La marcia antirazzismo “people” a Milano

Il 2 marzo 2019, decine di migliaia di persone (gli organizzatori parlano di più di 250mila) si sono ritrovate a Milano per prendere parte alla manifestazione antirazzista “People – prima le persone”, che ha sfilato nel centro della città per chiedere “inclusione, pari opportunità e una democrazia reale per un Paese senza discriminazioni, senza muri e senza barriere”. Si è trattato del secondo appuntamento, dopo la marcia dei centomila del 20 maggio 2017, che riportava la sigla “Insieme senza muri”.

Il  2 marzo 2019, decine di migliaia di  persone (gli organizzatori parlano di più di 250mila) si sono ritrovate a Milano per prendere parte alla manifestazione antirazzista “People –  prima le persone”, che ha sfilato nel centro del città per chiedere “inclusione, pari opportunità e una democrazia reale per un Paese senza discriminazioni, senza muri e senza barriere”. Si è trattato del secondo appuntamento, dopo la marcia dei centomila del 20 maggio 2017, che riportava la sigla “Insieme senza muri”.

A marciare pacificamente, tra la musica ad alto volume, slogan e tanti colori, vi erano famiglie, giovani, adulti e anziani provenienti principalmente da Milano, oltre che da altre città del nord Italia e perfino da centro e sud del Paese. Sparsi per il corteo, tra circa una decina di carri ed una moltitudine di bandiere con i colori della pace,tra la musica diffusa ad alto volume da una decina di carri e dalle bande e dai gruppi musicali sparsi per tutto il lungo corteo, e sotto centinaia di bandiere con i toni della pace ( e non bandiere politiche ), hanno sfilato insieme con diversi migranti e con le comunità straniere di Milano, anche politici ed esponenti a capo di associazioni, organizzazioni, movimenti, gruppi e collettivi che si occupano di migranti, diritti civili, pacifismo (le Acli, l’Arci, Amnesty, Legambiente, Comunità di Sant’Egidio, Caritas diocesana, Cgil, Cisl Uil). Anche le “mamme per la pelle”, giunte da tutta Italia con i loro figli adottivi, hanno attraversato le vie di Milano, riunite dietro lo striscione “il mondo che vogliamo è una storia a colori”.

A dire degli organizzatori la manifestazione è stata organizzata “per dire no alla politica della paura e alla cultura della discriminazione”, e chiedere “una politica fondata sull’affermazione dei diritti umani, sociali e civili, contro diseguaglianza, sfruttamento e precarietà”, e “un mondo che metta al centro le persone”.

Non sono mancate le bandiere della Ong Sea Watch. La nave, al momento, si trova a Marsiglia per ragioni di manutenzione, dopo aver lasciato Catania la scorsa settimana, con l’intento, però, di tornare per mare a metà marzo.

Il Sindaco di Milano, che ha espresso meritevoli pensieri riguardo la manifestazione, ha sottolineato che in un “momento di grande cambiamento per il Paese è questa la nostra visione di Italia”. E ancora “A livello di società ci troviamo a uno spartiacque. Da qui, da Milano può ripartire un’idea diversa d’Italia”.

Il 2 marzo 2019, decine di migliaia di persone (gli organizzatori parlano di più di 250mila) si sono ritrovate a Milano per prendere parte alla manifestazione antirazzista “People – prima le persone”, che ha sfilato nel centro della città per chiedere “inclusione, pari opportunità e una democrazia reale per un Paese senza discriminazioni, senza muri e senza barriere”. Si è trattato del secondo appuntamento, dopo la marcia dei centomila del 20 maggio 2017, che riportava la sigla “Insieme senza muri”.

A marciare pacificamente, tra la musica ad alto volume, slogan e tanti colori, vi erano famiglie, giovani, adulti e anziani provenienti principalmente da Milano, oltre che da altre città del nord Italia e perfino da centro e sud del Paese. Sparsi per il corteo, tra circa una decina di carri ed una moltitudine di bandiere con i colori della pace, tra la musica diffusa ad alto volume da una decina di carri e dalle bande e dai gruppi musicali sparsi per tutto il lungo corteo, e sotto centinaia di bandiere con i toni della pace ( e non bandiere politiche ), hanno sfilato insieme con diversi migranti e con le comunità straniere di Milano, anche politici ed esponenti a capo di associazioni, organizzazioni, movimenti, gruppi e collettivi che si occupano di migranti, diritti civili, pacifismo (le ACLI, l’ARCI, Amnesty, Legambiente, Comunità di Sant’Egidio, Caritas Diocesana, CGIL, CISL UIL). Anche le “mamme per la pelle”, giunte da tutta Italia con i loro figli adottivi, hanno attraversato le vie di Milano, riunite dietro lo striscione “il mondo che vogliamo è una storia a colori”.

A dire degli organizzatori la manifestazione è stata organizzata “per dire no alla politica della paura e alla cultura della discriminazione”, e chiedere “una politica fondata sull’affermazione dei diritti umani, sociali e civili, contro diseguaglianza, sfruttamento e precarietà”, e “un mondo che metta al centro le persone”.

Non sono mancate le bandiere della ONG Sea Watch. La nave, al momento, si trova a Marsiglia per ragioni di manutenzione, dopo aver lasciato Catania la scorsa settimana, con l’intento, però, di tornare per mare a metà marzo.

Il Sindaco di Milano, che ha espresso meritevoli pensieri riguardo la manifestazione, ha sottolineato che in un “momento di grande cambiamento per il Paese è questa la nostra visione di Italia”. E ancora “A livello di società ci troviamo a uno spartiacque. Da qui, da Milano può ripartire un’idea diversa d’Italia”.

Avvocato Jacopo Maria Pitorri

Migranti: calo degli sbarchi, aumento delle domande d’asilo

Dall’inizio del 2019 gli sbarchi sono diminuiti del 95%. Tuttavia coloro che sono impegnati  “In Migrazione”, Società Cooperativa Sociale nata nel 2015 dalla volontà di persone  impegnate nella ricerca, nell’accoglienza e nel sostegno agli stranieri in Italia, hanno svolto una recente indagine dalla quale è emerso che di contro a  sole 115 persone sbarcate a gennaio, ci sono state ben 3.409 richieste di asilo.

Già dal luglio del 2018 gli sbarchi di migranti sulle nostre coste si sono ridotti in maniera significativa. L’Italia e l’Europa, purtroppo, sono tutt’oggi coinvolte nelle rilevanti problematiche connesse all’arrivo di quasi due milioni di migranti lungo rotte clandestine nell’ultimo quinquennio. In particolare, il sistema di accoglienza italiano, sfortunatamente, risente dell’atteggiamento decisionale degli altri governi dell’Unione Europea, i quali  persistono nel mostrare scarsa solidarietà nell’integrazione di rifugiati e richiedenti asilo politico. Ne deriva che il sostegno europeo in merito ai ricollocamenti incide, attualmente, in misura estremamente carente e limitata sui considerevoli impegni dell’Italia. Come se non bastasse, neanche le  risorse finanziarie destinate dall’Europa all’Italia per far fronte all’emergenza hanno raggiunto un livello significativo. Al contrario, gli aiuti europei coprono solo una  parte delle spese italiane.

Come sopraddetto, in relazione al mese di dicembre del 2018, vi è stato un netta diminuzione degli sbarchi. Ciò nonostante, però, si è verificata una ingente crescita delle domande di protezione internazionale. Più specificamente, se prima dell’estate erano principalmente i nigeriani a presentare domanda di asilo, a seguito del potenziamento degli accordi Italia-Libia, ad oggi tale primato é  tornato ai pakistani. Ulteriormente è stato rilevato come i trafficanti di esseri umani abbiano tempestivamente trovato, e ampliato, altri canali per far arrivare in Italia i profughi, aprendo e rafforzando nuove rotte. Vi è stato, perciò, un netto aumento del  91% delle domande di asilo rispetto al mese di luglio del 2018.

Anche per quanto concerne il  risparmio sui conti pubblici dell’accoglienza, stimato circa in un miliardo e 540 milioni di euro, è stato rilevato che mentre nel primo mese del 2019 il risparmio rispetto al mese precedente è stato di 5 milioni e 200mila euro (ovvero appena lo 0,33% della stima), nel 2018 si è  risparmiato sull’accoglienza poco più di 80 milioni di euro (appena il 5% di quanto preventivato).

Alla luce di quanto emerso non può che evincersi, in tema di domande d’asilo, un trend in aumento, certamente un cambiamento non indifferente sul quale incidono non solo i numeri, ma diversi fattori. Per citarne uno, si rammenta che il diritto a chiedere asilo non è legato alla nazionalità delle persone, ma è un diritto soggettivo che chiunque può esercitare indipendentemente da ogni condizione personale, inclusa l’origine nazionale.

Avvocato Jacopo Maria Pitorri

Lo stato non paga l’albergatore che ha ospitato i migranti

Un notissimo hotel di Villa San Giovanni, in provincia di Reggio Calabria, famoso per essere stato la sede di importanti, prestigiosi eventi culturali, ha dovuto -purtroppo – chiudere per sempre le sue porte.

Un notissimo hotel di Villa San Giovanni, in provincia di Reggio Calabria, famoso per essere stato la sede di importanti, prestigiosi eventi culturali, ha dovuto -purtroppo –  chiudere per sempre le sue porte.

L’albergatore dell’hotel Plaza ha cessato la sua attività, atteso che non gli sono stati pagati  dallo Stato le dovute somme connesse all’accoglienza degli immigrati.

La vicenda ha avuto inizio nel 2016. La Prefettura si é rivolta al gestore dell’hotel Plaza, chiedendogli di ospitare un gruppo di migranti. L’albergatore non si é potuto rifiutare, per cui, per un anno e mezzo, le camere del Plaza sono state messe a disposizione di decine di richiedenti asilo. Sicuramente un gesto nobile, meritevole di apprezzamento, posto che nel considerare indispensabili li la dignità della persona umana e la solidarietà, l’accoglienza data dall’albergatore agli immigrati, non può che corrispondere alla giusta, adeguata risposta, dettata da spirito di fratellanza e  disponibilità nei riguardi di persone in difficoltà, con un vissuto alle spalle permeato per lo più da dolore e sofferenze.

Quando, successivamente, i migranti hanno lasciato l’albergo, al proprietario dello stesso avrebbe dovuto essere erogata dallo Stato una determinata somma, corrispondente ad Euro 35,00 al giorno per ciascun migrante.

Nulla di quanto stabilito é avvenuto e l’albergatore, ovviamente, si é venuto inaspettatamente a trovare in condizioni di disagio e difficoltà, a causa di quel mancato pagamento.

A fronte di ciò, trovandosi nell’impossibilità di sostenere le spese, il titolare dell’albergo si è visto costretto a chiudere i battenti.

L’importo di Euro 35,00 giornalieri, per ogni migrante, avrebbe dovuto coprire i costi del servizio di accoglienza, e dei servizi connessi ai cittadini stranieri richiedenti asilo erogati presso l’Hotel Plaza, fino al 31 dicembre 2017. Ne deriva che senza quei soldi, il  proprietario non abbia avuto la possibilità di finanziare la sistemazione della struttura, con relativa manutenzione ed opere di miglioria.

L’hotel, perciò, ha dovuto chiudere per sempre a metà del 2018.

Il Plaza di Villa San Giovanni, ad oggi, non esiste più.

A due anni di distanza dall’accaduto, al gestore del famoso hotel non resta che il credito di Euro 909mila euro (oltre all’amarezza per la chiusura delle porte del Plaza).

Un notissimo hotel di Villa San Giovanni, in provincia di Reggio Calabria, famoso per essere stato la sede di importanti, prestigiosi eventi culturali, ha dovuto -purtroppo – chiudere per sempre le sue porte.

L’albergatore dell’hotel Plaza ha cessato la sua attività, atteso che non gli sono stati pagati dallo Stato le dovute somme connesse all’accoglienza degli immigrati.

La vicenda ha avuto inizio nel 2016. La Prefettura si é rivolta al gestore dell’hotel Plaza, chiedendogli di ospitare un gruppo di migranti. L’albergatore non si é potuto rifiutare, per cui, per un anno e mezzo, le camere del Plaza sono state messe a disposizione di decine di richiedenti asilo. Sicuramente un gesto nobile, meritevole di apprezzamento, posto che nel considerare indispensabili li la dignità della persona umana e la solidarietà, l’accoglienza data dall’albergatore agli immigrati, non può che corrispondere alla giusta, adeguata risposta, dettata da spirito di fratellanza e disponibilità nei riguardi di persone in difficoltà, con un vissuto alle spalle permeato per lo più da dolore e sofferenze.

Quando, successivamente, i migranti hanno lasciato l’albergo, al proprietario dello stesso avrebbe dovuto essere erogata dallo Stato una determinata somma, corrispondente ad euro 35,00 al giorno per ciascun migrante.

Nulla di quanto stabilito é avvenuto e l’albergatore, ovviamente, si é venuto inaspettatamente a trovare in condizioni di disagio e difficoltà, a causa di quel mancato pagamento.

A fronte di ciò, trovandosi nell’impossibilità di sostenere le spese, il titolare dell’albergo si è visto costretto a chiudere i battenti.

L’importo di euro 35,00 giornalieri, per ogni migrante, avrebbe dovuto coprire i costi del servizio di accoglienza, e dei servizi connessi ai cittadini stranieri richiedenti asilo erogati presso l’Hotel Plaza, fino al 31 dicembre 2017. Ne deriva che senza quei soldi, il proprietario non abbia avuto la possibilità di finanziare la sistemazione della struttura, con relativa manutenzione ed opere di miglioria.

L’hotel, perciò, ha dovuto chiudere per sempre a metà del 2018.

Il Plaza di Villa San Giovanni, ad oggi, non esiste più.

A due anni di distanza dall’accaduto, al gestore del famoso hotel non resta che il credito di 909.000 euro (oltre all’amarezza per la chiusura delle porte del Plaza).

Avvocato Jacopo Maria Pitorri

I migranti della nave Diciotti fanno causa

In questi giorni è emerso un risvolto inaspettato, a distanza di sei mesi da un episodio che ha fatto molto discutere, in Italia e in Europa.

In questi giorni è emerso un risvolto inaspettato, a distanza di sei mesi da un episodio che ha fatto molto discutere, in Italia e in Europa.

Quarantuno dei centosettantasette migranti, eritrei, tra cui un minore, che erano a bordo della nave Diciotti, lo scorso agosto (che soltanto in data 20 agosto, dopo 5 giorni in mare, sbarcò al porto di Catania), hanno presentato un ricorso al tribunale civile di Roma per chiedere al governo italiano un risarcimento per essere stati costretti a rimanere a bordo dell’imbarcazione diversi giorni. La somma richiesta si aggirerebbe  tra i quarantaduemila ed i settantunomila euro.

Contestualmente è stato presentato un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo.

La nave Diciotti è, ormai, diventata una nave simbolo, per l’Italia, soprattutto per l’Unione Europea.

Non vi è chi non ricordi che tutto era cominciato lo scorso 15 agosto, quando la suddetta nave militare aveva tratto in salvo 190 persone, in fuga dalla Libia. La mancata, tempestiva indicazione del  “porto sicuro” per lo sbarco, aveva inevitabilmente aperto una polemica con Malta per il negato salvataggio, posto che era stato chiesto all’Europa di farsi carico di una quota dei migranti, minacciando più volte anche il respingimento verso la Libia.

Dopo esser rimasta ferma al largo dell’isola di Lampedusa per ben cinque giorni,  allora, era stato individuato in Catania il porto di approdo. Tuttavia, dopo qualche ora, il Viminale aveva annunciato di non aver autorizzato lo sbarco. Da quel momento la nave  era rimasta in attesa di un’indicazione di attracco dalle autorità maltesi.

Le persone a bordo dell’imbarcazione (tra cui trenta minori non accompagnati) si erano, quindi, venute a trovare in uno stato di assoluta illegittima privazione della libertà di fatto, senza alcuna possibilità di libero sbarco, oltre che in condizioni psicofisiche estremamente critiche.

Dopo esser scesi dalla Diciotti,  gli stranieri si erano rifugiati presso le strutture di Baobab Experience.

Ed è proprio dalla tendopoli del Baobab, a Roma, che, oggi, alcuni legali sta assistendo i migranti nella richiesta di risarcimento danni, sostenendo di aver riscontrato una grave violazione dei diritti umani e la privazione della libertà personale senza un ordine giudiziario. Queste le basi su cui si fonda la richiesta nei confronti del governo italiano.

Al momento, tuttavia, molti migranti coinvolti nella vicenda Diciotti hanno già lasciato il nostro Paese.

In questi giorni è emerso un risvolto inaspettato, a distanza di sei mesi da un episodio che ha fatto molto discutere, in Italia e in Europa.

Quarantuno dei cento settantasette migranti, eritrei, tra cui un minore, che erano a bordo della nave Diciotti, lo scorso agosto (che soltanto in data 20 agosto, dopo 5 giorni in mare, sbarcò al porto di Catania), hanno presentato un ricorso al tribunale civile di Roma per chiedere al governo italiano un risarcimento per essere stati costretti a rimanere a bordo dell’imbarcazione diversi giorni. La somma richiesta si aggirerebbe tra i quarantaduemila ed i settantunomila euro.

Contestualmente è stato presentato un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo.

La nave Diciotti è, ormai, diventata una nave simbolo, per l’Italia, soprattutto per l’Unione Europea.

Non vi è chi non ricordi che tutto era cominciato lo scorso 15 agosto, quando la suddetta nave militare aveva tratto in salvo 190 persone, in fuga dalla Libia. La mancata, tempestiva indicazione del “porto sicuro” per lo sbarco, aveva inevitabilmente aperto una polemica con Malta per il negato salvataggio, posto che era stato chiesto all’Europa di farsi carico di una quota dei migranti, minacciando più volte anche il respingimento verso la Libia.

Dopo esser rimasta ferma al largo dell’isola di Lampedusa per ben cinque giorni, allora, era stato individuato in Catania il porto di approdo. Tuttavia, dopo qualche ora, il Viminale aveva annunciato di non aver autorizzato lo sbarco. Da quel momento la nave  era rimasta in attesa di un’indicazione di attracco dalle autorità maltesi.

Le persone a bordo dell’imbarcazione (tra cui trenta minori non accompagnati) si erano, quindi, venute a trovare in uno stato di assoluta illegittima privazione della libertà di fatto, senza alcuna possibilità di libero sbarco, oltre che in condizioni psicofisiche estremamente critiche.

Dopo esser scesi dalla Diciotti, gli stranieri si erano rifugiati presso le strutture di Baobab Experience.

Ed è proprio dalla tendopoli del Baobab, a Roma, che, oggi, alcuni legali sta assistendo i migranti nella richiesta di risarcimento danni, sostenendo di aver riscontrato una grave violazione dei diritti umani e la privazione della libertà personale senza un ordine giudiziario. Queste le basi su cui si fonda la richiesta nei confronti del governo italiano.

Al momento, tuttavia, molti migranti coinvolti nella vicenda Diciotti hanno già lasciato il nostro Paese.

Avv. Jacopo Maria Pitorri

La nave salva migranti Alan Kurdi

Mentre nel Mediterraneo si continua inesorabilmente a perdere la vita (basti pensare che soltanto qualche giorno fa la croce rossa libica ha recuperato tre cadaveri dalla spiaggia di Sirte, oltre al fatto che sono già venti i corpi restituiti dal mare a febbraio), la nave della Ong tedesca Sea Eye ha lasciato ieri notte, 18 febbraio 2019, il porto spagnolo di Palma de Maiorca, diretta verso la zona Search And Rescue.

Mentre nel Mediterraneo si continua inesorabilmente a perdere la vita (basti pensare che soltanto qualche giorno fa la croce rossa libica ha recuperato tre cadaveri dalla spiaggia di Sirte, oltre al fatto che sono già venti i corpi restituiti dal mare a febbraio), la nave della Ong tedesca Sea Eye ha lasciato ieri notte, 18 febbraio 2019, il porto spagnolo di Palma de Maiorca, diretta verso la zona Search And Rescue .

Si precisa che le Ong sono organizzazioni senza fini di lucro, che operano in maniera indipendente dai vari Stati e dalle organizzazioni governative internazionali. Esistono in tutto il mondo e portano avanti con il loro operato campagne dall’inestimabile valore umanitario. Se ne é sentito parlare spesso, negli ultimi tempi, in tema di migranti. Le Ong denunciano i sempre più frequenti casi di respingimento di migranti in Libia ad opera di navi commerciali, che vengono coinvolte dalla Guardia costiera di Tripoli nel soccorso delle imbarcazioni che partono e che riportano indietro i migranti (nonostante la Libia non sia considerata un porto sicuro).

Questa nave, appena salpata, sarà l’unica presente nel nostro mare. E’, infatti, la sola imbarcazione umanitaria rimasta libera, coinvolta nella ricerca e nel soccorso di migranti nel Mare Mediterraneo. Torna, invero, a pattugliare le acque della zona Sar (Search And Rescue) libica, rimaste totalmente sfornite, private di tutela a seguito dell’ormai noto fermo della Sea Watch,  rimasta a Catania per ordine della Capitaneria di porto e delle autorità olandesi.

Sea Eye, organizzazione non governativa da tempo attiva nel Mediterraneo, ha ribattezzato questa imbarcazione, che ormai ha preso il largo, con il nome di Alan Kurdi, lo scorso 11 febbraio, a Palma De Maiorca, alla presenza del padre Abdullah Kurdi. La scelta è avvenuta al fine di ricordare Alan, il bambino siriano di tre anni, divenuto un simbolo della crisi europea dei migranti, dopo la morte per annegamento, nel 2015. La famosissima foto, scattata al ritrovamento del suo corpo senza vita su una spiaggia turca, con indosso una maglietta rossa,  e  il capo rivolto verso l’Europa, è diventata l’icona dei piccoli migranti che perdono la vita in mare, ed ha colpito le coscienze di popoli e governi europei e di tutto il mondo.

Il bimbo e la sua famiglia erano rifugiati siriani, che stavano tentando di raggiungere l’Europa via mare. A seguito del rifiuto di essere accolti in Canada, osando affrontare un pericoloso, terribile viaggio,  nel fare la traversata dell’Egeo, diretti verso la Grecia, erano stati vittime di un naufragio sulle coste turche, in cui purtroppo aveva trovato la morte il piccolo Alan. Insieme a lui erano morti suo fratello Ghalib e sua madre Rehana. Questa morte aveva inevitabilmente acceso non poche polemiche sulla crisi dei rifugiati, oltre ad un clamoroso dibattito diffusosi durante le elezioni federali canadesi del 2015, ed in generale in tutti i Paesi coinvolti dalla crisi dei migranti. Tant’è vero che il grave, tragico episodio aveva generato, ineluttabilmente, numerose risposte internazionali.

Non vi è dubbio, comunque, che il nome Alan Kurdi terrà vivo il ricordo di una tragica realtà: quella del dolore e della sofferenza; quella delle persone che, ogni giorno, annegano nel Mediterraneo.

Mentre nel Mediterraneo si continua inesorabilmente a perdere la vita (basti pensare che soltanto qualche giorno fa la croce rossa libica ha recuperato tre cadaveri dalla spiaggia di Sirte, oltre al fatto che sono già venti i corpi restituiti dal mare a febbraio), la nave della Ong tedesca Sea Eye ha lasciato ieri notte, 18 febbraio 2019, il porto spagnolo di Palma de Maiorca, diretta verso la zona Search And Rescue.

Si precisa che le Ong sono organizzazioni senza fini di lucro, che operano in maniera indipendente dai vari Stati e dalle organizzazioni governative internazionali. Esistono in tutto il mondo e portano avanti con il loro operato campagne dall’inestimabile valore umanitario. Se ne é sentito parlare spesso, negli ultimi tempi, in tema di migranti. Le Ong denunciano i sempre più frequenti casi di respingimento di migranti in Libia ad opera di navi commerciali, che vengono coinvolte dalla Guardia costiera di Tripoli nel soccorso delle imbarcazioni che partono e che riportano indietro i migranti (nonostante la Libia non sia considerata un porto sicuro).

Questa nave, appena salpata, sarà l’unica presente nel nostro mare. È, infatti, la sola imbarcazione umanitaria rimasta libera, coinvolta nella ricerca e nel soccorso di migranti nel Mare Mediterraneo. Torna, invero, a pattugliare le acque della zona Sar (Search And Rescue) libica, rimaste totalmente sfornite, private di tutela a seguito dell’ormai noto fermo della Sea Watch, rimasta a Catania per ordine della Capitaneria di porto e delle autorità olandesi.

Sea Eye, organizzazione non governativa da tempo attiva nel Mediterraneo, ha ribattezzato questa imbarcazione, che ormai ha preso il largo, con il nome di Alan Kurdi, lo scorso 11 febbraio, a Palma De Maiorca, alla presenza del padre Abdullah Kurdi. La scelta è avvenuta al fine di ricordare Alan, il bambino siriano di tre anni, divenuto un simbolo della crisi europea dei migranti, dopo la morte per annegamento, nel 2015. La famosissima foto, scattata al ritrovamento del suo corpo senza vita su una spiaggia turca, con indosso una maglietta rossa, e il capo rivolto verso l’Europa, è diventata l’icona dei piccoli migranti che perdono la vita in mare, ed ha colpito le coscienze di popoli e governi europei e di tutto il mondo.

Il bimbo e la sua famiglia erano rifugiati siriani, che stavano tentando di raggiungere l’Europa via mare. A seguito del rifiuto di essere accolti in Canada, osando affrontare un pericoloso, terribile viaggio, nel fare la traversata dell’Egeo, diretti verso la Grecia, erano stati vittime di un naufragio sulle coste turche, in cui purtroppo aveva trovato la morte il piccolo Alan. Insieme a lui erano morti suo fratello Ghalib e sua madre Rehana. Questa morte aveva inevitabilmente acceso non poche polemiche sulla crisi dei rifugiati, oltre ad un clamoroso dibattito diffusosi durante le elezioni federali canadesi del 2015, ed in generale in tutti i Paesi coinvolti dalla crisi dei migranti. Tant’è vero che il grave, tragico episodio aveva generato, ineluttabilmente, numerose risposte internazionali.

Non vi è dubbio, comunque, che il nome Alan Kurdi terrà vivo il ricordo di una tragica realtà: quella del dolore e della sofferenza; quella delle persone che, ogni giorno, annegano nel Mediterraneo.

Avvocato Jacopo Maria Pitorri

Il pontefice vuole l’apertura dei porti

“Le migrazioni sono il fatto epocale che cambierà il modo di vivere e di pensare…”. E ancora: “Spostarsi e stabilirsi altrove, con la speranza di trovare una vita migliore per sé stessi e le loro famiglia. È questo il desiderio profondo che ha mosso milioni di migranti nel corso dei secoli”. Sono i messaggi che, da tempo, Papa Francesco, realisticamente e nel dettaglio, va professando per indicare cosa è necessario e possibile fare per i migranti, il tutto con consapevolezza del diritto internazionale.

“Le migrazioni sono il fatto epocale che cambierà il modo di vivere e di pensare…”. E ancora: “Spostarsi e stabilirsi altrove,  con la speranza di trovare una vita migliore per se stessi e le loro famiglia. E’ questo il desiderio profondo che ha mosso milioni di migranti nel corso dei secoli”. Sono i messaggi che, da tempo, Papa Francesco, realisticamente e nel dettaglio, va professando per indicare  cosa è necessario e possibile fare per i migranti, il tutto con consapevolezza del diritto internazionale.

I quattro “comandamenti” che sono alla base dei messaggi, già enunciati in altre circostanze, ovvero “accogliere, proteggere, promuovere e integrare”, sfociano, quindi, in azioni concrete, effettive, autentiche.

Ovviamente, come spesso accade, l’effetto delle parole del Papa è, oltre che inatteso,  sconcertante e straordinario. Verosimilmente, al momento, nessuno, In Europa, è in grado di fare propria la carta ispirata ai quattro comandamenti di Francesco. E il fatto di averla stesa, messa nero su bianco senza possibilità di equivoci, è alquanto scomodo. Va, però, preso in grande considerazione un fatto:  questo Pontefice mette a disposizione la sua autorità spirituale e morale per evidenziare una concreta idea di convivenza umana e cambiamento, che riguarda l’intero pianeta. Un segnale decisamente forte. E non bisogna credere che Bergoglio voglia agire intromettendosi nelle pratiche di governo degli Stati. La questione è ben altra: ciò che il Santo Padre intende far conoscere verte sugli orientamenti, le linee di fondo, il metodo, la strada da percorrere segnalando la corretta via a chi si è smarrito sia nelle scelte politiche che nei sentimenti di solidarietà, accoglienza, umanità dei vari popoli. Tra l’altro Papa Francesco è colui che sostiene che “la paura è l’origine di ogni schiavitù e di ogni dittatura. Sulla paura del popolo cresce la violenza dei dittatore”.

In occasione dell’incontro sul tema migrazioni “Liberi dalla paura”, promosso e organizzato dalla Fondazione Migrantes della Cei, dalla Caritas Italiana e dal Centro Astalli a Sacrofano, Bergoglio si è prestato ad un selfie con il parroco di Marghera (Venezia), che era in prima fila per l’accoglienza degli immigrati. Quest’ultimo ha consegnato al Pontefice una spilletta che riporta l’eloquente slogan“Apriamo i porti”, che Papa Francesco ha poi chiesto di tenere con sé. Inoltre si è concesso per un selfie con il parroco, propagatosi immediatamente sui vari social.

Per il Santo Padre l’esortazione “apriamo i porti” costituisce un diritto umano, che va garantito nei confronti di chiunque.  Un diritto assoluto, che non può essere messo in discussione. Il Vescovo di Roma ha avuto modo di ribadirlo in più  di un’occasione nei suoi anni di pontificato.

Ne deriva che, di contro a chi proclama da sempre l’idea secondo cui questi porti dovrebbero, invece, essere chiusi, il pensiero di Bergoglio non fa che amplificare un dibattito già estremamente infervorato.

“Le migrazioni sono il fatto epocale che cambierà il modo di vivere e di pensare…”. E ancora: “Spostarsi e stabilirsi altrove, con la speranza di trovare una vita migliore per sé stessi e le loro famiglia. È questo il desiderio profondo che ha mosso milioni di migranti nel corso dei secoli”. Sono i messaggi che, da tempo, Papa Francesco, realisticamente e nel dettaglio, va professando per indicare cosa è necessario e possibile fare per i migranti, il tutto con consapevolezza del diritto internazionale.

I quattro “comandamenti” che sono alla base dei messaggi, già enunciati in altre circostanze, ovvero “accogliere, proteggere, promuovere e integrare”, sfociano, quindi, in azioni concrete, effettive, autentiche.

Ovviamente, come spesso accade, l’effetto delle parole del Papa è, oltre che inatteso, sconcertante e straordinario. Verosimilmente, al momento, nessuno, In Europa, è in grado di fare propria la carta ispirata ai quattro comandamenti di Francesco. E il fatto di averla stesa, messa nero su bianco senza possibilità di equivoci, è alquanto scomodo. Va, però, preso in grande considerazione un fatto: questo Pontefice mette a disposizione la sua autorità spirituale e morale per evidenziare una concreta idea di convivenza umana e cambiamento, che riguarda l’intero pianeta. Un segnale decisamente forte. E non bisogna credere che Bergoglio voglia agire intromettendosi nelle pratiche di governo degli Stati. La questione è ben altra: ciò che il Santo Padre intende far conoscere verte sugli orientamenti, le linee di fondo, il metodo, la strada da percorrere segnalando la corretta via a chi si è smarrito sia nelle scelte politiche che nei sentimenti di solidarietà, accoglienza, umanità dei vari popoli. Tra l’altro Papa Francesco è colui che sostiene che “la paura è l’origine di ogni schiavitù e di ogni dittatura. Sulla paura del popolo cresce la violenza dei dittatori”.

In occasione dell’incontro sul tema migrazioni “Liberi dalla paura”, promosso e organizzato dalla Fondazione Migrantes della Cei, dalla Caritas Italiana e dal Centro Astalli a Sacrofano, Bergoglio si è prestato ad un selfie con il parroco di Marghera (Venezia), che era in prima fila per l’accoglienza degli immigrati. Quest’ultimo ha consegnato al Pontefice una spilletta che riporta l’eloquente slogan“Apriamo i porti”, che Papa Francesco ha poi chiesto di tenere con sé. Inoltre, si è concesso per un selfie con il parroco, propagatosi immediatamente sui vari social.

Per il Santo Padre l’esortazione “apriamo i porti” costituisce un diritto umano, che va garantito nei confronti di chiunque.  Un diritto assoluto, che non può essere messo in discussione. Il Vescovo di Roma ha avuto modo di ribadirlo in più  di un’occasione nei suoi anni di pontificato.

Ne deriva che, di contro a chi proclama da sempre l’idea secondo cui questi porti dovrebbero, invece, essere chiusi, il pensiero di Bergoglio non fa che amplificare un dibattito già estremamente infervorato.

Avvocato Jacopo Pitorri

I migranti alla porta occidentale d’Italia

Ventimiglia, comune italiano della provincia di Imperia, in Liguria, per definizione “la porta occidentale d’Italia”, è stata teatro di un episodio drammatico accaduto oggi, 14 febbraio 2019.

Ventimiglia, comune italiano della provincia di Imperia, in Liguria, per definizione “la porta occidentale d’Italia”, è stata teatro di un episodio drammatico accaduto oggi, 14 febbraio 2019.

Diversi passeggeri che si trovavano su un treno partito stamani, per l’appunto da Ventimiglia, e diretto a Nizza, hanno ripreso l’intervento di alcuni gendarmi  – della polizia francese – che con la forza hanno scardinato la porta di una delle toilette in cui si erano nascosti tre migranti, nella speranza di riuscire a raggiungere la Francia.

Secondo quanto narrato da alcuni testimoni, i gendarmi in questione avrebbero posto in essere atteggiamenti vessatori, spruzzando addirittura qualcosa, verosimilmente spray urticante, che ha raggiunto anche i viaggiatori presenti nella carrozza,  provocando loro bruciori, tosse, perfino attimi di confusione e panico. Il tutto per arrivare alla triste finalità di far scendere dal convoglio le tre persone. Ciò è  avvenuto, presso la stazione di Menton Garavan.

Non vi è dubbio che quanto accaduto questa mattina sul treno partito da Ventimiglia potrebbe creare  non pochi problemi – anche tra Italia e Francia – considerando che l’accaduto verificatosi è estremamente grave.

A Ventimiglia, qualche mese fa, si è già verificato un increscioso episodio, dal quale erano scaturite diverse polemiche. La titolare di un locale della cittadina ligure, infatti, quasi sessantenne, ha sempre fatto il possibile per dare un aiuto agli stranieri, di passaggio verso la Francia.

La sua lotta ha avuto inizia tre anni fa, quando la piccola comunità di Ventimiglia è rimasta coinvolta nei flussi di migranti che dall’Italia tentano di raggiungere il resto dell’Europa. Pur contro alcuni boicottaggi della gente del posto (che ha fatto chiudere le fontane per impedire a queste persone meno fortunate di lavarsi, che ha reso i bagni pubblici a pagamento, che si è attivata per fare ostruzionismo di ogni genere, nei loro confronti), la titolare del locale, aperto quindici anni fa, oltre a continuare ad offrire caffè e brioche agli abitanti della zona che lavorano e circolano nelle vicinanze della stazione, è diventata un punto di riferimento, per oltre mille persone al giorno. Tutto questo nonostante abbia dovuto fare i conti con la minaccia di chiusura del proprio locale.

Ci sono state diverse mattine,  in quel bar,  in cui alla parlata ventimigliese si è associata quella araba, francese e quella inglese, e non più solo davanti a un cappuccino a leggere il giornale, ma a compilare documenti, bonifici alla posta per rinnovare il permesso di soggiorno, a ricaricare i telefoni per avvisare le famiglie e addirittura ad imparare le prime parole in italiano.

Costantemente, con caparbietà e perseveranza, la titolare del locale ha continuato a preparare un piatto caldo per i migranti affamati, ad offrire caramelle e patatine ai migranti più piccoli, a mettere a disposizione la corrente del negozio per ricaricare i telefoni e permettere agli stessi di parlare con le proprie famiglie. E poco importa se la popolazione di Ventimiglia ha cominciato a disertare il bar, se per strada hanno minacciato la gentile signora, se di notte hanno provato a bloccare le porte del locale per ostacolare l’attività.

Lei ha visto uomini e donne piangere per aver perso la moglie o il marito in mare, bambini soffrire e vivere di dolore, gente che non mangiava da giorni, persone che pur di arrivare a destinazione, auspicando in una vita migliore, hanno affrontato lunghi, terribili viaggi.

La infaticabile signora non ha voltato le spalle a queste persone, sostenendo che, innanzitutto, il bar è un pubblico esercizio, dove ha diritto ad entrare chiunque, applicando poi i più elementari principi di solidarietà, responsabilità, ospitalità, aiuto per coloro che si trovano in difficoltà.  

Ventimiglia, comune italiano della provincia di Imperia, in Liguria, per definizione “la porta occidentale d’Italia”, è stata teatro di un episodio drammatico accaduto oggi, 14 febbraio 2019.

Diversi passeggeri che si trovavano su un treno partito stamani, per l’appunto da Ventimiglia, e diretto a Nizza, hanno ripreso l’intervento di alcuni gendarmi  – della polizia francese – che con la forza hanno scardinato la porta di una delle toilette in cui si erano nascosti tre migranti, nella speranza di riuscire a raggiungere la Francia.

Secondo quanto narrato da alcuni testimoni, i gendarmi in questione avrebbero posto in essere atteggiamenti vessatori, spruzzando addirittura qualcosa, verosimilmente spray urticante, che ha raggiunto anche i viaggiatori presenti nella carrozza,  provocando loro bruciori, tosse, perfino attimi di confusione e panico. Il tutto per arrivare alla triste finalità di far scendere dal convoglio le tre persone. Ciò è  avvenuto, presso la stazione di Menton Garavan.

Non vi è dubbio che quanto accaduto questa mattina sul treno partito da Ventimiglia potrebbe creare  non pochi problemi – anche tra Italia e Francia – considerando che l’accaduto verificatosi è estremamente grave.

A Ventimiglia, qualche mese fa, si è già verificato un increscioso episodio, dal quale erano scaturite diverse polemiche. La titolare di un locale della cittadina ligure, infatti, quasi sessantenne, ha sempre fatto il possibile per dare un aiuto agli stranieri, di passaggio verso la Francia.

La sua lotta ha avuto inizia tre anni fa, quando la piccola comunità di Ventimiglia è rimasta coinvolta nei flussi di migranti che dall’Italia tentano di raggiungere il resto dell’Europa. Pur contro alcuni boicottaggi della gente del posto (che ha fatto chiudere le fontane per impedire a queste persone meno fortunate di lavarsi, che ha reso i bagni pubblici a pagamento, che si è attivata per fare ostruzionismo di ogni genere, nei loro confronti), la titolare del locale, aperto quindici anni fa, oltre a continuare ad offrire caffè e brioche agli abitanti della zona che lavorano e circolano nelle vicinanze della stazione, è diventata un punto di riferimento, per oltre mille persone al giorno. Tutto questo nonostante abbia dovuto fare i conti con la minaccia di chiusura del proprio locale.

Ci sono state diverse mattine,  in quel bar,  in cui alla parlata ventimigliese si è associata quella araba, francese e quella inglese, e non più solo davanti a un cappuccino a leggere il giornale, ma a compilare documenti, bonifici alla posta per rinnovare il permesso di soggiorno, a ricaricare i telefoni per avvisare le famiglie e addirittura ad imparare le prime parole in italiano.

Costantemente, con caparbietà e perseveranza, la titolare del locale ha continuato a preparare un piatto caldo per i migranti affamati, ad offrire caramelle e patatine ai migranti più piccoli, a mettere a disposizione la corrente del negozio per ricaricare i telefoni e permettere agli stessi di parlare con le proprie famiglie. E poco importa se la popolazione di Ventimiglia ha cominciato a disertare il bar, se per strada hanno minacciato la gentile signora, se di notte hanno provato a bloccare le porte del locale per ostacolare l’attività.

Lei ha visto uomini e donne piangere per aver perso la moglie o il marito in mare, bambini soffrire e vivere di dolore, gente che non mangiava da giorni, persone che pur di arrivare a destinazione, auspicando in una vita migliore, hanno affrontato lunghi, terribili viaggi.

La infaticabile signora non ha voltato le spalle a queste persone, sostenendo che, innanzitutto, il bar è un pubblico esercizio, dove ha diritto ad entrare chiunque, applicando poi i più elementari principi di solidarietà, responsabilità, ospitalità, aiuto per coloro che si trovano in difficoltà.  

Avv. Iacopo Maria Pitorri

Migranti: la sea watch e’ arrivata a catania

Da qualche giorno, ormai, nel mare Mediterraneo, davanti alle coste della Sicilia – dinanzi Siracusa – la Sea Watch – battente bandiera olandese –  con a bordo 47 migranti (inclusi 15 minorenni non accompagnati), era in attesa del via libera allo sbarco. Il Viminale ha individuato il porto di Catania per l’attracco, dopo che sei paesi hanno accettato di dividere con l’Italia i migranti a bordo coordinandosi con la Commissione europea: Francia, Portogallo, Germania, Malta, Lussemburgo e Romania. La scelta riposta sul porto di Catania è stata dettata dalla presenza dei centri per l’accoglienza dei minori, ove verranno trasferiti i migranti; mentre i maggiorenni saranno portati all’hotspot di Messina, dove saranno identificati, in attesa di essere trasferiti nei Paesi europei che hanno dato la disponibilità per ospitarli.

In tutto ciò, per giorni, sul molo di Siracusa non era passata inosservata la incessante presenza di organizzazioni umanitarie, attivisti ed esponenti della politica che, intenzionati da subito ad accogliere i migranti, chiedevano una pronta soluzione al problema, considerate le inesplicabili condizioni delle persone a bordo della nave, con un trascorso estremamente arduo, difficile, sofferente, permeato da tormenti, e pieno di pene e tribolazioni  per le sofferenze subite nella dignità e nei diritti umani.

La vicenda si è avvita a conclusione  quando la SeaWatch, al largo di Siracusa, ha attraccato a Catania nel molo di Levante con a bordo i quarantasette migranti. Ciò che – da subito – ha più colpito i presenti e l’opinione pubblica è stato un abbraccio: al termine delle manovre di approdo, difatti,  i migranti a bordo hanno festeggiato l’arrivo abbracciandosi tra di loro e abbracciando anche i componenti dell’equipaggio della nave della Ong tedesca battente bandiera olandese.

La nave è stata scortata da motovedette della guardia costiera e della guardia di finanza.

Per ciò che riguarda i minori, il Tribunale per i minorenni di Catania ha emesso provvedimenti di nomina di tutore per ciascuno di quelli presenti sulla Sea Wacth, onde attivare le opportune tutele, in linea con la disciplina interna e la normativa internazionale.

L’aspetto positivo da rilevare è il coordinamento tra alcuni Paesi dell’Europa sulla questione anche grazie alla Commissione Europea.

Avv. Pitorri

Claudio Baglioni e gli immigrati

Qualche giorno fa, nel corso della conferenza stampa di presentazione del Festival di Sanremo 2019, è emerso un tema di non poco conto. Il Direttore artistico del Festival, Claudio Baglioni, riferendosi all’emergenza immigrazione è intervenuto argomentando sulla vicenda della Sea Watch e dellaSea Eye, le due imbarcazioni al centro dell’accordo raggiunto tra Malta ed i Paesi dell’Unione Europea.

Percorrendo la via della democrazia, scevro da qualunque forma di ipocrisia  – e con grande coraggio -, Claudio Baglioni ha espresso le sue riflessioni sulla poca armonia che “si respira” nel nostro Paese, giudicato confuso e cieco, incapace di prendere una direzione. Ha infatti sostenuto che “La classe politica, quella dirigente e l’opinione pubblica hanno mancato paurosamente. Siamo un Paese incattivito, rancoroso, guardiamo con sospetto anche la nostra ombra, e questo è un disastro prima di tutto di ordine intellettuale”.

Sul tragico caso della Sea Watch e dei migranti ha riferito “Se non fosse drammatica ci sarebbe da ridere. Non si può pensare di risolvere la situazione di milioni di persone in movimento e in situazioni di disagio evitando lo sbarco di quaranta persone, li prendo io o li prendi tu. Non credo che un dirigente politico oggi abbia la capacità di risolvere la questione, però dovrebbe almeno saper dire la verità, e cioè che siamo di fronte a un grande problema e dobbiamo metterci tutti nella condizione di risolverlo”. E ancora: “Credo che le misure che sono state messe in campo dal governo non siano all’altezza. Non lo sono state neanche quelle precedenti ma ora il problema è più grande.  Tutti guardano con sospetto il diverso da sé. Siamo vicini all’anniversario della caduta del Muro di Berlino e noi invece ne stiamo alzando altri. Anzi non li abbiamo mai abbattuti. Io sono stato sempre contrario ai viaggi clandestini perché provocano morti. Ma il problema non si può risolvere chiudendoci”.

Nessun nome, quindi, ma riferimenti chiari e precisi da parte di Baglioni, che sente molto il tema dell’immigrazione, al punto di aver ideato un Festival – O’ Scià –  che per ben dieci anni si è tenuto sull’isola di Lampedusa per sensibilizzare la gente proprio sul problema degli sbarchi clandestini.

Le esternazioni di Baglioni contro la politica sull’immigrazione adottata dal governo, come era prevedibile, hanno dato luogo a numerose reazioni sia sul web che non, tanto che perfino il Ministro dell’Interno, in un tweet, ha risposto al cantante chiedendogli di restare fuori dalle questioni politiche, continuando ad occuparsi di musica.

Per dovere di cronaca, tuttavia, va precisato che la querelle legata alle critiche del Direttore artistico del prossimo Festival di Sanremo sulle misure adottate in tema di migranti dall’attuale governo e dai precedenti (ritenute “non all’altezza della situazione”), si è spenta con un  successivo chiarimento avvenuto tra i due.

Avv. Iacopo Maria Pitorri