membri, che operano secondo una visione e una missione comuni ispirate al valore del rispetto della dignità e delle libertà fondamentali. Nel corso di questi primi anni di attività, “Articolo 10” è intervenuta concentrando i propri sforzi su alcuni ambiti  per far fronte alle varie problematiche affrontate dalle persone cui la Onlus si è accostata (fino ad oggi, 175 donne, 126 bambini, 105 nuclei familiari).

La sartoria di “Articolo 10” mira a promuovere l’inclusione dei rifugiati, permettendo loro di esercitare i propri diritti fondamentali – tra i quali la libera espressione, che senz’altro rappresenta  una componente principale -, e al contempo consentendo loro di inserirsi in un nuovo contesto sociale e lavorativo. È così che la sartoria di “Articolo 10” diviene un luogo di scambio e di incontro tra culture, uno spazio di formazione ed espressione artistica e professionale, dove tante donne possono ritrovare una dignità e una identità, di cui  sono state private nei luoghi da cui sono state costrette a fuggire.

Stante l’enorme successo ottenuto, la responsabile del progetto non esclude che quanto prima possa nascere un brand realizzato da donne rifugiate, volto allo sviluppo del made in Italy, posto che il genio imprenditoriale non ha colore, religione e razza.

Ci sono, oggi, anche migranti di successo:  persone con la voglia di ricominciare, che non si sono arrese di fronte alle avversità della vita ed ai difficili trascorsi subiti. “Robe di Becchi” è un grande risultato: si tratta di un marchio di abbigliamento realizzato da due giganti del volley, Matteo Piano e Luca Vettori (di oltre quattro metri di altezza, insieme).

Dalla commistione di stoffe multicolori giunte dal Congo, unite a pregiati tessuti biellesi, cuciti da donne fuggite da guerre, violenze e miseria, in un piccolo laboratorio sartoriale di Torino, è sorta una originale linea di T-Shirt per “Robe di Becchi”, insieme a “Colori Vivi”, la sartoria sociale della Onlus “Articolo 10”.

Gli azzurri della pallavolo, tramite una web radio, “mettono il becco”, raccontano di musica, letture, viaggi, riflessioni, trattano in buona sostanza diversi temi, compreso quelli dell’artigianato e dei mestieri che rischiano di scomparire. Da qui l’inevitabile unione con “Colori Vivi”, progetto di sartoria sociale della Onlus torinese “Articolo 10”, che offre a donne rifugiate, di diverse nazionalità, deboli e in difficoltà, un percorso di formazione professionale e di inserimento lavorativo al fine di farle socializzare e trovare un connubio tra vita lavorativa e vita sociale.

Barbara Spezini, responsabile del progetto, ha incontrato Matteo Piano e Luca Vettori durante un convegno e, grazie a una zia di quest’ultimo,  missionaria in Africa (che, con una piccola sartoria, offriva impiego ai giovani congolesi), si è realizzata una grande idea, creando occasioni professionalizzanti per i migranti accolti nel progetto, ricco di vita. Le macchine per cucire di donne che hanno subito violenze, soprusi, sofferenze atroci, lavorano incessantemente,  sotto l’occhio attento dello stilista Antonino Garigliano, leader del gruppo. “Colori Vivi” ha ottenuto un riconoscimento dalla Kering Foundation,  gruppo del lusso che assorbe marchi come Gucci e Yves Saint Laurent.

Lo scorso 19 giugno Barbara Spezini, responsabile dell’attività sociale dell’Associazione “Articolo 10 Onlus”, si è recata a Parigi per la cerimonia di premiazione degli “Awards for Social Entrepreneurs” indetti dalla Kering Foundation di François-Henry Pinault, presidente della Fondazione e dell’omonimo gruppo internazionale di moda e di lusso. Ad essere premiato, tra le 7 proposte finaliste, vi è stato anche “Colori Vivi”,il progetto di sartoria sociale, di cui Barbara Spezini è ideatrice, volto all’inserimento lavorativo di donne e madri rifugiate. Tra i tre progetti vincitori in Europa, la sartoria torinese – prima esperienza italiana in assoluto a ricevere il riconoscimento della Fondazione – ha ottenuto il secondo premio. L’associazione conta oggi più di venti membri, che operano secondo una visione e una missione comuni ispirate al valore del rispetto della dignità e delle libertà fondamentali. Nel corso di questi primi anni di attività, “Articolo 10” è intervenuta concentrando i propri sforzi su alcuni ambiti  per far fronte alle varie problematiche affrontate dalle persone cui la Onlus si è accostata (fino ad oggi, 175 donne, 126 bambini, 105 nuclei familiari).

La sartoria di “Articolo 10” mira a promuovere l’inclusione dei rifugiati, permettendo loro di esercitare i propri diritti fondamentali – tra i quali la libera espressione, che senz’altro rappresenta  una componente principale -, e al contempo consentendo loro di inserirsi in un nuovo contesto sociale e lavorativo. È così che la sartoria di “Articolo 10” diviene un luogo di scambio e di incontro tra culture, uno spazio di formazione ed espressione artistica e professionale, dove tante donne possono ritrovare una dignità e una identità, di cui  sono state private nei luoghi da cui sono state costrette a fuggire.

Stante l’enorme successo ottenuto, la responsabile del progetto non esclude che quanto prima possa nascere un brand realizzato da donne rifugiate, volto allo sviluppo del made in Italy, posto che il genio imprenditoriale non ha colore, religione e razza.

Avv. Iacopo Maria Pitorri

Il caso Diciotti

La nave Diciotti è diventata ormai una nave simbolo, quello del contrasto  tra Italia e Unione Europea. E’, verosimilmente, interessata ben poco sia la rotta della stessa, sia chi ci sia stato a bordo, posto che ha avuto più rilevanza per il Governo italiano la direzione dell’imbarcazione verso una collaborazione vera in tema di ricollocamento di immigrati nei diversi paesi della UE.

Tutto è cominciato lo scorso 15 agosto, quando la nave militare Diciotti aveva tratto in salvo 190 persone, in fuga dalla Libia. Il Ministero dell’Interno  non aveva indicato da subito il “porto sicuro” per lo sbarco, dando luogo ad una inevitabile polemica con Malta per il mancato salvataggio e chiedendo all’Europa di farsi carico di una quota dei migranti, evidenziando più volte anche il respingimento verso la Libia.

Dopo esser rimasta ferma al largo dell’isola di Lampedusa per ben cinque giorni, successivamente il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti  aveva individuato in Catania il porto di approdo. Tuttavia, dopo qualche ora, il Viminale aveva annunciato di non aver autorizzato lo sbarco. Da quel momento la nave era rimasta in attesa di un’indicazione di attracco dalle autorità maltesi. Malta, tuttavia, aveva prontamente informato che a quel punto spettava all’Italia fornire notizie e che comunque il porto sicuro, più vicino, era quello di Lampedusa. Secondo quanto riferito dalle autorità maltesi, quando il gommone proveniente dalla Libia si trovava nelle loro acque era stata fornita assistenza, ma non era stato richiesto il salvataggio, atteso che l’imbarcazione non si trovava in pericolo.  Per il Ministero dell’Interno, invece, nella vicenda Malta è responsabile di aver fatto proseguire l’imbarcazione verso l’Italia e di non aver prestato alcun soccorso, tesi che pare sarebbe stata confermata dai migranti ricoverati a Lampedusa che avrebbero dichiarato di essere stati avvicinati dai soccorritori maltesi, i quali li avrebbero poi indirizzati verso l’Italia. Nel momento in cui le motovedette erano intervenute l’imbarcazione in difficoltà si dirigeva appunto verso l’Italia ed era  soltanto a diciassette miglia da Lampedusa.

In tutto ciò, comunque, è stato ritenuto che le persone a bordo della nave si siano trovate in una condizione di assoluta privazione della libertà di fatto, senza alcuna possibilità di libero sbarco. Ciò viene considerato in contrasto con quanto previsto nell’articolo 13 della Costituzione e nell’articolo 5 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Anche perché, tra le persone che si sono trovano a bordo della Diciotti sembrerebbe ci siano stati molti minori, di cui alcuni  non accompagnati. In loro aiuto l’Associazione dei magistrati per i minorenni e per la famiglia ha da subito lanciato un appello al fine di consentire agli stessi e ai soggetti indifesi di sbarcare immediatamente al fine di rendere possibile l’apertura di procedimenti giudiziali a loro tutela e l’inserimento in strutture di accoglienza adeguate.

Ulteriormente non è da trascurare un aspetto legato agli obblighi internazionali assunti dall’Italia (oltre al rispetto della normativa nazionale), in virtù dei quali i minori già presenti sul territorio nazionale, come nel caso di quelli posti in salvo sulla nave Diciotti, non sono comunque espellibili se non con un provvedimento specifico emesso dall’autorità giudiziaria.

I migranti in questa circostanza sono apparsi veramente come delle persone indifese, deboli, vulnerabili.

Riguardo a ciò, l’Europa ha fatto sapere che ha lavorato e continuerà a lavorare per la Commissione europea, al fine di trovare una soluzione, soprattutto considerando l’aspetto umanitario.