La nave Mare Jonio che ha salvato 50 migranti

In meno di un giorno quello che stava per tramutarsi in un nuovo caso Diciotti è giunto all’epilogo. Si tratta della nave Mare Jonio, della ong italiana Mediterranea Saving Humans, arrivata a Lampedusa dopo aver soccorso in acque internazionali, a quarantadue miglia dalle coste libiche, cinquanta persone che si trovavano a bordo di un gommone in avaria, che imbarcava acqua. Sulla nave vi erano anche dodici minori, in mare da due giorni. I migranti hanno toccato terra urlando “liberté! Liberté!”, sbarcando tutti in condizioni piuttosto stabili, ma estremamente provati e con problemi di disidratazione. Il primo a scendere è stato un minore africano, avvolto da una sciarpa bianca, seguito da altri fanciulli. Una cornice palesemente toccante, con protagonisti i migranti e coloro che erano pronti ad accoglierli in porto, che applaudivano con evidente enfasi.

 Prima dello sbarco era anche salito a bordo il medico del Poliambutorio di Lampedusa, per accertarsi delle condizioni dei naufraghi.

Anche i membri dell’equipaggio della nave Mare Jonio sono sbarcati, senza che in quel momento venisse notificato loro alcun provvedimento, fatta eccezione per la convocazione in caserma del comandante della nave.

Il Viminale ha poi  comunicato che la Guardia di Finanza avrebbe proceduto al sequestro della nave Mare Jonio.

 Al comandante della Mare Jonio, pertanto, la Guardia di Finanza ha notificato il sequestro probatorio della nave, provvedimento emesso dalla Procura di Agrigento, che aveva disposto lo sbarco dei migranti a bordo, aprendo contestualmente un fascicolo a carico di ignoti per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Vi  sono state  persone come il Sindaco di Lampedusa che hanno manifestato sin dall’inizio.  “Il porto è aperto, non ci sono cannoni puntati”, ha dichiarato in mattinata, ricordando che sull’isola gli sbarchi non si sono mai fermati. Ed ha continuato: “Non c’è motivo che non entrino in porto, se sono in difficoltà. Non c’è nessuna ordinanza“. Anche un medico di Lampedusa ha fatto parlare di sé, nella vicenda. Lo stesso, invero, si è straordinariamente prodigato per curare il ventiquattrenne del Gambia, che era stato evacuato per una sospetta polmonite. Ora il ragazzo sta meglio ed è al centro d’accoglienza.

Particolare attenzione meritano le parole del comandante della nave: “Abbiamo persone che non stanno bene, devo portarle al sicuro e ci sono due metri di onda. Io non spengo nessun motore”, rivolgendosi via radio alla motovedetta della Guardia di Finanza che gli intimava di fermarsi. La Ong definisce il capitano della Mare Jonio “un vero capitano. Di professione è pescatore. Per decenni ha navigato in quel tratto di Mediterraneo che accomuna Libia, Italia e Tunisia. Oggi è il comandante della Mare Jonio. Abbandonare esseri umani in mare per un pescatore non è solo reato, è tradimento”.

Avv. Jacopo Pitorri

Migranti, bando per formazione e micro-finanziamenti per associazioni e ONG.

A seguito della a prima edizione del 2018 del Programma “Partecipazione, Azioni per la protezione e partecipazione dei rifugiati”, che aveva avuto un impatto non indifferente nella realizzazione di modelli di partecipazione da parte delle associazioni di rifugiati, recentemente, al fine di fornire risposte ancora più realistiche, efficaci e tangibili ai bisogni dei migranti, ha avuto inizio la seconda edizione del Programma promosso da Intersos e Unhcr.

Intersos è un’organizzazione non governativa italiana, umanitaria e senza scopo di lucro (fondata nel 1992), presente oggi in diciassette paesi del mondo, fra cui Libano, Sud Sudan, Iraq. È, tra l’altro, l’unica organizzazione non governativa italiana in Yemen. Unhcr è la principale organizzazione al mondo impegnata, in prima linea, a salvare vite umane e a proteggere i diritti di milioni di rifugiati.

Il Programma di questa seconda edizione, rivolto a tutte le associazioni di rifugiati, nonché alle organizzazioni radicate sul territorio (che favoriscono la partecipazione degli stessi), prevede tra i requisiti la indispensabile operatività in una delle  undici regioni target del programma: Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Sardegna, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia. Altra prerogativa deve essere quella di rispondere ad almeno una delle tre linee strategiche del Programma: protezione, partecipazione, coesione sociale.

Peculiare attenzione dell’edizione 2019 verrà data alla protezione delle persone vulnerabili (donne, anziani, persone sopravvissute a tortura, violenza sessuale, vittime di tratta, minori non accompagnati, persone portatrici di disabilità), al processo di crescita ed autodeterminazione femminile, nonché alle misure di contrasto alla discriminazione e alla xenofobia.

La valutazione delle domande spetterà ad un comitato di selezione, che ne dovrà scegliere fino ad un massimo di sedici. Successivamente, le organizzazioni identificate da Intersos e Unhcr potranno godere di un percorso di formazione, di un supporto economico ed entreranno a far parte di un network per lo scambio di buone pratiche.

Il percorso di formazione offerto è articolato in quattro moduli (da giugno ad ottobre 2019), ed è volto a rafforzare le competenze in diversi settori, tra cui: scrittura e gestione di progetti, fundraising (vale a dire la raccolta di fondi), comunicazione e public speaking (parlare in pubblico), protezione dei rifugiati. Il supporto economico, invece, sarà destinato alla realizzazione dei progetti selezionati.

Saranno erogati fino ad un massimo di sedici micro-finanziamenti, il cui importo può variare da cinque a ottomila euro, in virtù del progetto proposto, nonché delle capacità specifiche dell’organizzazione proponente.

I vincitori del bando, infine, avranno la possibilità di partecipare ad un evento di networking, a livello nazionale, per stimolare collaborazioni con le altre organizzazioni che hanno partecipato al Programma e consolidare reti.

Considerata la determinazione e l’entusiasmo delle organizzazioni che hanno partecipato alla prima edizione di “PartecipaAzione”, oltre al pregio e ai meriti delle iniziative locali realizzate grazie al progetto nel 2018, si auspica in una maggiore risposta partecipativa per questa edizione.

Avv. Jacopo Maria Pitorri

A Verona il Congresso Mondiale delle Famiglie.

Dal 29 al 31 marzo, a Verona, si è svolta la tredicesima edizione del congresso mondiale delle famiglie, dal titolo “Il Vento del Cambiamento: L’Europa e il Movimento Globale Pro-Family”. La kermesse si è sviluppata con conferenze e approfondimenti con l’obiettivo di “difendere la famiglia naturale, come sola unità stabile e fondamentale della soci”. Oltre ad una città assolutamente blindata, le porte sono state chiuse ai giornalisti. Per tre giorni ci sono stati anche cortei e manifestazioni di protesta di associazioni e movimenti.

Tra i relatori del cosiddetto “Family Day”, c’è stato il Ministro dell’Interno, oltre al Ministro per la Famiglia e la Disabilità e il Ministro dell’Istruzione. Al di là di noti esponenti politici, nonché al sindaco di Verona, ha preso la parola anche il Vescovo di Verona. Ben centocinquanta relatori giungeranno da tutto il mondo.

Si è trattato di un evento pubblico internazionale, volto ad unire ed a far collaborare leader, organizzazioni e famiglie allo scopo di celebrare e sostenere la famiglia naturale. Tant’è vero che tra i temi trattati sono stati: la bellezza del matrimonio, i diritti dei bambini, ecologia umana integrale, la donna nella storia, crescita e crisi demografica, salute e dignità della donna, tutela giuridica della vita e della famiglia, politiche aziendali per la famiglia e la natalità. Un richiamo particolare, al riguardo, va al’ articolo 16, comma 3, della Dichiarazione universale dei diritti umani, il quale specifica che: “La famiglia è l’unità di gruppo naturale e fondamentale della società e ha diritto alla protezione da parte della società e dello stato”.

Critiche e polemiche, nel corso di questo rilevante evento, non sono mancate. Vi sarà, infatti, chi è nemico dichiarato del mondo “Lgbt” (vale a dire omosessuali, lesbiche e trans). Vi sono stati gruppi antiabortista, che proclameranno la criminalizzazione dell’aborto e della surrogazione di maternità. Vi sono stati coloro che si opporranno all’istituto del divorzio ritenendo che esso sia parte del “declino familiare “.

Il clou c’è stato sabato 30 marzo, con il grande corteo di centinaia di associazioni che sono sfilate per la città, al fine di protestare contro “l’oscurantismo e il nuovo medioevo lanciato dal Congresso delle Famiglie”. Hanno partecipato non meno di circa trentamila persone.

Avv. Jacopo Maria Pitorri

Corridoi umanitari

Il coordinatore di Mediterranean Hope (il progetto rifugiati e migranti della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia – FCEI) ha recentemente dichiarato che vi è l’urgenza di realizzare un Corridoio umanitario europeo.

Il coordinatore di Mediterranean Hope (il progetto rifugiati e migranti della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia – FCEI) ha recentemente dichiarato che vi è l’urgenza di realizzare un  Corridoio umanitario europeo.

L’iniziativa dei Corridoi Umanitari (CU) è nata dalla collaborazione ecumenica tra protestanti e cattolici: Federazione delle chiese evangeliche in Italia, Tavola valdese e Comunità di Sant’Egidio. I CU permettono a persone fuggite dai loro paesi e in condizione di vulnerabilità di accedere al loro diritto di chiedere asilo, utilizzando vie legali e sicure.

Le fondamenta giuridiche di tale iniziativa emergono dall’art. 25 del Regolamento CE 810/2009, che concede ai paesi Schengen la possibilità di rilasciare visti umanitari validi per il proprio territorio. Una volta in Italia i beneficiari hanno la possibilità di fare domanda di asilo, per la quale ricevono un adeguato supporto durante l’iter legislativo. Tra gli obiettivi del progetto, i più importanti sono eludere i viaggi della morte e le conseguenti tragedie in mare; combattere il business dei trafficantidi esseri umani e delle organizzazioni criminali; concedere a persone cosiddette “vulnerabili” (vale a dire vittime di persecuzioni, torture e violenze, famiglie con bambini, donne sole, malati, persone con disabilità) un ingresso legale sul territorio; gestire gli ingressi in totale sicurezza sul territorio italiano. La finalità dei Corridoi umanitari è quella di garantire sicurezza sia per i migranti, sia per chi già risiede in Italia, considerato che il rilascio dei visti è subordinato ad opportuni controlli  da parte del Ministero dell’Interno.

Dal punto di vista pratico, il funzionamento è il seguente: gli enti promotori attraverso le segnalazioni fornite da un network di collaboratori (ONG locali e internazionali, associazioni, Chiese e organismi ecumenici ecc.), stilano una lista di potenziali beneficiari, che viene esaminata dagli operatori in loco e successivamente trasmessa alle autorità consolari italiane, affinché possano rilasciare dei visti umanitari validi per l’Italia.

Una volta giunti nel nostro Paese,  i beneficiari sono presi in carico dai promotori del progetto in collaborazione, accompagnati e sostenuti in un percorso di integrazione legale-giuridico, lavorativo, scolastico e sanitario, al fine di raggiungere una graduale autonomia. L’accoglienza diffusa e partecipata genera solidarietà a livello ecumenico, favorisce l’inclusione sociale e fortifica le comunità locali impegnate nel progetto.

Ne deriva che i Corridoi Umanitari sono la dimostrazione di una sorta di valida sinergia tra la società civile e le istituzioni. Tant’è vero che il modello dei CU ha ricevuto importanti riconoscimenti. Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, lo ha definito “un momento di realizzazione concreta dei principi della Costituzione italiana”. Il Parlamento europeo ha auspicato l’estensione dell’iniziativa anche ad altri Paesi Membri, posto che si tratta di un esempio cui l’Europa può ispirarsi per aiutare i migranti e affrontare gli attuali flussi di rifugiati.

Tra l’altro – è bene rammentarlo – il progetto non grava in alcun modo sullo Stato: i fondi, invero, provengono in larga parte dall’Otto per mille delle chiese valdesi e metodiste, da diverse comunità evangeliche in Italia e all’estero, da reti ecumeniche internazionali e da raccolte fondi come quella lanciata dalla Comunità di Sant’Egidio.

Considerato, perciò, che in Libia, attualmente, la situazione è estremamente difficile , Mediterranean Hope ha avanzato la proposta di aprire un “Corridoio umanitario europeo” per cinquantamila migranti. Dovrebbero essere accolti in Paesi dell’Unione Europea, con la collaborazione diretta delle rispettive società civili, così come accade in Italia, Francia e Belgio. Le testimonianze di coloro che sono stati rinchiusi e torturati  costituiscono, in quest’ottica, un grido di aiuto che richiede un impegno concreto e urgente, il quale deve necessariamente comprendere anche la tutela del diritto all’asilo e alla protezione internazionale.

L’Italia vuole garantire il pieno rispetto di tutti i diritti umani nei centri gestiti dal governo e nei quali operano le organizzazioni umanitarie e, concretamente, si sta adoperando non poco per dare il proprio sostegno ai “programmi di rimpatrio volontari” (nei quali sono direttamente coinvolte le organizzazioni umanitarie che lavorano a Tripoli).

Ulteriormente il governo italiano sta aiutando i libici a rafforzare il controllo delle proprie frontiere, tramite la fornitura di motovedette e apparecchiature per le comunicazioni satellitari e radio.

Il coordinatore di Mediterranean Hope (il progetto rifugiati e migranti della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia – FCEI) ha recentemente dichiarato che vi è l’urgenza di realizzare un Corridoio umanitario europeo.

L’iniziativa dei Corridoi Umanitari (CU) è nata dalla collaborazione ecumenica tra protestanti e cattolici: Federazione delle chiese evangeliche in Italia, Tavola valdese e Comunità di Sant’Egidio. I CU permettono a persone fuggite dai loro paesi e in condizione di vulnerabilità di accedere al loro diritto di chiedere asilo, utilizzando vie legali e sicure.

Le fondamenta giuridiche di tale iniziativa emergono dall’art. 25 del Regolamento CE 810/2009, che concede ai paesi Schengen la possibilità di rilasciare visti umanitari validi per il proprio territorio. Una volta in Italia i beneficiari hanno la possibilità di fare domanda di asilo, per la quale ricevono un adeguato supporto durante l’iter legislativo. Tra gli obiettivi del progetto, i più importanti sono eludere i viaggi della morte e le conseguenti tragedie in mare; combattere il business dei trafficantidi esseri umani e delle organizzazioni criminali; concedere a persone cosiddette “vulnerabili” (vale a dire vittime di persecuzioni, torture e violenze, famiglie con bambini, donne sole, malati, persone con disabilità) un ingresso legale sul territorio; gestire gli ingressi in totale sicurezza sul territorio italiano. La finalità dei Corridoi umanitari è quella di garantire sicurezza sia per i migranti, sia per chi già risiede in Italia, considerato che il rilascio dei visti è subordinato ad opportuni controlli da parte del Ministero dell’Interno.

Dal punto di vista pratico, il funzionamento è il seguente: gli enti promotori attraverso le segnalazioni fornite da un network di collaboratori (ONG locali e internazionali, associazioni, Chiese e organismi ecumenici ecc.), stilano una lista di potenziali beneficiari, che viene esaminata dagli operatori in loco e successivamente trasmessa alle autorità consolari italiane, affinché possano rilasciare dei visti umanitari validi per l’Italia.

Una volta giunti nel nostro Paese, i beneficiari sono presi in carico dai promotori del progetto in collaborazione, accompagnati e sostenuti in un percorso di integrazione legale-giuridico, lavorativo, scolastico e sanitario, al fine di raggiungere una graduale autonomia. L’accoglienza diffusa e partecipata genera solidarietà a livello ecumenico, favorisce l’inclusione sociale e fortifica le comunità locali impegnate nel progetto.

Ne deriva che i Corridoi Umanitari sono la dimostrazione di una sorta di valida sinergia tra la società civile e le istituzioni. Tant’è vero che il modello dei CU ha ricevuto importanti riconoscimenti. Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, lo ha definito “un momento di realizzazione concreta dei principi della Costituzione italiana”. Il Parlamento europeo ha auspicato l’estensione dell’iniziativa anche ad altri Paesi Membri, posto che si tratta di un esempio cui l’Europa può ispirarsi per aiutare i migranti e affrontare gli attuali flussi di rifugiati.

Tra l’altro – è bene rammentarlo – il progetto non grava in alcun modo sullo Stato: i fondi, invero, provengono in larga parte dall’Otto per mille delle chiese valdesi e metodiste, da diverse comunità evangeliche in Italia e all’estero, da reti ecumeniche internazionali e da raccolte fondi come quella lanciata dalla Comunità di Sant’Egidio.

Considerato, perciò, che in Libia, attualmente, la situazione è estremamente difficile, Mediterranean Hope ha avanzato la proposta di aprire un “Corridoio umanitario europeo” per cinquantamila migranti. Dovrebbero essere accolti in Paesi dell’Unione Europea, con la collaborazione diretta delle rispettive società civili, così come accade in Italia, Francia e Belgio. Le testimonianze di coloro che sono stati rinchiusi e torturati costituiscono, in quest’ottica, un grido di aiuto che richiede un impegno concreto e urgente, il quale deve necessariamente comprendere anche la tutela del diritto all’asilo e alla protezione internazionale.

L’Italia vuole garantire il pieno rispetto di tutti i diritti umani nei centri gestiti dal governo e nei quali operano le organizzazioni umanitarie e, concretamente, si sta adoperando non poco per dare il proprio sostegno ai “programmi di rimpatrio volontari” (nei quali sono direttamente coinvolte le organizzazioni umanitarie che lavorano a Tripoli).

Ulteriormente il governo italiano sta aiutando i libici a rafforzare il controllo delle proprie frontiere, tramite la fornitura di motovedette e apparecchiature per le comunicazioni satellitari e radio.

Avvocato Iacopo Maria Pitorri

Migranti, una fiaccolata in Toscana

Successivamente alla  manifestazione antirazzista “People –  prima le persone”, che ha sfilato il 2 marzo scorso per il centro di Milano (presenti circa 250mila persone), anche in Toscana, precisamente a Castellina Marittima (Comune italiano di circa duemila abitanti, della provincia d Pisa) il Sindaco del luogo, in collaborazione con la parrocchia del piccolo Comune, l’ANPI (l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, nata circa un quinquennio fa) e l’ARCI locale (il circolo culturale di piazza Guerrazzi), si sono ritrovati per invocare un “no” al decreto Sicurezza.

 Il tutto è stato realizzato dando vita ad una spettacolare fiaccolata, simbolo della luce che oltrepassa il buio, la chiusura, le ostilità nei riguardi dei migranti.

Notevole è stato il consenso partecipativo della comunità.

A mobilitarsi è stata gran parte della Bassa Val di Cecina, giunta nella nota piazza Don Gallo, teatro che ha avuto per protagoniste attive le amministrazioni dei Comuni di Casale Marittimo, Casciana-Lari, Collesalvetti, Guardistallo, Montecatini Val di Cecina, Montescudaio, Monteverdi Marittimo, Riparbella, Rosignano Marittimo, Santa Luce, oltre al Consiglio Regionale (che, per l’occasione, ha mandato sul posto un suo rappresentante) ed al Sindaco del Comune di Vecchiano, Presidente della Provincia di Pisa.

Dallo spirito della manifestazione a favore del fenomeno migratorio sono emerse forti grida di fratellanza, solidarietà, integrazione, ricerca di soluzioni che vadano al di là degli sterili impedimenti degli sbarchi, o di inefficaci direttive, o superficiali atteggiamenti decisionali, ovvero inutili muri di contrasto ai sogni e alle speranze di una vita nuova per gli immigrati.

Secondo i partecipanti alla manifestazione, le politiche sull’evento migratorio vanno comunque viste indipendentemente alle risposte e/o alle alternative che ogni governo ha inteso fornire, di volta in volta, posto che il fenomeno è diventato costante e continuo già dagli anni Novanta e più che scemare, è in aumento. Ciò perché, al di là di persecuzioni politiche, guerre, miseria e sofferenze, mancanza di lavoro e violenze, la variazione del clima che persiste scaturirà, da qui al 2050, movimenti migratori senza precedenti verso i grandi paesi dell’occidente civilizzato.

Avvocato Iacopo Maria Pitorri

Cittadinanza italiana per gli eroi dell’autobus dirottato

Qualche giorno fa, in Italia, una drammatica storia ha lasciato tutti col fiato sospeso. A San Donato Milanese, a poca distanza dall’aeroporto di Linate, l’autista di un pullman, un senegalese di 47 anni, con cittadinanza italiana dal 2004, voleva compiere un massacro. Grazie alla provvidenziale chiamata ai Carabinieri, avvenuta dal cellulare di uno studente a bordo del mezzo, i 51 ragazzi della seconda media della “Vailati” di Crema sono stati tratti in salvo. Quel ragazzo è Ramy Shehata (di origine egiziana). Insieme ad Adam El Hamami, marocchino, ha compiuto un gesto davvero eroico.

Basti pensare che l’autista aveva nascosto alcune taniche di benzina sull’autobus. Quando i ragazzi sono saliti, ha iniziato a minacciare tutti, costringendo le insegnanti a legare loro i polsi. Ha requisito i telefonini degli alunni, ma Ramy è riuscito a nascondere il suo. Grazie all’immediato contatto con le forze dell’ordine, immediatamente i carabinieri si sono messi all’inseguimento del pullman. Mentre l’autista gridava di voler compiere una strage per fermare le morti nel Mediterraneo, fuggendo, è finito sul guardrail. È stato allora che ha sparso la benzina sulle cappelliere e sui sedili, appiccando il fuoco.  I militari dell’Arma sono però stati prontissimi: rotti i finestrini, hanno fatto irruzione e provveduto prontamente a far scendere i ragazzi. E quando il senegalese ne ha trascinato uno a sé, minacciando di ucciderlo, lo hanno disarmato, portando tutti in salvo.

Strage sventata, pertanto. Il tutto grazie al tredicenne Ramy Shehata e ad Adam El Hamami, che con il primo ha avvisato i carabinieri durante il sequestro del bus, fornendo immediatamente la posizione dello stesso. L’uomo aveva precedenti per guida in stato di ebbrezza e violenza sui minori. Per la società Autoguidovie il senegalese Sy non aveva mai dato segni di squilibrio, non era mai stata ricevuta alcuna lamentela per il suo operato e nessuno era a conoscenza dei suoi precedenti penali. L’autista ha, tuttavia, ammesso di aver caricato prima del sequestro un video su youtube, inviato in Senegal a familiari e amici, palesando la sua intenzione di “punire l’Europa per le politiche sui migranti”. 

A seguito del tragico episodio – conclusosi, fortunatamente, a lieto fine – il Ministero dell’Interno ha dato il consenso per concedere la cittadinanza a Ramy.

L’iter per la cittadinanza, ovviamente, sarà avviato anche per Adam El Hamami, anche lui di tredici anni e figlio di immigrati, che ha dato l’allarme alle forze dell’ordine.

Il provvedimento, però, coinvolgerà soltanto i ragazzi e non riguarderà anche le loro famiglie. Cioè non si concederà la cittadinanza al padre del ragazzo, che ha anche precedenti penali. Operaio, in Italia dal 1996, avrebbe nel suo passato degli illeciti amministrativi e vecchi precedenti contro il patrimonio a suo carico, commessi tra Crema e Cremona. Tra l’altro, qualora venisse concessa la cittadinanza a Ramy, questa non si stenderebbe automaticamente ai suoi familiari.

Il papà di Ramy, infatti, non diventerebbe italiano, ma soltanto parente di cittadino italiano. È stato, comunque, precisato dal legale dei genitori dei ragazzi eroi che questi ultimi non hanno mai inteso chiedere, e non richiedono, nulla per se stessi.

Saranno ricevuti al Viminale i cinque ragazzi della scuola Media “Vailati” e dodici carabinieri, coinvolti nel dirottamento dello scuolabus sulla strada Paullese, in zona San Donato Milanese. 

I ragazzi sono: Adam che, dopo aver nascosto il telefonino al terrorista, è riuscito a chiamare i carabinieri fornendo indicazioni utili; Aurora che, presa in ostaggio, che ha mantenuto la calma e il sangue freddo; Fabio, che ha parlato con il terrorista nel tentativo di dissuaderlo e tranquillizzarlo; Nicolò, che si è coraggiosamente offerto come ostaggio dopo la richiesta del terrorista e Ramy, che ha chiamato i carabinieri.

Avvocato Iacopo Pitorri

I vescovi di Panama e i migranti

È stato recentemente reso pubblico un autorevole documento steso dai vescovi di Panama, lo Stato famoso per l’omonimo istmo, che rappresenta il punto in cui (come dicono i panamensi) gli oceani – Atlantico e Pacifico – si baciano. La relazione dei religiosi panamensi è emersa alla chiusura della duecentonovesima assemblea plenaria della Conferenza episcopale.

E’ stato recentemente reso pubblico un autorevole  documento steso dai vescovi di Panama, lo Stato famoso per l’omonimo istmo, che rappresenta il punto in cui (come dicono i panamensi) gli oceani  – Atlantico e Pacifico –  si baciano. La relazione dei religiosi panamensi è emersa alla chiusura della duecentonovesima assemblea plenaria della Conferenza episcopale.

Nel documento sono trattati temi degni di grande attenzione. Vi è, innanzitutto, un particolare ringraziamento al popolo panamense per la riuscita della Giornata Mondiale della Gioventù, con cui si è impegnata la Chiesa per “dare ai giovani spazi di partecipazione nelle strutture della Chiesa e della società, perché possano assumere le sfide della trasformazione sociale dinanzi alle ingiustizie, all’indifferenza e al negativismo del cambiamento”. I vescovi hanno manifestato la chiara intenzione di voler dare nuova vita alla Pastorale giovanile, per creare dialogo e lavoro comune, aggiornandosi sull’uso delle nuove tecnologie per evangelizzare il mondo digitale, con speciale attenzione ai popoli indigeni.

Oltre ciò, nel testo vi è un richiamo al documento “Protegiendo Nuestro Tesoro”, attraverso il quale la Chiesa panamense apre le sue braccia ad una forte protezione dei minori, con la stessa intensità e decisione, chiesta dalla Santa sede.

Ulteriormente viene trattato un argomento di non poco conto: quello relativo ai migranti.  Accennando alla realtà nazionale, i vescovi di Panama hanno palesato un concetto di fondo:  “come Chiesa non possiamo essere indifferenti al dramma che avviene ai nostri confini, dove centinaia di persone migrano con grande difficoltà, a rischio della loro vita, esposte alle reti della tratta di esseri umani, in condizioni veramente dolorose”. E ancora “Sfortunatamente, l’arrivo di questi migranti ha generato stereotipi in alcuni settori, perché pensano che tolgono il lavoro o portano malattie. Ci sono persino segni di xenofobia in un Paese la cui vocazione è di apertura, accoglienza e servizio al mondo. La Chiesa ha l’impegno cristiano di accogliere e proteggere il migrante, non possiamo restare indifferenti”.

Ciò che, pertanto, appare da questo importante testo è una esortazione a vincere le discriminazioni, nel tentativo di assumersi, ognuno,  responsabilità sociale nei confronti del prossimo, degli esclusi e degli impoveriti (compito specifico dei laici). Un Paese di solidarietà, fratellanza, giusto ed equo, con trasparenza, consapevolezza e responsabilità, quindi, è ciò che auspica la chiesa panamense.

In vista, poi, delle votazioni del  prossimo 5 maggio (con le elezioni i panamensi eleggeranno anche il nuovo Presidente della Repubblica), i vescovi hanno invitato tutti ad un voto responsabile, motivato nello scegliere coloro che hanno veramente l’impegno per la dignità della persona e del bene comune.

È stato recentemente reso pubblico un autorevole documento steso dai vescovi di Panama, lo Stato famoso per l’omonimo istmo, che rappresenta il punto in cui (come dicono i panamensi) gli oceani – Atlantico e Pacifico – si baciano. La relazione dei religiosi panamensi è emersa alla chiusura della duecentonovesima assemblea plenaria della Conferenza episcopale.

Nel documento sono trattati temi degni di grande attenzione. Vi è, innanzitutto, un particolare ringraziamento al popolo panamense per la riuscita della Giornata Mondiale della Gioventù, con cui si è impegnata la Chiesa per “dare ai giovani spazi di partecipazione nelle strutture della Chiesa e della società, perché possano assumere le sfide della trasformazione sociale dinanzi alle ingiustizie, all’indifferenza e al negativismo del cambiamento”. I vescovi hanno manifestato la chiara intenzione di voler dare nuova vita alla Pastorale giovanile, per creare dialogo e lavoro comune, aggiornandosi sull’uso delle nuove tecnologie per evangelizzare il mondo digitale, con speciale attenzione ai popoli indigeni.

Oltre ciò, nel testo vi è un richiamo al documento “Protegiendo Nuestro Tesoro”, attraverso il quale la Chiesa panamense apre le sue braccia ad una forte protezione dei minori, con la stessa intensità e decisione, chiesta dalla Santa sede.

Ulteriormente viene trattato un argomento di non poco conto: quello relativo ai migranti.  Accennando alla realtà nazionale, i vescovi di Panama hanno palesato un concetto di fondo: “come Chiesa non possiamo essere indifferenti al dramma che avviene ai nostri confini, dove centinaia di persone migrano con grande difficoltà, a rischio della loro vita, esposte alle reti della tratta di esseri umani, in condizioni veramente dolorose”. E ancora “Sfortunatamente, l’arrivo di questi migranti ha generato stereotipi in alcuni settori, perché pensano che tolgono il lavoro o portano malattie. Ci sono persino segni di xenofobia in un Paese la cui vocazione è di apertura, accoglienza e servizio al mondo. La Chiesa ha l’impegno cristiano di accogliere e proteggere il migrante, non possiamo restare indifferenti”.

Ciò che, pertanto, appare da questo importante testo è una esortazione a vincere le discriminazioni, nel tentativo di assumersi, ognuno, responsabilità sociale nei confronti del prossimo, degli esclusi e degli impoveriti (compito specifico dei laici). Un Paese di solidarietà, fratellanza, giusto ed equo, con trasparenza, consapevolezza e responsabilità, quindi, è ciò che auspica la chiesa panamense.

In vista, poi, delle votazioni del prossimo 5 maggio (con le elezioni i panamensi eleggeranno anche il nuovo Presidente della Repubblica), i vescovi hanno invitato tutti ad un voto responsabile, motivato nello scegliere coloro che hanno veramente l’impegno per la dignità della persona e del bene comune.

Avvocato Iacopo Maria Pitorri

Migranti in mare

Il 7 marzo 2019, tre migranti, due dei quali bambini, sono morti nel naufragio di una imbarcazione con a bordo dodici persone. Si trovavano davanti all’isola greca di Samos.

I due bambini sono morti dopo essere stati recuperati dai soccorritori. Successivamente si è avuto il ritrovamento del corpo senza vita di un uomo. A bordo dell’imbarcazione c’era anche un altro bambino. La barca era partita dalle coste della Turchia. Le persone sull’imbarcazione avevano portato con sé il sogno e la speranza di una vita migliore, lasciandosi alle spalle storie di dolore e sofferenze subite. Durante la notte, tuttavia, al largo di Samos, il natante è affondato. La Guardia costiera greca ha comunicato di aver ricevuto un “SOS” e di aver immediatamente avviato le ricerche, sia per mare, che con gli elicotteri intorno all’isola, nel Mar Egeo. I sopravvissuti al naufragio della piccola imbarcazione, hanno riferito che un uomo risultava disperso. I guardacoste ritengono che sia suo il corpo rinvenuto la mattina sulla costa. Non sono ancora chiare le cause del naufragio.

Di contro ad un tale dramma, durante la medesima notte sono sbarcati quaranta migranti sull’isola di Lampedusa, su di una piccola imbarcazione in legno con due motori, giunti da Sabratha (in Libia),  in totale autonomia, a circa 2,6 miglia dall’isola. A bordo vi erano ventinove uomini, tre donne e sedici minori (di cui due molto piccoli). Sono intervenuti un elicottero militare maltese, CP 300 della Guardia Costiera e motovedette della Guardia di Finanza.

E, sempre a Lampedusa, sono arrivati otto tunisini su un barchino partito dalla Tunisia.

Precedentemente, una nave maltese ha dato soccorso a ben ottantasette migranti, che si trovavano su una barca in legno arrivata a 30 miglia da Lampedusa. Il natante era stato individuato dalla centrale operativa della guardia costiera di Roma. In zona, un velivolo militare maltese aveva chiesto il soccorso ad una nave militare italiana, che si trovava vicino all’imbarcazione in difficoltà. Non potendo intervenire la suddetta nave militare a causa di problemi tecnici, si è attivata la marina maltese, soccorrendo i migranti, che sono poi sbarcati a Malta.

Vicende umane, queste, che hanno per protagonisti persone davvero bisognose, con uno scenario estremamente difficile, imprevedibile ed insidioso, che può essere fatale: il mare.

Avvocato Iacopo Pitorri

Migranti, la Ong “Mare Jonio” torna nel Mediterraneo

Nei prossimi giorni la Ong italiana “Mare Jonio” tornerà nel mar Mediterraneo per monitorare ed eventualmente soccorrere i migranti, coloro che abbandonano le coste del proprio paese, per ritrovarsi ad affrontare un pericoloso viaggio in mare, portando con sé solo la speranza di una vita migliore.

Il 13 marzo 2019, quindi, se le ispezioni a bordo ad opera della Capitaneria di Porto di Palermo non rileveranno irregolarità, la “Mare Jonio” mollerà gli ormeggi e partirà alla volta del Mediterraneo centrale, vale a dire di quel tratto di mare che separa la Libia dall’Italia, per i migranti che cercano di attraversarlo.

Ad oggi l’Ong italiana è una delle poche rimasta nel Mediterraneo per soccorrere i migranti. Dopo la chiusura dei porti da parte dell’Italia (e il calo delle partenze), a sorvegliare le acque con la suddetta Ong, invero, vi sono Sea Watch, Sea Eye e Open Arms. La Sea Watch, a seguito della  questione emersa a fine gennaio, relativa ai migranti a bordo, è rimasta poi per diversi giorni nel porto di Catania, posto che sono state individuate alcune irregolarità ma, successivamente, è ripartita per Marsiglia. 

In ogni modo, in attesa che pure Sea Watch intraprenda la navigazione nel Mediterraneo ci sarà la “Mare Jonio”.

La Ong – si precisa – è un’Organizzazione Non Governativa, indipendente dagli Stati. Senza ricevere alcun fondo, persegue diversi obiettivi di utilità sociale, cause politiche o di cooperazione allo sviluppo. Tra i diversi ambiti, in cui opera, vi è la protezione delle minoranze e la difesa dei diritti umani. In buona sostanza le Ong intervengono direttamente con navi private nel Mediterraneo per le attività di ricerca e salvataggio, in coordinamento con la Guardia Costiera italiana.

Entrambe le Ong in questione hanno partecipato alla manifestazione antirazzista “People – prima le persone”, che ha sfilato nel centro della città di Milano, lo scorso 2 marzo, per chiedere  la inclusione, pari opportunità e una democrazia reale per un Paese senza discriminazioni, senza muri e senza barriere. Dalla “Mare Jonio” è giunto un ringraziamento a “People” per aver ricordato che “i recinti, i muri e il filo spinato saranno travolti se essa si mette in cammino”. Sea Watch, invece, nella medesima occasione, tra circa 250mila persone, ha marciato dietro ad uno striscione eloquente: “Zero sbarchi, sei morti al giorno. Nel Mediterraneo annega l’Europa”.

Avvocato Iacopo Maria Pitorri

I migranti e il Franco CFA

Il franco CFA è la valuta utilizzata da quattordici paesi africani, che costituisce, in parte, la zona franco. In origine, nel 1945, significava “Franco delle Colonie Francesi d’Africa” (abbreviato FCFA). Oggi è diventato acronimo di “Comunità Finanziaria Africana”, rapportata, a far data dal 1999 alla moneta unica europea. Basti pensare che 1 euro corrisponde a ben 656 CFA.

 Si parla di 11 miliardi di euro investiti in titoli di stato francesi, a garanzia del cambio monetario.

La zona monetaria Franco CFA è costituita da tre zone governate da altrettante banche centrali. Una è il Cemac (che include Congo, Gabon, Camerun, Guinea Equatoriale, Ciad e Repubblica Centroafricana). Tra il 1974 e il 2014 hanno registrato inflazioni medie annue piuttosto contenute. L’altra zona, Uemoa (formata da Costa d’Avorio, Senegal, Mali, Burkina Faso, Benin, Niger, Togo e Guinea-Bissau) ha registrato aumenti dei prezzi medi annui inferiori. La terza zona a Franco CFA è quella delle Isole Comore, che mantengono una loro banca centrale.

Sempre tra il 1974 e il 2014 altri Paesi subsahariani – non aderenti all’area monetaria del Franco CFA (ma che, in alcuni casi, scelgono di agganciarsi al dollaro) –  hanno avuto medie d’inflazione annua più elevate. Per citare degli esempi: l’Etiopia l’11,2%, il Kenya il 13,7%, la Nigeria il 17,6%, l’Uganda il 22%, il Ghana il 31,9%. Ne deriva che avere una valuta stabile – di fatto agganciata alla politica monetaria della Bce (Banca centrale europea) – tende a mantenere più basso di quello che potrebbe essere l’aumento generale dei prezzi.

Dal 1974 al 2014, i Paesi con Franco CFA hanno registrato crescite del Pil (Prodotto Interno Lordo) un po’ più basse di chi non faceva parte dell’area monetaria.

Non vi è dubbio che il Franco CFA permette ai Paesi che lo usano una maggiore stabilitàgarantita dal collegamento diretto con l’area monetaria dell’Euro, anche se si verifica una minore crescita economica. Va precisato, tuttavia, che nella valutazione dei tassi d’inflazione e di crescita debbono essere considerate diverse varianti, oltre alla valuta. In altri termini: chi non usa il Franco CFA deve impegnarsi non poco per far sì che la sua moneta acquisisca una certa stabilità, atteso che non ha la garanzia implicita della Banca centrale europea. Al contrario, chi usa il Franco CFA deve sopperire a una minore capacità di agire sul valore della sua moneta sui mercati internazionali, con politiche a favore della crescita di altro genere.

Si ritiene che vi è anche una influenza della Francia sulle sue ex colonie, sia sulla politica monetaria che nei rapporti commerciali, nonché una sorta di diritto di prelazione ai prodotti francesi, fino alle condizioni di favore di cui godono le multinazionali francesi: Bolloré, nei settori dei trasporti e delle logistica; Bouygues, nel settore delle costruzioni; le aziende pubbliche Cogema, Areva e Orano, nel settore dell’uranio ed Elf Aquitaine e Total in quello petrolifero.

L’adesione è volontaria: nessuno impedisce a questi paesi di mantenere il cambio con l’euro, rivolgendosi direttamente alla Bce (che, verosimilmente, potrebbe investire sui titoli dell’area euro e non solo francesi). Se non sempre viene fatto è perché  si ritiene di utilizzare i buoni uffici della Francia. I paesi coinvolti, però, potrebbero in qualunque momento decidere di uscire dal Franco CFA e tornare alla moneta locale. Ovviamente da non sottovalutare è il fatto che i governi che aderiscono all’area faticherebbero ad avere una loro banca centrale, con una politica monetaria in grado di convincere il mercato internazionale dei cambi. Dal 2014 al 2018 dalle aree CFA è giunto sulle nostre coste il 15% dei migranti, dal resto dell’Africa il 43%.

Avvocato Iacopo Pitorri